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numero 3/2010 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani numero 3/2010 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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150 anni di Unità d’ItaliaAlla fine dell’Ottocento la metadegli emigranti era l’America,ma nel secondo dopoguerradiventò l’Europa.mente il triangolo Torino-Milano-Genova,mentre nel resto d’Italia predominava ancoraun’economia agricola, quasi sempredi sussistenza o legata alla preponderantee ingombrante presenza di latifondisti. Itimidi passi avanti fatti a livello tecnologicoe un deciso miglioramento produttivonon fecero altro che radicalizzare ledivisioni di un paese ancora poco unito,creando contrasti e differenze sostanzialifra le varie classi sociali e fra le diversearee del regno, nonché tra i diversi settoridell’economia italiana dell’epoca. Talecrescita, inoltre, era del tutto incapace disoddisfare il notevole incremento demograficoche interessò il Regno d’Italia inquegli anni. A una decisa diminuzionedella mortalità infantile non corrispose,infatti, una riduzione della natalità, cheal contrario a fine Ottocento raggiunsepicchi altissimi. Venne così a crearsi unadisoccupazione crescente e fu propriouna tale drammatica situazione, unitaalla speranza di trovare fortune miglioriall’estero, a spingere milioni di italiani adabbandonare il Bel Paese, quasi sempresenza essere accompagnati da certezze oda progetti lavorativi e di vita.Tra le destinazioni più “gettonate”dagli emigranti italiani di fine Ottocentovi furono le Americhe. I trasferimentitransoceanici furono infatti favoriti dalnotevole sviluppo che ebbe la navigazionea vapore, soprattutto nei porti italianipiù importanti, quali Napoli, Palermoe Genova. Grazie a tale crescita, siridussero abbondantemente i costi delviaggio, nonché i tempi necessari perattraversare l’Atlantico. Le Americhe,inoltre, rappresentavano una grandissimaattrattiva per i lavoratori italiani. Sianegli Stati Uniti sia in Argentina e Brasilevi era un’amplissima richiesta di manodoperaspecializzata. Ma molti furonoi nostri migranti anche verso l’Uruguaye l’America centrale, così come versoalcuni paesi dell’Africa settentrionale ele colonie italiane nel continente nero.L’emigrazione verso l’Europa, invece,era ancora numericamente circoscrittaalla Francia e di molto minore rispetto aquella americana. Quest’ultima si ridussein seguito alla Prima Guerra Mondialesoprattutto a causa delle prime normerestrittive emanate dai quei paesi chefino ad allora avevano accolto milionidi migranti, non senza difficoltà e malumori.Spesso, infatti, gli italiani nonfurono ben accetti nei paesi dove si recavanoper cercare lavoro, come ha bendimostrato Gian Antonio Stella nel suobestseller L’orda. Quando gli albanesieravamo noi, edito nel 2002 da Rizzoli.Nelle pagine di Stella è possibile ritrovareracconti di veri e propri linciaggi edi altre drammatiche esperienze di tanticonnazionali partiti alla ricerca di unfuturo migliore e vittime di soprusi o diaccuse giudiziarie ingiuste (basti pensarealla vicenda degli anarchici Sacco eVanzetti). Insomma: gli italiani hannovissuto sulla loro pelle quel vocabolariodella xenofobia che oggi, purtroppo, siaffaccia nel nostro paese nei confrontidi quei migranti che la fortuna vengonoa cercarla da noi. L’emigrazione americanagiunse quasi a esaurirsi nel secondodopoguerra, mentre quella europeaebbe un enorme sviluppo. Privilegiate inparticolare Francia, Germania, Belgio eSvizzera. È in questi paesi che si trovanotutt’oggi le più grandi comunità di italianiall’estero, spesso riunite in nutriteassociazioni.In un’analisi storico-demografica dicentocinquant’anni di storia italiana nonbisogna dimenticare i flussi migratoriinterni, che hanno visto e vedono tuttoratantissimi lavoratori e studenti lasciare leregioni del Sud per quelle settentrionali.Qui l’economia ha avuto uno sviluppomolto maggiore rispetto a quella meridionale,la cui crescita è stata rallentatada politiche assistenziali e dall’influenzanegativa della criminalitàorganizzata.Nelle cittàdel Centro-Nordoggi è possibileincontrare tantissimistudentifuorisede che lasciano la terra d’originealla ricerca di maggiore organizzazioneuniversitaria o di migliori chance lavorative.Emblematici rimangono i treni che,carichi di studenti e lavoratori, percorronol’asse Nord-Sud durante le vacanzenatalizie, quando tutti i fuorisede fannoritorno a casa per trascorrere alcuni giornicon la propria famiglia, nella propria terra,come ben descritto recentemente dalgiovane scrittore pugliese Mario Desiatinel suo libro Foto di classe. U uagnon sen’asciot, edito da Laterza.Nell’Italia del XXI secolo il dato piùinteressante a livello socio-demografico èla cosiddetta “fuga dei cervelli”, ovveroquel fenomeno che vede tanti, tantissimigiovani di talento lasciare l’Italia verso paesistranieri nei quali la ricerca è più finanziatae dove possono sentire maggiormentericompensato il proprio lavoro in terminieconomici, di prestigio e di riconoscimentosociale. In un recente articolo di RosariaAmato, pubblicato su “La Repubblica”del 30 novembre 2010, è stato riportato undato preoccupante: negli ultimi vent’annil’Italia, anche a causa di politiche universitarieche non si sono rivelate abbastanzaefficaci, ha perso circa quattro miliardi dieuro in seguito alla fuga di giovani ricercatoriall’estero (la cifra è stata calcolatadall’Icom, Istituto per la Competitività,in un’indagine commissionata dalla FondazioneLilly e dalla Fondazione Cariplo,tenendo conto di 456 brevetti a cui hannocontribuito ricercatori italiani emigrati).12 • n. 3, settembre-dicembre 2010

150 anni di Unità d’ItaliaLa percezione che si ha è che l’Italiasia un paese in vera e propria transizionedemografica, che sembra diventare semprepiù un “paese per vecchi”, se si consideral’innalzamento dell’età media e soprattuttoil crollo radicale delle nascite che da anniinteressa le giovani coppie italiane, chenon sono mai state accompagnate da adeguatepolitiche di sostegno da parte dei varigoverni che si sono succeduti. È anche perquesto che l’Italia, dopo più di un secolo diemigrazione e di sviluppo economico, haattirato negli ultimi vent’anni una massicciaimmigrazione, ormai perennemente alcentro del dibattito politico, con propostedi contenimento o di integrazione tutt’altroche condivise tra gli esponenti dei partitie tra i cittadini, spesso non adeguatamenteinformati in merito. Spesso, purtroppo, nelrapportarsi agli stranieri che si trasferiscononello stivale, gli italiani dimenticano laloro esperienza secolare di emigranti e ilinciaggi subiti all’estero, generando quelleforme di xenofobia alle quali ho già accennatoe che, sebbene espressione di unapiccola minoranza, lasciano sconcertati egenerano contraddittorie riflessioni nellasocietà civile.In centocinquant’anni il Bel Paese,terra di santi, poeti e navigatori, si è caratterizzatoanche e soprattutto cometerra di emigranti, nelle forme più svariatee con le destinazioni più varie. Recentementel’inaugurazione del Museodell’Emigrazione presso la gipsoteca delComplesso Monumentale del Vittorianoa Roma ha ulteriormente riaffermato l’attualitàdel tema, con uno sguardo a 360gradi sul secolo e mezzo di fenomeni migratoriche hanno visto l’Italia protagonista,nel bene e nel male, da una partecon le storie disuccessi lavorativi,fortune, riscattodalla povertà eorgoglio italianoe dall’altra conquelle di linciaggi,esecuzioni, razzismo e torti subiti percolpa della propria cittadinanza o delproprio aspetto fisico. La collaborazioneall’allestimento della mostra da partedella Presidenza della Repubblica, dellaPresidenza della Camera, del Ministerodei Beni Culturali e del Ministero degliEsteri è un segno tangibile di quantoSopra: Ellis Island, isola di fronte allacittà di New York, è stata fra la finedell’Ottocento e la metà del Novecento ilprincipale punto d’arrivo degli emigrantiche volevano raggiungere gli Stati Uniti.Oggi ospita il Museo dell’Immigrazione(sopra il titolo alcune delle valigie che visono esposte).Negli ultimi vent’anni l’Italiaha perso più di quattro miliardidi euro per la fuga dei giovaniricercatori all’estero.lo Stato italiano, in primis negli organiche lo rappresentano, avverta la necessitàdi svolgere una profonda retrospettivasull’esperienza emigratoria vissuta eun’analisi accurata su quella immigratoriache oggigiorno vive. Occorre, indubbiamente,un’attenta e profonda riflessionesul fenomeno migratorio, per nondimenticare chi siamo stati, cosa abbiamoprodotto nel nostro paese e all’esteroe ciò che abbiamo subito, ma soprattuttoper diventare cittadini migliori di unmondo sempre più globalizzato.Foto: iStockphot/xlh1panorama per i giovani • 13

150 anni di Unità d’ItaliaLa percezione che si ha è che l’Italiasia un paese in vera e propria transizionedemografica, che sembra diventare semprepiù un “paese per vecchi”, se si consideral’innalzamento dell’età media e soprattuttoil crollo radicale delle nascite che da anniinteressa le giovani coppie italiane, chenon sono mai state accompagnate da adeguatepolitiche di sostegno da parte dei varigoverni che si sono succeduti. È anche perquesto che l’Italia, dopo più di un secolo diemigrazione e di sviluppo economico, haattirato negli ultimi vent’anni una massicciaimmigrazione, ormai perennemente alcentro del dibattito politico, con propostedi contenimento o di integrazione tutt’altroche condivise tra gli esponenti dei partitie tra i cittadini, spesso non adeguatamenteinformati in merito. Spesso, purtroppo, nelrapportarsi agli stranieri che si trasferiscononello stivale, gli italiani dimenticano laloro esperienza secolare di emigranti e ilinciaggi subiti all’estero, generando quelleforme di xenofobia alle quali ho già accennatoe che, sebbene espressione di unapiccola minoranza, lasciano sconcertati egenerano contraddittorie riflessioni nellasocietà civile.In centocinquant’anni il Bel Paese,terra di santi, poeti e navigatori, si è caratterizzatoanche e soprattutto cometerra di emigranti, nelle forme più svariatee con le destinazioni più varie. Recentementel’inaugurazione del Museodell’Emigrazione presso la gipsoteca delComplesso Monumentale del Vittorianoa Roma ha ulteriormente riaffermato l’attualitàdel tema, con uno sguardo a 360gradi sul secolo e mezzo di fenomeni migratoriche hanno visto l’Italia protagonista,nel bene e nel male, da una partecon le storie disuccessi lavorativi,fortune, riscattodalla povertà eorgoglio italianoe dall’altra conquelle di linciaggi,esecuzioni, razzismo e torti subiti percolpa della propria cittadinanza o delproprio aspetto fisico. La collaborazioneall’allestimento della mostra da partedella Presidenza della Repubblica, dellaPresidenza della Camera, del Ministerodei Beni Culturali e del Ministero degliEsteri è un segno tangibile di quantoSopra: Ellis Island, isola di fronte allacittà di New York, è stata fra la finedell’Ottocento e la metà del Novecento ilprincipale punto d’arrivo degli emigrantiche volevano raggiungere gli Stati Uniti.Oggi ospita il Museo dell’Immigrazione(sopra il titolo alcune delle valigie che visono esposte).Negli ultimi vent’anni l’Italiaha perso più di quattro miliardidi euro per la fuga dei giovaniricercatori all’estero.lo Stato italiano, in primis negli organiche lo rappresentano, avverta la necessitàdi svolgere una profonda retrospettivasull’esperienza emigratoria vissuta eun’analisi accurata su quella immigratoriache oggigiorno vive. Occorre, indubbiamente,un’attenta e profonda riflessionesul fenomeno migratorio, per nondimenticare chi siamo stati, cosa abbiamoprodotto nel nostro paese e all’esteroe ciò che abbiamo subito, ma soprattuttoper diventare cittadini migliori di unmondo sempre più globalizzato.Foto: iStockphot/xlh1panorama per i giovani • 13

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