150 anni di Unità d’ItaliaPetrolio e assenzioQuando la requisitoria si fa poetica e il dissenso è una cifra stilistica.di Giuseppe FasanellaPetrolio e assenzio. La ribellione in versi(1870-1900) è un bel libro, pubblicato dapoco da Salerno nella collana Faville, acura di Giuseppe Iannaccone, docente diLetteratura italiana contemporanea pressol’Università di Roma Tre.Si tratta di una sorprendente silloge diautori normalmente ignorati dalla criticaufficiale, esponenti di una generazione diartisti arrabbiati, nell’Italia del secondoOttocento. Normalmente nelle antologieletterarie compare soltanto l’esaltazionepiù o meno pomposa delle battaglie diquegli anni gloriosi, o tomi dall’intentopedagogico, come le pagine deamicisianedi Cuore. Ebbene, grazie alle ricerche diIannaccone, apprendiamo che non c’è soloquesto: ci troviamo infatti dinanzi una riddadi poeti che espressero una profonda insoddisfazioneper la realtà politica, socialeed economica scaturita dal Risorgimento.“Pur odio, e fortemente odio, ed anèlo/ A la riscossa e ho fretta… / Come aspiranle pie anime al cielo, / L’aspiro a te,santissima Vendetta!”, scrive per esempioGiacinto Stiavelli nella sua Invettiva.Evidentemente non è rimasto moltodello slancio di gioia sincera e immediatache illuminava la canzone del Monti Per laliberazione d’Italia: la musicalità e la compostezzaformale dei tempi passati non hannosenso per i ribelli e per il loro impeto.Dall’insofferenza contro la mediocritàdella borghesia (ma anche contro un’unificazionedel paese realizzata tenendo inpoco o nessun conto il contesto e i disagisociali) germina la rivolta di molti scrittori,che si muovono tra forme di populismoromantico alla Victor Hugo e classicismoalla maniera di Carducci. In verità la matricestorica fa semplicemente da collante aun gruppo tutt’altro che omogeneo di autori,alcuni semplici bestemmiatori, altri verseggiatoriimprovvisati o intellettuali dellaprovincia, altri ancora veri e grandi poeti.Già il titolo della raccolta, ispirato auna poesia di Domenico Milelli, lasciapresagire il contenuto: il petrolio richiamaalla memoria la leggenda delle pétroleusesdella Comune di Parigi; l’assenzioil liquore dei poeti maledetti francesi.Una letteratura, dunque, impegnata e ribelle,che annovera una copiosa schieradi poeti, dalla produzione rovente e accanita.“All’odio affilo, come lama, ilverso”, dice Guarnerio (Recto), mentreLorenzo Stecchetti tuona contro gli aguzzinidi oggi: “Non sperate pietà dunquene’l santo / giorno de l’ira eterna. / Trop-Il mio paeseIl mio paese è fatto di sassiche scivolano fra l’onde,sgretolati in sabbia a formare coste nuove.È terra rossa mischiata a neveche non si scioglie in un istante, lasciando una gocciacalda d’acqua là dove prima era il gelo.Il mio paese è fatto d’indifferenza e banalità,unite al silenzio di chi non sente il mare gemere e urlare,né il terremoto spaccare la terrasenza che i lembi si possano unire.È terra dove l’argento compra le emozionirichiudendole dietro fredde pareti,oltre le quali c’è il nulla.E nulla fa più rumore qui.Ma se a una parola o un cantose a un sasso un altrose a un’onda la sua eco nel mare s’aggiunge,nuova voce allora sfiderà l’orizzonte.Selene Favuzzipo, dinanzi a voi, troppo abbiam pianto”(Iustitia).Il canone stilistico che potremmo definiredell’“enfasi dell’invettiva” raccogliein realtà una vera e propria galleriadi poeti: dai satanici Carducci e Rapisardia Giovanni Pascoli, colto prima che inventassela sua poetica del fanciullino,passando per Filippo Turati e Ada Negri,molto prima che diventasse la sola donnadell’Accademia mussoliniana. Ricordiamoancora, tra i meno noti, gli scapigliatiAntonio Ghislanzoni, quando non scrivevalibretti d’opera, e Ferdinando Fontana,insieme ai veristi come Olindo Guerrieri.Troviamo anche, in Petrolio e assenzio,un folto gruppo di anticlericali bastardi ebestemmiatori, che scagliandosi contro laChiesa inneggiano a Satana o a Epicuro.Non si tratta – è importante sottolinearlo– di una contestazione circoscritta a pocheregioni. Troviamo infatti poeti del Nord,testimoni di una spietata società industriale,e letterati del Sud, spettatori di una crudarealtà contadina: è un vero continente sommerso,testimonianza di un’Italia asfittica edura, che poco aveva da spartire con quellasognata da Mameli e dai grandi patriotiidealisti. Nel verso non c’è spazio per ledelicatezze. Ci sono solo il risentimento e larabbia riassunti nei versi di Girolamo RagusaMoleti, che Benedetto Croce ironicamentedefinì “ribelle dei ribelli”: “Addio, fiori,acque lucenti, / Carezzevoli all’orecchio, /Addio, valli, aeree cime; / Come groppo diserpenti / Vo’ lanciar nel mondo vecchio /Nuovamente le mie rime” (Congedo).46 • n. 3, settembre-dicembre 2010
post scriptaPer l’Unità d’ItaliaIl 150° Natale della nostra Unità politica è giustificazione sufficienteper dare uno sguardo, a volo d’uccello, alle ragioni per lequali gli Italiani si sentano così poco fratelli, sebbene il canto diMameli, divenuto nell’Italia repubblicana Inno Nazionale (provvisorio…),si apra con l’invocazione: “Fratelli d’Italia”.Prima, però, vorrei rintracciare concetti come quelli di “nazione”e di “patria”, che sono fondamentali nella mistica di ognirisorgimento. Con la fine dell’era napoleonica e con la restaurazionedecretata a Vienna, l’idea di ottenere una Costituzione edi liberarsi da prìncipi stranieri fomentò moti insurrezionali nel1821, soprattutto in Piemonte e a Napoli. Ebbene, annotava ungrande poeta e pensatore, Giacomo Leopardi, nel suo Zibaldonedi pensieri il 7 novembre 1821: “l’Italia … non è neppure unanazione, né una patria”. Ed egli riteneva che emblema di unanazione fosse una civiltà, “un temperamento della natura collaragione, dove quella cioè la natura abbia la maggior parte” (7giugno 1820), ravvisando così in essa il fulcro dei caratteri identitari.“E in genere – precisava – si può dire che la tendenza dellospirito moderno è di ridurre tutto il mondo una nazione, e tuttele nazioni una sola persona”. Tanto che “[u]na volta le nazionicercavano di superar le altre, ora cercano di somigliarle, e nonsono mai così superbe come quando credono di esserci riuscite”(3 luglio 1820). La globalizzazione, apportatrice di benessere,anche se non per tutti, certamente sfuma le identità e omologa icomportamenti. Quanto alla patria, seguendo Sallustio che nellascala dei valori pone dapprima le ricchezze, quindi, in ordineascendente, l’onore, la gloria, la libertà e finalmente la patria,Leopardi annota con pessimistica tristezza che volendo usarela figura retorica della gradazione “si disporrebbero le parole alrovescio: prima la patria, che nessuno ha, ed è un puro nome”.Mentre per “le ricchezze […] onore, gloria, libertà, patria e Dio,tutto si sacrifica e s’ha per nulla” (4 febbraio 1821).Non essendo questa la sede per approfondimenti storici nonricercherò altri filoni di pensiero, ma mi limiterò a richiamareperché il Risorgimento e l’Unità politica siano ancora così controversi.A mio avviso, nessun Paese, nessuna Nazione, nessunaCiviltà, come nessuna Religione può vivere e svilupparsi senzamiti; solo questi ultimi sono in grado di creare un’identità,talvolta fantastica e non necessariamente storicamente fondata,nella quale le genti si riconoscono e alla quale contribuiscono learti, la letteratura, oggi la comunicazione con i suoi multiformicanali. E il mito, fabbrica di eroi, si rigenera sempre nel rito.Ebbene, lo spirito critico e beffardo, spesso anarchico, degli italiani– ancor pregni dell’oraziano acetum italicum – tende a sfatareil mito, a ridimensionare gli eroi, a interpretare il rito comeinutile cerimonia. Sono decine e decine le pubblicazioni – scriveErnesto Galli della Loggia – che negli ultimi tempi e in misuracrescente all’avvicinarsi del sesquicentenario hanno rivangatoepisodi non proprio commendevoli della lotta per raggiungerel’unità d’Italia, tranciando giudizi sprezzanti, inappellabili suuomini e avvenimenti.La critica al Risorgimento non è di oggi e nacque con l’Unità,poiché quest’ultima, realizzatasi nella direzione monarchicae centralista, suscitò la reazione di quanti si erano battuti perun’Italia repubblicana o l’avevano pensata federale. D’altra parte,tutte le culture politiche del Novecento che si opponevano allatradizione cavourriana e sabauda, dal socialismo al cattolicesimopolitico, dall’azionismo al comunismo gramsciano, hanno letto eriletto criticamente il Risorgimento, senza mai arrivare a metterein dubbio, però, il valore della raggiunta Unità. Ciò è avvenuto acavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, riscoprendo e rivalutandola storica divisione tra Nord e Sud. Se il Nord è stato il primo aesprimere propositi secessionisti, temporaneamente sopiti da unlaborioso processo di federalizzazione, oggi non mancano imitatorianche nel Sud e particolarmente in Sicilia, una regione dasempre inquieta sotto questo profilo…È l’allentamento del sentimento unitario una peculiarità delnostro Paese? Ebbene, no. È una pulsione anche più forte in Belgiotra le Fiandre e la Vallonia ed è presente nel Regno Unito traScozia e Inghilterra, in Spagna tra Catalogna e resto del paese.Quali sono le ragioni che spiegano questa tendenza alla frammentazionenell’Europa occidentale? Al di là di fattori idiosincraticiin questa o quella regione, ne vedo tre: a) il lungo periododi pace che ha risvegliato antiche tensioni, sopite nei periodi diguerra per fronteggiare il nemico; b) la liberalizzazione dei commerci,che ha fatto venire meno la coincidenza del mercato conlo stato; c) l’affievolita solidarietà delle regioni ricche, non piùdisposte a sovvenire quelle povere o meno intraprendenti.Dobbiamo rassegnarci a questa deriva verso la frammentazione?Certamente no, anche perché il posto dell’Italia nei vari consessiche tentano di governare questo mondo in continua evoluzionepolitica ed economica è frutto anche della nostra dimensionedemografica e territoriale, che già si sta riducendo precipitosamentein termini relativi con l’emergere di giganti come la Cina, l’Indiao il Brasile… Tuttavia, per evitare quella deriva è necessarioche il patto tra il Nord e il Sud d’Italia venga rifondato. A ciò puòprovvedere solo una forza politica illuminata o almeno consapevoledei dilemmi esistenziali che il nostro Paese deve affrontaree risolvere. Perciò, il mio augurio di cittadino per il 2011 è chequesta palingenesi si produca senza ulteriori, pericolosi ritardi.Viva l’Italia!Mario Sarcinellipanorama per i giovani • 47