150 anni di Unità d’ItaliaAnche la Toscana si avviò adiventare una provincia del futuroRegno d’Italia, consegnandogliuna ricca tradizione culturale.Un’aria tutta particolare, invece, si respirain quel periodo nello Stato pontificio;un periodo di grandi e profondi cambiamenti,che coincise con il lungo pontificato(1846-1878) di Pio IX. I due scettri delpotere sono destinati a dividersi nel nuovoregno d’Italia, dove la sfera temporale puòessere gestita solo dall’autorità regia e alpontefice è riservata la guida spirituale.Questa rivoluzione non può essere accettatapassivamente dal papa, che, dopo labreccia di Porta Pia del 20 settembre del1870 e la successiva annessione dello Statopontificio al Regno d’Italia, riprende ilnon expedit del 1868 e invita i cattolici adastenersi dalla vita politica. Comincia inquesti termini la nota “questione romana”,per la quale un papa, che si dichiara ostaggiodel Regno, si ostina a non riconoscernela legittimità e a ribadire quanto già affermatonel 1850 in un accorato invito allepotenze europee a intervenire in proprioaiuto: “domandiamo che sia mantenuto ilsacro diritto del temporale dominio dellaSanta Sede, del quale gode da tanti secoliil legittimo possesso universalmente riconosciuto”.Il Regno d’Italia diviene uno“stato senz’anima” e dovranno passareanni prima che Roma divenga una capitaleeffettiva, che sappia assolvere al compitodi rappresentare la nuova istituzione e assumereil ruolo di faro dello stato-nazione.Bisogna attendere più di mezzo secolo perveder tramontare quell’ostilità resa manifestanella questione romana e giungere aun compromessoche trova nei PattiLateranensi del1929 la sua piùcompleta concretizzazione.La storia è fattadi continui sviluppi e involuzioni, ma ciòche non può essere passato sotto silenzio èil persistere dell’idea di nazione. Dopo 150anni dalla costituzione dell’Unità d’Italianon è più la questione romana a interessarele diatribe accademiche, è forse ancorala questione meridionale a far sorgerequalche interrogativo sulla gestione degliaffari statali e a essere inevitabilmentestrumentalizzata da una visione di cortoperiodo della politica, dimentica dell’idead’Italia come luogo spirituale, come terramadre, che ospita un popolo unito da unaricca eredità di lingua, tradizioni e comuniideali.10 • n. 3, settembre-dicembre 2010
150 anni di Unità d’ItaliaFoto: iStockphoto (empusa; craftvision)Italiani, popolo di poeti,santi ed emigrantiA centocinquant’anni dall’Unità, occorre una riflessione condivisa sulfenomeno emigratorio italiano, per affrontare al meglio le nuove sfidesocio-demografiche del Bel Paese.di Livio GhilardiDal 1861 ad oggi il numero dicittadini italiani che hannolasciato la loro terra d’origineha superato i 30 milioni.L’emigrazione è da sempre un elementopressoché onnipresente nella storia dell’Italiaunita. Sin dai suoi primissimi vagiti,lo stato italiano si è misurato con questofenomeno, la cui rilevanza non è legataesclusivamente all’ambito demografico,ma anche e soprattutto alle evoluzioni economichee sociali. Dal 1861 ad oggi, il numerodi cittadini italiani che hanno lasciatola loro terra d’origine verso altri paesi haabbondantemente superato i 30 milioni. Eil fenomeno, sebbene notevolmente lontanodai picchi numerici segnati nel primodecennio del XX secolo, non sembra arrestarsi.Esso assume semmai nuove formee riguarda diverse fasce della popolazioneitaliana, mentre cresce, di converso, l’immigrazioneverso l’Italia da parte, soprattutto,delle popolazioni di quei paesi che siaffacciano sul Mar Mediterraneo o la cuieconomia è ancora fortemente arretrata.Prima del 1861, gli Stati che di lì apoco sarebberostati assorbitidal Regno d’Italianon subivanoflussi migratori dilivello significativo,anche a causadelle politiche economiche da essi adottate.Sebbene si sia erroneamente portati apensare che l’emigrazione caratterizzassegià allora il Sud (all’epoca riunito sotto ilRegno delle Due Sicilie), in realtà furonosoprattutto gli stati della parte settentrionaledella penisola a essere protagonistidei primi flussi migratori, rivolti in particolareverso la Francia, la Svizzera e il nascentestato tedesco, mentre nel Meridionenon vi erano movimenti degni di nota.Con l’unificazione del Regno d’Italiatra il 1861 e il 1870, e in particolare dal1876, cominciarono i primi veri e propriflussi migratori verso il resto d’Europa ele Americhe. Ancora una volta, si trattòdi un fenomeno prevalentemente “settentrionale”:gli abitanti di Veneto, Friuli-VeneziaGiulia e Piemonte componevano il47% degli italiani che a fine Ottocento abbandonaronoil neonato regno alla ricercadi migliori fortune, cercando di lasciarsialle spalle difficilissime condizioni economiche.Anche al Sud, tuttavia, dal 1880iniziarono a profilarsi quelle dinamicheche avrebbero raggiunto livelli altissimidi lì a pochi decenni.La motivazione principale di un fenomenodi tale portata va certamente ricercatanegli sconvolgimenti economici, socialie demografici che segnarono i primianni della storia dell’Italia unita. Sebbenesi fosse ormai formato lo Stato italiano(non senza difficoltà e contrasti interni,basti pensare al fenomeno del brigantaggio),il neonato regno era tuttavia privo diunità economica. Lo sviluppo industrialeera solo agli albori e riguardava esclusiva-panorama per i giovani • 11