SOCIETÀLa crisi? È il momentoper rinnovare e consolidaredi Antonio GulliOrmai sono mesi che tutti i telegiornali, quotidiani e rotocalchi – con diversiaccenti – si rivolgono ai propri lettori affrontando il tema della crisi. Delresto, come può essere altrimenti? Milioni di persone in tutto il mondo hannovisto eroso il proprio stato di benessere; coloro che si trovano ad occupare le fasce44più deboli e meno protette della società hanno visto venirmeno i pochi appigli per poter vivere una vita appenadignitosa. Sappiamo tutti che, nell’attuale caso, la naturadi questa debacle è squisitamente finanziaria. In generale,si può affermare che il cancro dell’irresponsabilità– alimentato dallo smisurato egoismo prodotto dallepulsioni bulimiche della voracità e dell’ingordigia – nonpuò che produrre distruzione. Distruzione di ricchezze,di sicurezze e di futuro che – come la storia insegna – sipresenta sempre, nei suoi effetti, in maniera disumanaper la parte maggiore degli individui e in maniera iniquaper tutti. Non c’è dubbio che quando un sistema – di qualsiasinatura esso sia – entra in crisi, la sensazione che sidiffonde è quella di trovarsi gettati all’interno di uno scenarioin cui alcuni sentimenti prevalgono e altri sfumano.Quelli a prevalere non possono essere altri che quelliche si raggruppano intorno all’area del vincolo e dell’impossibilità.Non si può più fare ciò che finora si è fatto;non si può più utilizzare ciò di cui prima si poteva disporre;non si ha più quello che prima si poteva percepirecome a portata di mano. Ciò alimenta uno dei sentimentipeggiori: il senso di vulnerabilità. E, con questo, lapercezione di sfiducia verso le possibilità, da un lato, edella sottrazione di qualsiasi prefigurazione di futuro, dall’altro.Insieme alla sfiducia e alla caduta di una qualsiasipossibilità di proiettarsi nel futuro, la possibilità di operaredelle scelte si fa più rarefatta. Il buon senso ci diceche si può operare una scelta quando si godono almenodue o più opportunità. Nei momenti di crisi sono proprioqueste a scemare, a percepirsi più lasche o, almeno, a percepirsicon meno disponibilità. Si può affermare, quindi,che le crisi sottraggono – o comunque ridimensionano inmaniera potente – sia l’esperienza dell’esercizio della proprialibertà che quella del libero arbitrio.Quando si avverte l’impraticabilità delle opportunità, ovverodei modi attraverso cui fare fronte alla realtà, la sensazionedi insicurezza può diventare angoscia, fino a produrrecomportamenti dettati dal panico. E i sentimenti,quando sono lesi, hanno la capacità di incidere fortementesul comportamento razionale; sulla strutturazione diuna strategia equilibrata e sulla messa appunto di azioni““Distruzione di ricchezze, di sicurezzee di futuro che si presenta sempre in manieradisumana per la parte maggioredegli individui e in maniera iniqua per tutti
SOCIETÀponderate. Nella migliore delle ipotesi, una condizionementale in cui il senso di costrizione prevale può portare,semplicemente, a moderare i propri consumi; cancellareabitudini o, per chi è più fortunato, eliminare il superfluo.Nella peggiore delle ipotesi, può rimettere in discussionele già ristrette basi della quotidianità e quindigettare nello sconforto i più deboli e, in loro, far crescereil sentimento di impotenza. Seppur quanto detto è giàcapace, di per sé, di mostrare tutta la drammaticità e richiamarequalsiasi attenzione, il punto centrale di questotipo di fenomeno non è solo questo, quanto quelloche parte dalla considerazione che, se le crisi sui generispossono presentarsi nel tempo in maniera imprevedibile,i danni che queste producono possono essere immaginati.Per cogliere meglio il senso del tema indicato, sideve ricordare che tutte le crisi – e la storia sta lì a dimostrarequesto – sono cicliche. Ovvero che il loro presentarsisul palcoscenico degli avvenimenti è imprevedibilenei tempi e nei luoghi, ma che gli effetti – anche se mostranocaratteristiche proprie e non riducibili – possonoconsiderarsi – anche se non del tutto – valutabili in anticipo.In sostanza prevedibili. Se ciò è vero – ovvero chegli effetti delle crisi possono essere previsti –, allora si devepensare che i danni che una crisi può produrre si leganoalla vulnerabilità stessa delle vittime che produce.È bene ricordare che i disastri – sia quelli naturali chequelli prodotti dall’uomo – hanno una cosa in comune:la loro possibilità di modificare irreversibilmente l’ambientein cui si verificano. Quindi le caratteristiche delcontesto sono fortemente connesse ai danni che una crisipuò produrre. Se si pensa al terremoto, è facile intuireche, se le infrastrutture sono solide, i danni possonorisultare limitati; se si pensa all’attuale crisi finanziaria –con le tragiche conseguenze sull’economia reale –, si puòLe crisi sottraggono – o comunqueridimensionano in maniera potente –sia l’esperienza dell’esercizio della proprialibertà che quella del libero arbitrioimmaginare che le perturbazioni sociali possono esserelimitate se si rivolge lo sguardo, da un lato, ai fattori connessiagli elementi messi in stato di crisi e, dall’altro, allevulnerabilità del sistema all’interno del cui la crisi siverifica. Ovvero, nel caso attuale, ai fattori di interruzionedei meccanismi di ri–organizzazione in termini ridistributividelle risorse. La semplice ricetta può essere dare dipiù a chi ha di meno, attraverso la produzione di risorseaggiuntive da destinare allo scopo. E come produrre dellerisorse aggiuntive per abbassare il costo ineguale dellacrisi? Per meglio comprendere quanto indicato sarà opportunocogliere il significato del termine crisi. Una crisiproduce inevitabilmente dei danni. I danni, inevitabilmente,mettono in atto uno stato di emergenza. E che cosa èuno stato di emergenza? È una situazione in cui la routinesalta a favore di una chiamata, che si rivolge a tutti, acompiti straordinari. E l’azione straordinaria non può esserealtra che il sovvertimento del meccanismo nella distribuzionedel profitto a favore di chi è più colpito dallostato di crisi. In questo caso lo Stato non deve farsi produttoredi ricchezza – come così immaginato nelle ideologieche ci siamo lasciati alle spalle –, quanto garante delmeccanismo di ridistribuzione delle risorse. Ridistribuzioneche non può non vedere un accordo tra i principaliattori della produzione di ricchezza: ovvero imprenditorie, a vario titolo, lavoratori. In sostanza mettere in attouna strategia bottom–up piuttosto che top–down. Alvertice del sistema dovrebbe essere affidato il ruolo di garantireuna certa quota di “percezione di prevedibilità” acoloro che operano. Ovvero garantire un contesto altamenteprevedibile, dove si può indicare cosa sta per accadereo si sa cosa rispondere a ciò che potrà accadere.Non è una questione solo di fiducia, ma di sicurezza. Lafiducia gioca sul futuro; la sicurezza sul presente. L’unarimanda all’altra come condizione necessaria al fine dicomprendere ciò che è avvenuto (passato). Questi si possonoindicare come gli “interstizi” spazio–temporali dovecercare le risorse più importanti per ripristinare la cosiddettanormalità.Questo può significare togliere alla crisi la potenza di avvalersidella vulnerabilità del sistema su cui la crisi stessasi può avvitare. Togliere, cioè, quell’amplificatore, inmodo che l’evento non riesca a produrre più danno diquanto non sia capace. E se questo è vero, dall’altro, favorireanche strategie di adattamento più flessibili ai ciclidi straordinarietà. Naturalmente, conoscere, prevedere,approntare strategie non riduce la probabilità delverificarsi di una calamità, ma riduce fortemente il dannoche la stessa è capace di produrre. Che, a ben vedere,è proprio quello che può portare al collasso, ovveroal di sotto di una soglia oltre la quale nessuna riabilitazioneavrebbe possibilità di riuscita. •45
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