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Universitario

numero 3/2010 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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150 anni di Unità d’ItaliaFoto: iStockphoto.com/tirc83Non è mai troppo tardiDalla legge Casati alla riforma Gelmini, la scuola italiana non ha maismesso di cambiare volto. Non sempre è bene intervenire e non sempresi interviene dove si dovrebbe.di Nicola LattanziDai tre mesi fino ai tre anni è l’asilo nido.Poi tre anni di scuola materna. Poi bentredici anni di scuola primaria e secondaria(quanto ci piacciono gli anglismi! Saròrétro, ma preferivo di gran lunga una scuolaelementare e una scuola media, seguitedalle superiori). E poi ancora, variamentecombinati, cinque anni di università. Epoi... Insomma, se va bene – molto bene –ci schiaffano diretti dalla sala parto davantia un banco per ventiquattro anni circa. Enaturalmente non passerà una settimanadella nostra carriera scolastica senza chequalcuno ci dica che “non si finisce mai diimparare” e che “gli esami non finisconomai”. Per che cosa? Ci si batte e ci si ribatte,si riforma e si controriforma: progetti,sperimentazioni, maxi sperimentazioni deiprogetti. E nel frattempo, mentre siamo lì astudiare, subendopiù o meno passivamente(in questigiorni direi moltomeno che più) lafuria normativadei variamente nominatiMinistri dell’Istruzione, Universitàe Ricerca (?), non v’è chi ci assicuri chetutta questa fatica verrà ripagata con un postodi lavoro almeno parzialmente rispondentealle nostre aspirazioni e conformealla nostra preparazione. Oltre a ciò, cosaavrebbe dovuto essere la scuola? Scambiod’idee, luogo di integrazione e crescita spiritualedel paese. Invece, la meritocrazianon esiste, si vogliono fare classi separateper gli stranieri, si insegue il mito della privatizzazione-a-tutti-i-costi(a nostre spese,in tutti i sensi), alcune materie improvvisamentescompaiono e l’italiano non si sapiù dove sia finito – ma chi se ne importa:meglio salvare i dialetti! Mi chiedo: comesiamo arrivati a questo punto?Al momento dell’unificazione del paese,nel 1861, la percentuale di analfabetiera a dir poco sconvolgente. Vittorio EmanueleII si sarebbe apprestato a governareun regno in cui il 78% della popolazionenon sapeva né leggere né scrivere (rectius,non sapeva nemmeno scrivere il proprionome), con addirittura picchi del 91% inSardegna e del 90% in Calabria e Sicilia.La situazione del suo Piemonte era, secosì possiamo dire, migliore: 57%. E laquestione era che non solo c’era la quasitotalità della popolazione da alfabetizzare,ma che si doveva far loro imparareuna lingua. Sì, fatta l’Italia, sottolineavaD’Azeglio, si dovevano fare gli Italiani.E l’obiettivo, tutt’oggi, non mi sembra siastato pienamente raggiunto. Anzi. Arrivatial censimento generale del 1951 la situazioneera migliorata, indubbiamente invirtù del ruolo che il regime fascista avevariconosciuto all’istruzione: si passava,difatti, dall’1% del Trentino-Alto Adige al32% della Calabria. Nei decenni a seguirele cifre continuano ad assottigliarsi. Magarianche grazie ad Alberto Manzi, che,dal 1960 al 1968, fu il “caro maestro” permolti italiani con la sua trasmissione Nonè mai troppo tardi, che si proponeva come“Corso d’istruzione popolare per il recuperodell’adulto analfabeta”. Un programmache fa parte della memoria collettiva e chedimostra che, se si vuole, certi mezzi dicomunicazione di massa possono essereSolo il 20% degli italiani adultipossiede gli strumenti minimidi lettura, scrittura e calcolo perorientarsi nella nostra società.utilizzati come strumento di promozionesocio-culturale. D’accordo che era un’altratelevisione, d’accordo che era un’altraItalia…ma insomma. Come ha scritto ilpanorama per i giovani • 21

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