150 anni di Unità d’ItaliaFoto: iStockphoto.com/matteodestefanoSe le coccarde per i 150 annisono appuntate sulle primepagine dei quotidianiDai primi mesi del 2010 “Corriere della Sera” e “Stampa” celebrano coninchieste e rievocazioni l’anniversario dello Stato italiano.di Gabriele RosanaE dire che se la prendono sempre con letestate giornalistiche. Prima il comitato digaranti per le celebrazioni al centro dellapolemica politica, poi Pompei che sisgretola lanciando un non proprio icasticospot sull’Italia di oggi, quindi giù conle sforbiciate agli investimenti in culturae istruzione e via con le iniezioni di patriottismoper le belle occasioni, a mo’ dibotulino... Scattare un’istantanea del voltopiù istituzionale del paese alla vigiliadell’importante anniversario non è propriorincuorante. Eppure i drappi tricolore cheavvolgono questi 150 anni dell’Italia unita,prim’ancora che dai monumenti-iconaimbellettati a festa, pendono proprio dalleprime pagine dei principali quotidiani nazionali.Non ci sono solo biglietti d’auguri conil paese capovolto e i ministeri ridotti adecori per un albero di Natale precariogià solo a vederlo, ma pretenziosamentevaticinante; né solenni parate militaricon coccarde e present-arm. C’è soprattuttoun’Italia che con sobrietà e pacatezzaguarda indietro alla propria storia,si insinua nelle pagine buie, consapevoleche rilettura non fa rima con revisionismo,cosciente che un approccio non urlatonon cela affatto dietro di sé i germidell’antipatriottismo. C’è l’Italia dei civilservant, ideali continuatori dell’operadi chi lo Stato l’ha costruito, nelle varieepoche, attraversando periodi storici nonpoco controversi, nella centellinata trasformazionedelle nostre istituzioni. C’èla piccola Italia delle province, quell’Italiadai cento campanili, erede di una maidimenticata storia comunale. C’è l’Italiache issa il tricolore accanto al vessilloblu stellato dell’Unione Europea, fedelenella concretizzazione di un disegno giàarticolato da Mazzini. Ci sono la gloria,l’orgoglio, la consapevolezza, la fama, laragionata umiltà...I quotidiani specchio del paeseLe storie che le penne dei più illustri giornalistied esponenti della cultura italianihanno affidato alle pagine dei quotidianisnocciolano momento per momento questagrande, unica storia. Il “Corriere dellaSera” e la “Stampa” hanno puntato suicavalli di razza delle proprie scuderie perraccontare l’Italia, secondo due prospettivetra loro ben diverse.Centocinquanta date per ripercorrereinsieme gli eventi che hanno fatto l’Italia,le ricorrenze, i nomi troppe volte relegatial nozionismo e alle polverose vicende appresee lasciate sui banchi di scuola: questol’ambizioso progetto de “la Stampa”,che ogni domenica, dal 31 gennaio 2010,orna la sua ultima pagina con i racconti diuna inedita coppia, che non ha mancatodi conferire alle storie la propria caricaanticonformista. Carlo Fruttero, l’ultraottantennescrittore, e Massimo Gramellini,l’arguto vicedirettore del quotidiano torinese(quanti dei lettori non sono affezionatial suo Buongiorno sempre in puntadi penna?) hanno raccolto la scommessae dal buen retiro di Fruttero in Castigliondella Pescaia hanno intessuto le tramedei primi centocinquant’anni dell’Italiaunita: da Vittorio Emanuele II a SandroPertini, da Dorando Pietri a Lucio Battisti.“L’idea che ci ha spinto è quella dinon essere enciclopedici – si rivolge cosìai lettori il direttore de ‘la Stampa’ MarioCalabresi –, di volervi raccontare tutto,ma solo di stuzzicare la vostra curiosità,la voglia di saperne di più e provarea scalfire quel muro di disinteresse versoil nostro passato che fa di noi un paesedi smemorati”. L’iniziativa che ha presole mosse sotto la Mole è presto diventataun più ampio progetto editoriale e Mondadoriha dato alle stampe, per la collana“Strade blu”, La Patria, bene o male,raccolta di questi centocinquanta racconti.Nelle pagine del duo che non t’aspettisi va dal 17 marzo 1861, la data dellanascita dell’Italia unita sotto i vessilli sabaudi,al 10 febbraio 2006, quando il paesetornava a sentirsi uno nel capoluogopiemontese, all’arrivo della fiaccola delleOlimpiadi invernali. Ci sono i fatti diErba, grotteschi esempi di un malcostumecronachistico tutto italiano, e la vespascassata di Roberto Saviano, a fare ilpaio con l’assassinio di Carlo Casalegnoe il rivoluzionario Bakunin che fugge daBologna travestito da prete. “C’è cronacarosa e cronaca nera, sinistri figuri accantoa purissimi eroi, non manca Pavarotti maè assente la Callas, c’è il Vajont ma nonil Polesine. Primo Carnera, Enrico Cucciae Alberto Sordi non sono chiamati sulpalco, solo citati di sfuggita”, spiegano28 • n. 3, settembre-dicembre 2010
150 anni di Unità d’ItaliaFruttero e Gramellini nella prefazione.Spalmate nell’arco dei quindici decennici sono date per così dire “obbligatorie”,da cui non poter prescindere nell’affrescodell’Italia, ma altre inserite a discrezionedei narratori, che sin dalle prime battuteescludono un lavoro di cesellatura storica;Tucidide, Tacito e Machiavelli rimangonosullo sfondo, come maestri “che cihanno insegnato come la Storia obiettiva,imparziale, definitivamente veritiera nonesiste, ma può essere soltanto un’aspirazione,una meta intravista ed irraggiungibile”.Nasce così questo almanacco essenzialedell’Italia unita: la Patria, bene omale. La Patria nel bene e nel male: “unPaese irritante, fastidioso, quasi sempredilaniato da emotività contrapposte e chepotrebbe fare molto di più, come dicevanogli insegnanti alle nostre mamme”.Da Milano il “Corriere della Sera”rispolvera un progetto che aveva lanciatogià quarantacinque anni fa, con IndroMontanelli, Piero Ottone, Alberto Cavallari,Giovanni Russo e Gianfranco Piazzesi.Italia sotto inchiesta rappresentò latestimonianza di un’epoca, la fotografia diuna realtà politica, sociale ed economica.Un viaggio in lungo e in largo per la penisola,per calarsi nelle realtà locali e raccontarel’Italia di oggi. Una sfida raccoltada Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, lacoppia che ha scalato la top ten dei libripiù venduti con La Casta (Rizzoli, 2007)e ha inaugurato una serie di inchieste suimalcostumi del paese, a cominciare dallasua classe politica.Da Partinico a Curtatone, da Aosta aSanta Maria Capua Vetere, da Quarto aTrieste, da L’Aquila a Pontida, da Livornoa Teano, da Bronte a Novara, da Zaraa Melfi: le due penne di punta di via Solferino,dal febbraio scorso, attraversanoil paese e fanno tappa nelle realtà localiche in questi 150 anni hanno segnato inun modo o nell’altro la costruenda Italia(di notevole interesse il ritratto storicodel luogo che un’altra firma svolge nellapagina immediatamente seguente), coninevitabili e gustose appendici sui fattidi cronaca più recenti, sui fascicoli deitribunali che non mancano mai, sullestranezze delle nostre province, comenello stile cui Stella e Rizzo ci hannoabituati sulle colonne del “Corriere”.Uno stile che si rivolge al paese, partendoda ieri, per parlare dell’oggi, in vistadel domani.Leggere, studiare e ricordare.O il paese non andrà lontanoIntervista a Gian Antonio Stella.a cura di Gabriele RosanaLa voce di Gian Antonio Stella è tempratagià di prima mattina, all’altro capo del telefono.La firma di punta del “Corriere dellaSera” sta viaggiando su e giù per l’Italia chesi avvia a celebrare i suoi 150 anni, insiemeal collega di sempre Sergio Rizzo, per offrireai propri lettori il ritratto della penisoladi oggi. Un’operazione che al quotidiano divia Solferino mancava dagli anni Sessanta.Come nasce l’appuntamento del sabatoVisioni d’Italia?Erano anni che avevamo in mente di intraprendereun viaggio a tappeto di questotipo, ben sapendo che sarebbe stato moltofaticoso. L’ultimo risale al biennio 1963-1965, quando cinque giornalisti del “Corriere”(Montanelli, Ottone, Russo, Cavallarie Piazzesi) batterono in lungo e in largo ilpaese realizzando quello che poi sarebbe diventatoil libro Italia sotto inchiesta.Alla fine tocca ai giornalisti spesso così bistrattatitenere il polso del paese. Lei, attraversandol’Italia, quanta memoria condivisaha percepito in giro? Quanto la vogliadi ricordare trascende le commemorazioniscolastiche e gli inni (ahinoi, sempre piùscarseggianti) strimpellati nei comuni diprovincia (quando qualche amministratorenon opta per il verdiano Nabucco)?Rispetto a quella che è una vera e propriamanipolazione della storia da parte di alcunisettori, devo dire che sento un positivo fastidio.L’errore è stato iniziale, da parte dichi – storici e istituzioni scolastiche – nonha voluto riflettere sin da subito sugli erroricommessi dal Risorgimento. Ognuno ci hacosì raccontato i pezzi di storia che gli facevanocomodo, producendo storture (notevoleeccezione fu, però, il deputato milaneseGiuseppe Ferrari, che portò subito davantial neonato Parlamento italiano l’eccidio diPontelandolfo, dove per una ritorsione contro40 soldati italiani persero la vita oltre400 inermi cittadini). Pensiamo, però, allabattaglia di Sand Creek. Forse per gli erroricommessi all’epoca delle guerre indiane gliStati Uniti hanno buttato via la loro storia?Questo mi pare un costume tutto italiano.La nostra inchiesta è basata tutta sull’oggi,ma nel momento in cui andiamo in Calabria,per esempio, nei luoghi in cui la repressionedel brigantaggio è stata feroce, non possiamonon chiederci quanto ha inciso la responsabilitàdi chi non ha voluto affrontare iproblemi rispetto alle ostilità presenti ancoraoggi nei confronti dello Stato.Quante volte, nelle realtà visitate, senteparlare di patria?Il sentimento di patria è un po’ ammaccato,ma non del tutto scomparso dal cuore delpopolo italiano. Anzi, penso che sia in forterinascita, anche per reazione nei confronti dialcuni eccessi della Lega al Nord e dei neoborbonicial Sud. Insomma, abbiamo lettoscempiaggini di ogni genere!L’Italia di ieri e gli italiani domani. ConL’Orda è stato tra gli antesignani del temadell’accoglienza dello straniero. Cosa direbbesuo nonno Tony Caio, che mangiò panee disprezzo in Prussia e Ungheria, dell’Italiadi oggi che sputa a quelli come lui?Basta leggere quello che ha dichiarato qualchegiorno fa Salvini della Lega, il quale siinventa che certi reati ci sono sempre stati, mada quando ci sono gli immigrati ce ne sonodi più. Ma che statistiche ha? Oggi ci sonoun quinto dei reati degli anni Ottanta! Non èpossibile vomitare addosso agli immigrati inquesto modo! Anche perché, parliamoci chiaro:se non ci fossero gli immigrati la situazionedell’Italia sarebbe oggi molto più pesante.Non dimentichiamo che se è vero che oggi gliimmigrati sono circa il 7% della popolazionee producono, secondo le stime, addirittural’11,2% della nostra ricchezza, con una battutaparadossale potremmo dire che sono comei lombardi. Entrambe le categorie produconomolto più di quanto dovrebbero se consideriamosolo i dati percentuali.Come ha visto nei racconti della gente ilfilo rosso Risorgimento-Resistenza-Costituzione?L’Appennino è ancora venatodal sangue dei partigiani?panorama per i giovani • 29