linguista Tullio De Mauro, che da anni sioccupa delle ricerche sull’analfabetismofunzionale, ad oggi “soltanto il 20% dellapopolazione adulta italiana possiede glistrumenti minimi indispensabili di lettura,scrittura e calcolo necessari per orientarsiin una società contemporanea”. E non bisognadimenticare che c’è un 5% che nonriesce a distinguere correttamente le letteree le cifre. A completare i tre quarti della popolazioneitaliana vi è una terza categoria,sempre individuata da De Mauro: quelladi coloro che, seppure in una condizionemigliore, trovano “oltre le loro capacitàdi lettura e scrittura un testo che riguardifatti collettivi, di rilievo anche nella vitaquotidiana e un’icona incomprensibile ungrafico con qualche percentuale”. Dati chedovrebbero notevolmente allarmare un popoloche tenta di continuare, in mancanzad’altro, a vendersi per la sua tradizionestorico-culturale, una tradizione che poi inrealtà rischia di ignorare. Cifre pericolose,dunque, che significano meno libri, menoIl recupero della lingua italiana èuno strumento fondamentale pergarantire la riuscita dei processidi integrazione.teatro, meno musei: insomma, meno cultura.Che è meno vita.La scuola italiana, però, non è da buttarevia. Viene rifatta e ritoccata anche troppospesso, ma tutta questa chirurgia non èche le faccia poi così bene. Leggere il nostrosistema d’istruzione, e conseguentementemodificarlo, sulla base di statistichee prove parametrate su categorie e modelliche sono lontani anni-luce dalla nostratradizione formativa non può che andarea distruggere quelplusvalore offertocidal nostro sistemaeducativo. Diquesto dobbiamoavere consapevolezza,del potenzialeche gli studenti italiani hanno, e chesono in grado di esportare, per un innatovantaggio dovuto alla invidiabile circostanzadi essere nati nel paese più ricco perpatrimonio storico-culturale.Troppo spesso, però, si è tentato di faredella cultura uno strumento di discriminazionee la si è vista come un privilegio adappannaggio di pochi. Così la legge Casati,che nel 1859, a ridosso dell’unificazione,istituiva una scuola elementare articolatasu due bienni eDon Milani voleva che glistudenti si costruissero unacoscienza sociale e civile; il suomotto era “I care”.obbligatoria peril primo biennio.Aldilà della positivaintroduzionedell’obbligo scolastico,seppur minimo,la legge mostrava il suo volto classistanel prevedere che dopo la scuola elementaresi potesse accedere al ginnasio solo apagamento. Altrimenti si sarebbe potutoproseguire solo con le scuole tecniche (alcunedelle quali, a ragion del vero, aprivanoall’università): l’esclusione degli studentiappartenenti alle famiglie meno agiate erala conseguenza naturale. Uno dei profili chefurono oggetto di ripetuti interventi neglianni a venire fu indubbiamente quello relativoall’obbligatorietà: ed ecco la leggeCoppino, che nel 1877 introduce l’obbligodel triennio delle elementari, dopo averleportate a 5 anni; e ancora la legge Orlando(1904) che lo prolunga fino al dodicesimoanno di età, istituendo un “corso popolare”formato dalle classi quinta e sesta; si proseguecon la legge Daneo-Credaro (1911) che,al fine di poter meglio disciplinare l’obbligo,rende la scuola elementare un serviziostatale, ponendo in questo modo a caricodello Stato il pagamento degli stipendi deimaestri. Ma il momento sicuramente piùsignificativo, per quello che sarà il successivosviluppo dell’istruzione in Italia, si ebbecon la “più fascista” delle leggi del governoMussolini: la riforma Gentile. Si trattadi una serie di atti normativi adottati tra il1922 e il 1923 su proposta dell’allora Ministrodell’Istruzione, il filosofo neoidealistaGiovanni Gentile. Egli impresse alla scuolaitaliana un’impronta che rimarrà pressochéindelebile. Fino ad oggi. L’obbligo venneFoto: iStockphoto.com (CFargo; kkgas)22 • n. 3, settembre-dicembre 2010
150 anni di Unità d’Italiaesteso ai quattordici anni, con un inizialeciclo elementare di cinque anni, uguale pertutti, al termine dei quali l’alunno potevascegliere tra il ginnasio, quinquennale e chedava possibilità di accesso ai licei (classicoe scientifico), e la scuola di avviamento professionale.Solo il liceo classico consentival’accesso a tutte le facoltà. Fu nel 1962 chesi ebbe l’unificazione della scuola media,mentre occorrerà il fermento sessantottinoper far sì che si liberalizzassero gli accessialle università. E sempre nel 1969 si modificòl’esame di maturità, dandogli quellastruttura che rimarrà quasi fino all’avventodegli anni Duemila, con due prove scritte(italiano e una specifica in funzione del tipod’istituto) e una prova orale con due materiea scelta tra una rosa di quattro, diverse perogni istituto scolastico. Nel frattempo eraintervenuta anche l’istituzione della scuolamaterna statale e di lì a poco si ebbe l’introduzionedel tempo pieno. Malgrado le continuenovità nei decenni seguenti, soprattuttodagli anni Ottanta, si registrò un aumentodella dispersione scolastica, con frequenzeirregolari, scarso apprendimento e bocciature.Probabilmente è stata proprio la difficoltàdi arrestare tale fenomeno che ha spintoil legislatore a rimaneggiare nuovamente lascuola italiana, mai soddisfatto e soprattuttoin una continua scissione con se stesso, peril succedersi di maggioranze politiche didiverso colore e diverso approccio al temain questione. Riforma Berlinguer e il nuovoesame di maturità (che sarà poi ulteriormentecesellato dal Ministro Fioroni), la RiformaMoratti e la Riforma Gelmini. Interventisempre poco ben voluti, perché magari nonsempre sentiti vicini e rispondenti alle vereesigenze che solo gli studenti, in quanto direttifruitori del servizio scolastico, possonoesprimere, sia pure confusamente.Ci vorrebbe qualcuno che scrivesseun’altra Lettera ad una professoressa. Quelladi don Milani fu una riflessione che avevasaputo intercettare il bisogno di cambiamentoavvertito non solo dagli studenti, maanche da educatori e genitori. Il bisogno direaltà, l’attenzione al milieu in cui nascono,crescono e si sviluppano i ragazzi, l’importanzadella cooperazione, l’insostituibilitàdello studio per lo sviluppo di una coscienzacritica e di un pensiero libero. Ciò chevoleva fornire don Milani erano strumenti:un’istruzione per crescere e andare avantisenza essere manipolati. Uno dei più granditimori che dobbiamo avere è proprio questo:che i programmi della scuola possanoessere strumentalizzati e le menti perversamenteriempite di nozioni che non possonoche avvilirle e renderle sterili. I care, dicevadon Milani. Non so quanti di noi riuscirebberoa pensare lo stesso di coloro che si occupanodella nostra formazione e della nostracultura. E vedere che gli studenti paionoadesso essersi destati da anni di maggiortorpore non è poiun cattivo segno,perché denota chewe care. Ci sonodue punti di straordinariapregnanzae attualità nellariflessione del parroco di Barbiana, aldilàdelle questioni di metodo. Egli insiste sullaimportanza di dare uno scopo ai ragazzi, inparticolare agli svogliati. Ecco quello di cuiabbiamo bisogno oggi: credere nella nostrascuola, nelle nostre università, potenziarlee non sottrarre a esse l’aria, dare stimoli efiducia agli studenti, affinché possano percorrerei loro anni di formazione nella convinzioneche tutto quello che si semina poisi potrà raccogliere, che le fatiche di nottiinsonni passate sui libri saranno ripagate.La prospettiva di un futuro è imprescindibileper un sistema che si possa dire funzionante.C’è poi un secondo aspetto che nonva tralasciato: la lingua. “È solo la linguache fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi eintende l’espressione altrui. Educare i ragazzia diventare sovrani”. Se preservare lapropria identità regionale può anche essereimportante, non si può tollerare una cosìscarsa conoscenza dell’italiano. Talvolta siè sottovalutato quanto esso sia alla base diun’effettiva integrazione, tra italiani ma anchetra italiani e immigrati, i quali dovrebberoessere messi in grado di apprendere laNel 1923 Giovanni Gentiledelineò, con la sua riforma,i tratti peculiari del nostrosistema scolastico.lingua del paese che li ospita. Un maestroManzi in più non farebbe male, magari alposto dell’ennesimo programma di artistituttofare. E non poco potrebbero servire imezzi di comunicazione: non solo una televisionedecente, ma anche il potenziamentodi internet e dei mezzi informatici. Le famosetre i erano cosa buona e giusta, se sifossero concretizzate appieno e se si fosseroaccompagnate a una quarta: l’italiano!Un tema come quello della scuola èsenza dubbio caldo e di scontro tra visionispesso e volentieri diametralmente opposte,ma ciò non significa che si debbanoabbandonare le speranze in un confrontocostruttivo, nel momento in cui ci si rendaconto che si può sempre imparare a farbene e che non è mai troppo tardi.panorama per i giovani • 23