150 La anni salute di Unità nel mondo d’ItaliaFatta l’Italia,bisogna fare l’italianoDopo 150 anni l’unità linguistica del paese può considerarsi realizzata,anche se nelle varietà regionali dell’italiano si prolunga (fortunatamente)la tradizione e la ricchezza dei dialetti. La scelta del fiorentino comelingua di tutti.di Francesca ParlatiSe domandassi ai lettori in che lingua stoscrivendo in questo momento, la maggiorparte mi risponderebbe che ovviamentesto scrivendo in italiano. Certo, direi poiloro, ma in che italiano? Italiano comune,standard, letterario o regionale? Sì, carilettori, c’è n’è più d’uno e noi passiamodall’uno all’altro senza neanche accorgercidel cambiamento. La lingua italiana,come del resto tutte le lingue vive, ècome un’Idra, il mostro mitologico greco:un solo corpo e molteplici teste. Qual è ilcorpo originario, allora?All’alba dello Stato italiano, laquestione era parzialmente risolta: lalingua eletta, quella varietà d’italianoche sarebbe diventata ufficialmente lalingua italiana, era il fiorentino. EmilioBroglio, ministro della Pubblica Istruzionefra l’ottobre del 1867 e il maggiodel 1869, nel 1868 chiamò AlessandroManzoni a presiedere una commissionecol compito “di ricercare e proporretutti i provvedimenti e i modi, coi qualisi potesse aiutare e rendere più universalein tutti gli ordini del popolo la notiziadella buona lingua e della buonapronunzia”. Il Manzoni, che lavoravaQuale italiano parliamo?Italiano comune, italianostandard, italiano letterario,italiano regionale?in coppia con Ruggero Bonghi e GiulioCarcano, pubblicò i risultati dei suoilavori già nel 1868. La relazione, da luiredatta e dai colleghi sottoscritta, eraintitolata Dell’unità della lingua e deimezzi per diffonderla e risolveva unaquestione annosa e sempre argomentodi viva discussione in Italia, ovvero ladifferenza tra l’italiano letterario e l’italianonella sua totalità d’uso.Sin da quando l’italiano, in tutte lesue forme, è una lingua viva e parlata, viè sempre stata una differenza tra linguausata per fini dotti e lingua parlata ognigiorno dal popolo. Una prima forma diitaliano vero e proprio, che si differenziadal latino volgare, è la koinè (dal greco,lingua comune) delle corti rinascimentali,di base fiorentina, che si caratterizzavapoi nelle diverse zone a seconda delleinfluenze locali. La koinè era diversadalle lingue (non si può parlare ancoradi dialetti) parlate nelle varie zone, eppurel’una influenzava l’altra: la linguadel posto, infatti, integrava in sé paroleestranee al suo vocabolario e la koinè, asua volta, assumeva fenomeni foneticitipici della zona, trasformando parzialmentele parole. La comunicazione avvenivacosì su due binari, distinguendo lalingua usata per la comunicazione scrittae dotta da quella per tutti gli altri scopi,tracciando un confine invalicabile che ilManzoni abbatterà con le varie redazionidel Fermo e Lucia e dei Promessi Sposi.Nelle diverse introduzioni all’opera, dalui stesso modificate a seconda delle edizioni,troviamo tutto il percorso manzonianosulla sceltadella lingua,perfetto specchioa rovescio delpercorso che lanostra nazioneaffronterà neglianni, con l’avvicendarsi delle teorie sullalingua. Il punto di partenza, estrattodall’edizione del 1823, vede il dialettonella parte del leone: la sua perdita sarebbeuna gravissima menomazione dalpunto di vista culturale e personale, inquanto prima lingua di molti popolanie non. Il dialetto poi si riverbera anchenella cultura scritta, con parole e locuzionilocali, che danno un certo “coloremunicipale”, per voler usare le paroledel Manzoni. Nell’ultima introduzioneai Promessi Sposi, invece, il Manzoniha ormai maturato definitivamente il suopensiero e vede il futuro nella perfettalingua comune, il toscano fiorentino, cheavrebbe dovuto appianare ogni differenzalinguistica in tutta l’Italia.Questa posizione, espressa anche nellarelazione che ho già citato, è il puntodi partenza delle prime politiche delloStato unitario. Il problema diventava allorail metodo di diffusione della linguasu tutto il territorio, indicato anche questodalla relazione: le soluzioni erano lacompilazione di un vocabolario, il Novovocabolario della lingua italiana secondol’uso di Firenze (1870-1874), presente intutte le scuole e abbastanza economico dapermetterne l’acquisto anche ai privati,la revisione dei testi scolastici da parte difiorentini e la circolazione in tutta Italia dimaestri toscani. Non si trattava di un’operadi soffocamento dei dialetti, ma di promozionedel fiorentino a livello di linguanazionale non solo per gli strati dotti dellapopolazione, ma per tutto il neonato e, perla maggior parte, inconsapevole popoloitaliano.Foto: iStockphoto.com/Ugly_Mau18 • n. 3, settembre-dicembre 2010
Il futuro della terza etàSi è molto dibattuto sull’effettivo numerodi italofoni nel periodo immediatamentesuccessivo all’unificazione italiana,in quanto il numero varia notevolmente aseconda dei dati presi in considerazione.Secondo gli studi del De Mauro (1970),gli italofoni erano circa 600.000 su unapopolazione di 25 milioni di individui,ovvero appena il 2,5%. Questi dati furonoottenuti calcolando, però solo il numerodella popolazione scolarizzata, trascurandoaltri elementi importanti, consideratiinvece nei calcoli del Castellani. Egli infattiattesta come il numero di italiani conpossibilità di accesso all’istruzione e allacultura fosse più alto, aumentando così di390.000 il numero di italofoni. Inoltre ilCastellani calcola come italofoni anchetutti gli abitanti della Toscana e, dal 1871,quelli del Lazio (analfabeti e non), perchélinguisticamente prossimi al toscano. Ilconto sale così a 2.220.000, il 9,5% dellapopolazione. A queste stime bisogna ancheaggiungere chi aveva la competenzapassiva dell’italiano, ovvero lo comprendevasenza parlarlo: basti pensare che neipaesini del Sud e anche in qualcuno delNord, era indispensabile capire l’italianoper avere rapporto con i notabili del paese(il medico, il farmacista e l’avvocato), disolito gente istruita che non sempre usavail dialetto. Dialetto che, comunque, avevaancora una forte influenza e un forteutilizzo anche nelle classi più colte. Testimonianzedirette del Manzoni riportanoche esso era utilizzato anche in conversazionidi alta cultura e che comunquegià esistevano variazioni regionali diitaliano, come il “parlar finito” milanese(così chiamato perché consisteva generalmentenel concludere le parole, che per lamaggior parte neldialetto milanesevengono troncate).Il Manzonitestimonia ancheuna delle debolezzedell’italiano,ovvero la mancanza in esso di terminispecialistici e tecnici, facendone emergerel’insufficiente diffusione sul piano qualitativoe quantitativo.All’inizio del Novecento l’unità culturalee linguistica dell’Italia era ancora benlontana, nonostante i grandi progressi comunqueavvenuti. Contemporaneamente,si ha in questo periodo un grande sviluppodell’industrializzazione, con conseguenzeabbastanza rilevanti, quali una crescenteurbanizzazione (migrazione interna) euna sempre maggiore emigrazione versol’estero, con picchi di partenze annue superiorial mezzo milione.Con lo scoppiare della Prima GuerraMondiale si ha un’ulteriore spinta versola creazione di un’identità nazionale e diun’identità di lingua: si vengono a trovarea contatto uomini delle più diverse partid’Italia, obbligati a vivere esperienzetraumatiche fianco a fianco nella vita diUna prima forma di italiano veroe proprio è la koinè delle cortirinascimentali, di base fiorentinama influenzata dai vari dialetti.trincea. Questa comunione di sofferenzemette per la prima volta in contatto gentemolto distante culturalmente e geograficamente,rafforzando l’idea di essere,prima che del proprio paesino, italiani,con una lingua che non è il dialetto, mal’italiano, indispensabile per capirsi lontanoda casa.Dopo la fine della guerra, con l’avventodel fascismo, si ha un ulteriore raffor-panorama per i giovani • 19