150 anni di Unità d’ItaliaIl prestigio di vecchie capitalie il sogno unitarioDopo la costituzione dello Stato italiano le antiche capitali dei regnipre-unitari sono destinate a una lenta e inesorabile involuzioneprovincialista: evanescenti ombre alle periferie dell’Italia.di Marianna Meriani“Ogni collettività umana avente un riferimentocomune e una propria cultura e unapropria tradizione storica, sviluppata suun territorio geograficamente determinato[…] costituisce un popolo. Ogni popolo hadiritto d’identificarsi in quanto tale. OgniSolo il 17 marzo 1861 l’Italia puòproclamarsi uno Stato unitario eprepararsi ad affrontare le nuovesfide della modernità.popolo ha diritto di affermarsi come Nazione”.È la dichiarazione dei diritti collettividei popoli, firmata a Barcellona nelmaggio del 1990, a positivizzare il dirittonaturale dei popoli all’autodeterminazioneesterna e alla liberazione dal giogo straniero.È stata l’Italia tutta ad aver scosso lesue dolenti membra, vessate ormai da tanti,troppi secoli, dall’invasore straniero. È statoil ΧIΧ secolo il tempo dei grandi motiliberali, che hanno visto una nazione nonancora Stato in vestedi attrice sul setdella storia, nel disperatodesideriodi unire quanto erastato fino a quelmomento artificialmentediviso, non potendo più metterea tacere quello spirito di ricongiungimentoche anelava a costituire l’Italia e lanciavaun triste grido all’invasore perché liberasseuna terra che non gli apparteneva: “o stranieri,nel proprio retaggio / torna Italia, e ilsuo suolo riprende; / o stranieri strappatele tende / da una terra che madre non v’è”(Marzo 1821, A. Manzoni).Solo il 17 marzo 1861 l’Italia può proclamarsiuno Stato unitario e prepararsicosì ad affrontare le nuove sfide della modernità,dovendo però far fronte a una seriedi problematiche derivanti dal repentinomutamento istituzionale. Sicuramente nonpossono essere passate sotto silenzio lequestioni connesse all’involuzione provincialistadelle capitali dei regni pre-unitari,anche se non manca qualche eccezione percittà come Torino, che, pur spodestata nel1865 dall’elevazione di Firenze a capitaledel neonato Regno d’Italia in attesa dicedere lo scettro a Roma, vivrà comunqueun grande sviluppo futuro in quanto centropropulsore del vecchio regno sabaudo, divenutoleader nella conduzione della politicaitaliana. È principalmente Napoli, chedel vecchio Regno delle Due Sicilie erastata florida capitale, a divenire spettro dise stessa, passando da un’antica condizioneche l’aveva vista protagonista sulla scenaeconomico-culturale a testimonianzaancor viva di quella lacerazione profondatra un Nord all’avanguardia e un Sud og-Foto: iStockphoto/lrescigno8 • n. 3, settembre-dicembre 2010
150 anni di Unità d’Italiagetto di disattenzioni, ma che il trasformismorende appetibile. Non si può nasconderequesta realtà, tanto che veementi sonole accuse di intellettuali come Salvemini,che negli Scritti sulla questione meridionalearriva a sostenere che “se dall’unitàil Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli èstata addirittura assassinata: ha perduto lacapitale, ha finito di essere il mercato delMezzogiorno, è caduta in una crisi che hatolto il pane a migliaia e migliaia di persone”.Nel saggio Nord e Sud dei primi annidel Novecento, Francesco Nitti delinea connon minore realismo le differenze tra laNapoli post-unitaria e quell’antica panaceadel meridione, che, grazie agli stabilimentiserici e ai numerosi cotonifici, potevavantare la propria condizione di principaleesportatrice di prodotti tessili del Regnodelle Due Sicilie, seguita poi dalla vicinaSalerno, che aveva così pregiati lanificida essere stata ribattezzata “la Manchesterdelle Due Sicilie”. Non meno sviluppatoera il settore dell’industria pesante grazieal polo metalmeccanico di Pietrarsa, cheproduceva materiali per navi e locomotive,divenendo col tempo la più grandefabbrica di tutta la penisola. Il Regno delleDue Sicilie aveva poi, oltre alle risorsecampane, altri importanti centri propulsoriin territorio calabrese e siciliano, dove vierano rispettivamente rinomate fonderieper la produzione della ghisa e fabbricheper la lavorazione dello zolfo. Verosimile,dunque, risulta il quadro tratteggiato daNitti, che presenta una stima precisa delcontributo portato da questo florido regnoalla ricchezza italiana, il cui patrimonioammontava a circa quattrocento milioni dilire oro, contro i novanta del Granducatodi Toscana e dello stato pontificio e i soliventisette del Regno di Sardegna. Il regnoborbonico, pur apportando la più bassapercentuale di debiti e la maggior ricchezza,deve coprire il ben più consistentedebito del regno sabaudo e sopportare laferita ancor più dolorosa della perdita dellapropria leadership economica a causa diun’industrializzazione volutamente realizzatanel Nord.Con l’Unità d’Italia Napoli (nella paginaprecedente), cuore del Regno delle DueSicilie, perse lo status di capitale; lostesso destino toccò a Firenze (a destra),ex capitale del Granducato di Toscana.Firenze, però, fu capitale del Regno d’Italiadal 1865 al 1871. Nella pagina successiva:Torino, capitale del Regno di Sardegna, fucapitale italiana dal 1861 al 1865.Non tutto però cambia, non si modificaquell’ingiusta stratificazione della società,per la quale l’essere è definito dal possederee l’acuta critica di Giuseppe Tomasidi Lampedusa, secondo la quale cambiatutto affinché nulla cambi, sicuramenterispecchia quellacristallizzazionesociale non affrancatasidal vecchiobaronaggio. Quella“Babele dellastoria” – comeusava definirla Stanislao Nievo – non riescea sottrarsi agli artigli di una storia forsetroppo rapace e poco rispettosa delle suesecolari tradizioni.Passando al caso toscano, invece, unaserie di errori caratterizza la reggenza diLeopoldo II, causando l’inesorabile declinodel Granducato, che sin dagli alboridella sua costituzione si era distinto per leesemplari novità in campo socio-politico,ma che nel decennio pre-unitario non sagestire il repentino cambiamento istituzionale.La dinastia lorenese poteva vantaretra i suoi esponenti Leopoldo I, sovranoilluminato che aveva retto le redini delGranducato nella seconda metà del ΧVIIIsecolo e dato avvio a una serie di grandi riformepolitico-economiche. Degne di notaerano state l’abolizione del datato sistemacorporativo, l’eliminazione delle elevatetariffe doganali e la loro sostituzione conmeno onerosi dazi protettivi, l’imposizionediretta dei tributi e la predisposizione diun piano per la riduzione del debito pubblico.La novità più significativa era stata,però, la rinnovata legislazione penale: nel1786 la Toscana è il primo paese europeoad abolire la pena di morte e il 30 novembre,giorno della promulgazione del nuovocodice penale, è diventata la data simbolocontro la pena capitale (attualmente sonoDopo l’Unità, Napoli, che erastata la florida capitale delRegno delle Due Sicilie, divennelo spettro di se stessa.141 i paesi che hanno stabilito, di diritto odi fatto, di non eseguirla più). Lo stesso carisma,tuttavia, non caratterizza la politicadi Leopoldo II, teso a difendere le sorti delsuo trono più che il benessere del Granducato:lega la sua politica alle sorti della dominazioneaustriaca sul Lombardo-Veneto,e, costretto ad una rovinosa fuga in seguitoalla costituzione della fragile RepubblicaToscana, proclamata il 15 febbraio 1850all’arrivo di Mazzini a Livorno e a conclusionedei moti indipendentisti, non hail coraggio di accettare l’invito sabaudo aunirsi nella lotta contro l’Austria. Inevitabileè l’abdicazione e la consegna dellapropria terra ai Savoia, che nel febbraiodel 1860 procedono alla sua annessioneal Regno di Sardegna. Anche la Toscanasi avvia a divenire solo una provincia delfuturo Regno d’Italia, a cui consegna unaricca tradizione politico-culturale. La terradi Dante e del Petrarca, la culla della linguaitaliana, la patria del riformismo illuminatonon è sottratta agli errori della politica enon esce indenne dagli inganni del potere.Foto: iStockphoto/da-kukpanorama per i giovani • 9