Editoriali 1

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09.08.2015 Views

<strong>Editoriali</strong> 3quale prioritario il compito di favorire processi di crescita, soprattuttoculturali. Una spinta propulsiva importante, questa, capace di trainare piùdiffusi e positivi processi.E’ per ciò che pensiamo a questo lavoro editoriale come un primo contributoinserito nell’ambito di un progetto più complessivo, che si sostanzierà in altreazioni: la pubblicazione, in collaborazione con l’Arcidiocesi di Cosenza e laPostulazione della Causa, dell’Opera Omnia dell’Abate Florense ed ancorail sostegno agli studi e alla ricerca paleopatologici che certamente, conl’ausilio delle sofisticate tecniche in uso, saranno in grado di offrire nuoveinformazioni, parlarci meglio di questo grande uomo, del quale, ad esempio,potremo vedere ricostruito il volto.Riteniamo che si potranno così aprire nel suo nome straordinarie vie e laconcreta prospettiva della generazione di una ricchezza; una dote comune,culturale, di conoscenza, di spiritualità, da condividere e della quale sentirsiper parte proprietari, con merito che deve andare a quanti si sono impegnatiin questa missione di così vasta portata.In questa direzione sentimenti di sincera gratitudine devono essere voltialla Chiesa Cosentina guidata con autorevolezza e passione da MonsignorSalvatore Nunnari, che si è posta con determinazione e dedizione alla missionedi restituire l’Abate Florense alla luce più fulgida che Egli ha meritato.Nel momento in cui si spera nella concretezza di vedere riconosciuto da partedella Chiesa il titolo di Beato a Gioacchino da Fiore, grazie al compimentodella preziosa e minuziosa opera di Postulazione della Causa, affidata a donEnzo Gabrieli, giovane sacerdote ed intellettuale che ha offerto un importanteapporto alla redazione di questo numero speciale, attraverso la sua diffusionecoltiviamo la fondata speranza di contribuire, oltre che alla conoscenza, anchefar emergere in tutti noi orgoglio.L’orgoglio di condividere comuni origini con un una personalità così alta,capace ancora dopo tanti secoli di illuminare non solo la storia del pensierospirituale ma anche questa terra. La terra nella quale Gioacchino ha intesopiantare i buoni semi della riflessione, oggi pronti a germogliare nellapienezza di una rinnovata primavera.


4 <strong>Editoriali</strong>Luminosa figuradella Chiesa cosentinaMons. Salvatore NunnariArcivescovo di Cosenza-BisignanoPonte tra patristicae teologiamedievale indicacon grandeattualità il primatodello SpiritualeQuesta esperienza spirituale che l’abate Gioacchino testimonia nellasua Expositio in Apocalypsim è la provvidenziale chiave di letturadella sua spiritualità e della sua intelligenza sulle Scritture e sullastoria per accostarci con grande attenzione a quanto raccolto inquesto prezioso numero monografico del periodico "La Provincia di Cosenza".Una indiscutibile opera culturale che contribuisce a diradare ombre, senecessario, su una così grande figura della nostra terra e della nostra Chiesa.L'abate Gioacchino da Fiore è luminoso faro, che si staglia tra le tempeste dellastoria e non si è mai confuso con le burrasche teologiche ed eretiche, né mai èstato collocato nelle fulminee e violente aggressioni alla Chiesa, al Pontefice(al quale peraltro ha sempre prestato obbedienza), ai costumi ed alla morale.Egli si colloca, con la sua poliedrica figura, nel filone della teologia come figura“ponte” tra l’interpretazione allegorica e simbolica della Bibbia come facevanoi Padri e la speculazione teologica dei dottori. Non si può cogliere il messaggiodell'Abate, sul primato della Parola e sul primato di Dio, sganciato dal suoessere nella Chiesa e dal suo continuo contatto con le Sacre pagine e l'Eucarestia.In questo anno che per la nostra Chiesa è tutto "eucaristico" Egli ci mostra tuttala forza ed il dinamismo misterico di Dio che viene, entra nella carne e nellastoria dell’uomo, si trasfigura e parla al suo cuore in maniera sublime proprionell’Eucarestia. È l'esperienza di sempre. Lo è stata per Giovanni, che la raccontanel libro dell'Apocalisse, lo è stata per i Santi, lo è stata per lo stesso Gioacchino.Deve essere tale anche per noi, come fu per quei due discepoli che lasciandoGerusalemme si dirigevano delusi a Emmaus: il Signore si accostò a loro, aprì illoro cuore all'intelligenza delle Scritture e lo riconobbero nello spezzare del Pane.Il monaco florense può essere indicato come uno degli ultimi Padri ed unodei primi teologi. È una grande figura, come ormai hanno provato tantissimistudi, che ha interessato non solo l’ambito della teologia diretta, ma anchequella indiretta, penetrando nei grandi ed illuminati geni della storia: dalfrancescanesimo spirituale fino a san Bonaventura a Dante, da Colombo aMichelangelo, solo per fare solo qualche citazione alla luce di questo lavoro.Lo stesso nostro amato pontefice, papa Benedetto XVI, lo ha incrociato nel suopercorso di studio ed ha avuto per lui una grande attenzione.La nostra Arcidiocesi porta avanti un lavoro di ricostruzione storica e teologicadella figura di questo figlio eletto, il cui primo discepolo è stato illuminatoArcivescovo nel XIII secolo commissionando la realizzazione della nostrabellissima Cattedrale. Sono passati dieci anni da quando sono state avviate tuttequelle fasi preliminari di studio teologico, storico e anche medico sui resti mortali,affinché si possa fornire alla Chiesa tutto quanto necessario perché finalmente siariconosciuto quel culto e quel titolo di beato di cui egli già gode ab immemorabile.Ringrazio l'Amministrazione Provinciale di Cosenza, particolarmente nella personadel suo Presidente, l'on. Gerardo Mario Oliverio, che in una stretta sinergia con lanostra Arcidiocesi, la Postulazione della Causa e la giovane redazione del nostroSettimanale diocesano "Parola di Vita", ha permesso la raccolta e la pubblicazionedi questo nuovo contributo sulla vita, l'opera, il messaggio e la fama di santitàdell'Abate Gioacchino da Fiore, fondatore dell’Ordine dei Florensi.


<strong>Editoriali</strong> 5Gioacchino, l'uomodella ricerca costanteQuanto raccolto in questa "preziosa" pubblicazione fortemente volutadal Presidente della Provincia, on. Gerardo Mario Oliverio,contribuirà sicuramente a far conoscere l'Abate Gioacchino daFiore. Un cercatore, un avventuriero dello spirito, un vero calabrese,un uomo di fede "innamorato di Cristo" e della Chiesa, che nella suaspeculazione teologica ha dato il primato alla contemplazione della presenzadi Dio nella storia degli uomini. Una storia, abitata dalla Trinità, che si svelagradualmente e completamente, all'intelligenza dell'uomo spirituale che simette in ascolto. Gioacchino è l'uomo della ricerca costante, che dura tutta lavita, ma che sa anche distinguere il piano spirituale da quello teologico, fino aprofessare ciò che la Chiesa crede, ogni qualvolta lo ritiene necessario, ma allostesso tempo a spingersi verso orizzonti nuovi.Egli è monaco. Sta davanti al suo Signore nell'esperienza spirituale della grotta,intravede la sua presenza, la racconta attraverso il simbolo e la rozzezza del linguaggioumano ai suoi fratelli. Ma proprio perché "penetra" la storia non è staccatodalla sua terra che ama in maniera viscerale; i luoghi diventano "epifania"di presenza, Egli stesso diventa per la sua gente araldo e difensore, annunciatoredi un tempo di giustizia e di pace, dove a governare sarà lo Spirito di Dio.La stessa Chiesa, che vive momenti di confusione, troverà rocce solide nellefigure di uomini spirituali, che non di certo annulleranno la sua struttura socialee gerarchica, ma che la "lavoreranno" dal di dentro. L'epoca dell'Abate èquella delle grandi istanze spirituali, dei movimenti pauperistici, che culminerannonegli Ordini monastici ben orientati di Francesco d'Assisi e Domenicodi Guzman. La sua stessa esperienza si pone a cavallo tra due epoche, tra duevisioni monastiche, tra due modi di meditare e mediare la Parola, tra il tempodei Padri e quello dei Teologi. Egli fa sintesi tra il monachesimo di AntonioAbate e quello più di taglio Occidentale che prevedeva forme di solitudineconcatenate con momenti di vita comunitaria.L'ordine florense, la cui Regola è scomparsa, appare caratterizzato da questanuova tipologia. Il primato della Parola fornisce nella Concordia il terreno fertileper la nuova esegesi, che in lui gustiamo in tutto il sapore della patristicama anche nei primi passi di speculazione teologica.Siamo veramente grati all’Amministrazione Provinciale di Cosenza, nel cui territoriotra l’altro ricadono tutti i luoghi gioachimiti, per aver voluto dare spazio a questagrande figura di cosentino e di uomo di fede e di scienza. Uomo capace di fare sintesi(con la vita) e testimoniare la grandezza della gente calabra superando i confinigeografici, allora come oggi, con la portata del suo pensiero. All'onorevole Oliveriova ascritto anche il merito della presentazione in Consiglio regionale, nel lontano1989, della proposta della legge che istituiva ufficialmente il Centro Internazione diStudi Gioachimiti di san Giovanni in Fiore, nato qualche anno prima, contribuendocosì a sostenere alla ricerca ed alla pubblicazione di tantissimi studi sull'abate.Da queste pagine emerge che il santo non è l'eroe, il superuomo, è un innamoratodi Dio che dopo aver contemplato il suo volto, goduto della sua misericordia,annuncia ai suoi fratelli le meraviglie del suo amore e diventa testimone, a volteanche profeta scomodo, per un popolo che attende "cieli nuovi e terra nuova".Don Enzo GabrieliPostulatore della Causa


sommario2 <strong>Editoriali</strong>Una eredità feconda di pensieroLuminosa figura della Chiesa cosentinaGioacchino, l'uomo della ricerca costantepag. 2pag. 4pag. 5950618 L'Abate di FioreLa vita dell'Abate di FioreCronologia della vita di Gioacchino da FioreGioacchino erede del monachesimo bizantinoLa corte di Palermo nel XII secoloLe opere dell'AbateCredo ciò che la Chiesa credeChe fine hanno fatto i florensi28 I luoghiCelico. Un paese che lambisce il "cielo"Un appello per la casa natale di GioacchinoQuell’antico “rifugio dell’anima”Corazzo, la prima esperienza monasticaPietralataFiore come NazaretScoperte archeologiche a Jure VetereSan Martino di GioveNel cuore della Sila la prediletta Chiesa di GioacchinoL’abbazia di San Giovanni in Fiore caposaldodell’architettura florenseProgettista e attuatore di un nuovo Ordine religiosopag. 8pag. 11pag. 13pag. 15pag. 18pag. 21pag. 22pag. 28pag. 31pag. 32pag. 34pag. 36pag. 42pag. 45pag. 47pag. 48pag. 50pag. 538958 Il monacoIl monachesimo meridionale: Nilo, Gioacchino eFrancesco da PaolaGioachimismo e francescanesimo nel DuecentoGiaocchino e Bonaventura negli studi del giovaneRatzingerIl Duomo di San Rufino in Assisipag. 58pag. 62pag. 65pag. 68120


speciale Gioacchino da Fioremarzo 2011Periodico di Amministrazionepolitica e cultura69 Il teologoGioacchino da Fiore il teologoDinamica trinitaria nel messaggio profetico diGioacchino da FioreLa visione della storiaLa Chiesa nell’età dello Spirito Santo93 Cultura e attualitàLiber figurarum nuova forma di comunicazioneIl pensiero simbolico dell'Abate calabroLa terza età: il debito di Dante verso Gioacchino da FioreIl calavrese abate Giovacchino di spirito profetico dotatoGioacchino non ha nulla del ribelle o dell'ereticoGioacchino, Michelangelo e la SistinaCade il velo della Cappella SistinaGioacchino e Jung: l'era Cristiana e l'Anticristo112 L'uomo di DioIl messaggio di Giovanni Paolo II per l'VIII Centenariodella morteNella Chiesa nessuno passa invanoIl beato Gioacchino cantato nella Liturgia delle Ore daiflorensi per la sua intelligenza spiritualeLa Fama Sanctitatis dell’Abate di FioreLe raffigurazioni dell’abate Gioacchino da FioreGioacchino santo o eretico?140 Studi e ricercheSui passi di GioacchinoDa Jovinise a Monte FondenteLa ricognizione canonicaGli studi sui resti mortali152 Iconografia antica e modernaGioacchino da Fiore nella evangelizzazione dell’AmericaIconografia in America LatinaCristoforo Colombopag. 69pag. 80pag. 87pag. 88pag. 93pag. 97pag. 99pag. 101pag. 103pag. 105pag. 109pag. 111pag. 112pag. 116pag. 119pag. 120pag. 127pag. 129pag. 140pag. 143pag. 145pag. 149pag. 152pag. 154pag. 156Spedizione abbonamento postaledistribuzione gratuitaRegistrazione al Tribunale di Cosenzan. 604 del 10/12/1997Direzione, redazione e amministrazionePalazzo del GovernoPiazza XV Marzo, CosenzaTel. 0984.24428EditoreAmministrazione Provinciale di CosenzaDirettoreGerardo Mario OliverioDirettore ResponsabileFrancesco DinapoliCoordinamento EditorialeMariuccia De VincentiHanno contribuitoalla realizzazione di questo numero:Postulazione della Causa di Canonizzazione"Parola di Vita" - Settimanale DiocesanoCentro Internazionale di Studi GioachimitiCommissione Storica DiocesanaFelice AccroccaAntonio AcriAngela AltomareSalvatore BartucciRocco BenvenutoFilippo BurgarellaValeria De FrajaPietro De LeoLeonardo FalboPamela FranzisiEnzo GabrieliRaffaele IariaJürgen KuhlmannPasquale LopetroneSalvatore Angelo OliverioMaria Cristina Parise MartiranoLuca ParisoliAntonio PompiliMarco RaininiFrancesco RedaMarjorie ReevesDimitris RoubisDebora RuffoloCarmela SalvinoAurelio ScaglioneFrancesco ScarpelliRaffaele SciontiFrancesca SoglianiAntonio StaglianòFotoArchivio Postulazione della CausaArchivio "Parola di Vita"Progetto grafico e impaginazioneDino GraziosoStampato nel mese di marzo 2011Stabilimento Tipografico De Rosewww.provincia.cs.it


8 L'abate di FioreEnzo GabrieliLa vitadell'Abate di FioreNuovi dati biografici. Vita e opereGioacchino, Abate diFiore, nasce a Celico intornoal 1135 da Mauro,di professione notaio, eda Gemma. La sua formazione culturalelo porterà a fare esperienzapresso la Cancelleria imperiale diPalermo. Ma accanto agli studi ilgiovane celichese non disdegnava ilrapporto con il trascendente e la ricercadi Dio.Molte volte, come si racconta in diversebiografie, si portava nella vignadel padre, e in una zona fitta divegetazione viveva i suoi intimi momentidi preghiera.Si racconta pure di una pietra “lungae larga” che gli serviva da inginocchiatoioma anche da letto dovesi stendeva per guardare il cielo, elanciare il suo sguardo verso la vallatacosentina e verso l’orizzontecalabrese che lascia intravedere dauna parte il mare e dall’altra la montagnasilana.Non abbiamo molti dati storici sullagiovinezza di Gioacchino, sappiamoperché ad un certo punto della suavita abbandona la carriera pressola Cancelleria e parte mosso dalloSpirito, per la Terra Santa. Un viaggioabbastanza lungo che lo portaa visitare, forse successivamentealla Crociata del 1148, i territoridella Palestina, la Siria e la stessaCostantinopoli.Vi rimase parecchio tempo e passòun periodo di intensa preghiera sulmonte Tabor, dove lui stesso raccontadi aver avuto la giusta ispirazionesulla sua vocazione e sul servizio dicontemplare e commentare le SacreScritture.È qui che ebbe anche una “visione”che gli avrebbe dischiuso, come scrivelui stesso, la comprensione dellaParola di Dio.Rientrato dalla Palestina verso il1168 e il 1170, visse un periodo dieremitaggio sulle pendici dell’Etnain anfratti che facilmente i monaciusavano. In Oriente egli aveva conosciutoil monachesimo degli anacoreti:uomini che si consacravano,nella solitudine, alla contemplazionedi Dio, all’ascolto della Parola ealla preghiera.Ritornato in Calabria si fermò nellazona di Bucita, vicino San Fili (CS).Ancora una volta il richiamo delloSpirito lo portava nelle zone solitarie,fino alla decisione di avvicinarsiall’Abbazia cistercense dellaSambucina di Luzzi, presso la qualevisse per un breve periodo, senza diventareperò monaco.Dopo meno di un anno, Gioacchinoritorna nella zona di Rende dove sidedica alla predicazione e alla spiegazionedelle Sacre Lettere fino aspingersi all’abbazia di Corazzo,dove, dal vescovo di Catanzaro,Michele da Martorano, riceve gliOrdini minori.L’accoglienza a Corazzo è datata1171, data importante perchéGioacchino passa dall’appartenenzaal clero secolare a quello delMonastero, abbracciando la vita monacale.A Santa Maria di Corazzo fu nominatoabate già nel 1177, e per la caricaricevuta, l’anno successivo si recaa Palermo alla corte di Guglielmo IIper perorare la causa della sua abbaziae difenderne i possedimenti.Chiese alla Sambucina l’affiliazione,ma gli venne rifiutata perché l’abbaziadi Corazzo era povera, cosìtentò nel 1183 anche con Casamari,ma anche questo tentativo fallì.Gioacchino fu ospite in questa famosaabbazia per diverso tempo. Quipotè lavorare ad alcune sue opere,e incontrò quello che sarà il suocompagno, amico e primo biografo,Luca Campano, futuro arcivescovodi Cosenza.Gioacchino lo notò per la sua bravurae chiese all’abate Geraldo di assegnarglieloperché lo coadiuvasse nelsuo lavoro, insieme ad altri due monaciche aveva portato con sé comecopisti, Nicola e Giovanni.L’Abate di Fiore resta a Casamarifino al 1185, e qui lui stesso testimoniadi aver avuto due forti visionirelative al senso della Scrittura edin particolare sulla Trinità e sullaParola di Dio. Queste visioni lo sostenneronella composizione dellesue tre opere maggiori: la Concordiatra il Vecchio e il Nuovo Testamento,l’Esposizione dell’Apocalisse e il Salteriodelle dieci corde.Durante la permanenza in questaimportante abbazia, Gioacchino


L'abate di Fiore 9a fiancoGioacchino aureolato - Codice Chigiano(A. VIII. 231)Biblioteca Apostolica Vaticanaebbe anche la possibilità di colloquiarecon Papa Lucio III, a Veroli;era l’anno 1184 e il Pontefice lo incoraggiònel suo studio e a proseguireil suo lavoro. Qui Lucio III gli chieseanche la spiegazione di una stranaprofezia rinvenuta tra le carte delcardinale Matteo di Angers, che eramorto da poco. Fu in questa occasioneche l’Abate calabrese composel’opera Commento ad una profeziaignota.Nel 1185 l’Abate torna a Santa Mariadi Corazzo, dove rimane fino al1186, quando decide di ritirarsi aPetra Lata, o Petra Olei, insieme aRaniero da Ponza.Durante il suo governo nell’abbaziadi Corazzo, Gioacchino si era ancherecato a Verona nel 1186 per rendereomaggio al nuovo papa, ClementeIII. Anche questo Pontefice lo avevaincoraggiato a scrivere e a continuarela sua opera a servizio dellaChiesa.Ritiratosi a Petralata l’Abate proseguenella riflessione del suo idealedi vita monastica, che esprime nelTrattato "Sulla Vita di San Benedetto"per il suo forte richiamo al monachesimoe agli ideali di vita che lui stessovoleva abbracciare.Ma questa volta la decisione creauna frattura: i monaci di Corazzoprima, i cistercensi poi, lo accusaronodi violare la prima regola delmonachesimo, quella della stabilitànel monastero. In realtà Gioacchinonon voleva restare a Corazzo perchéla vita non si conciliava con i suoidesideri di studio e di contemplazionedella Parola, soprattutto per le responsabilitàe la carica che ricopriva.Di fronte a questi violenti attacchi ealle pesanti accuse mosse anche daRoberto di Molesme (che aveva daparte sua abbandonato i benedettiniper i cistercensi) e da Goffredodi Auxerre (personalità di spiccodei cistercensi ed ex segretario diSan Bernardo), l’abate rispose conil Trattato Il Significato dei Canestrinel quale difendeva le sue scelte conuna riflessione spirituale e non rispondevaa male con male.In esso esaminava la visione dei canestridi fichi di Geremia ed esortavaa non resistere alla forza con la forza;un invito che aveva anche un respirouniversale, riferendosi all’ormaiaperto conflitto tra il Papa e FedericoBarbarossa.Intanto in Terra Santa si andavadelineando la caduta dei Luoghi diCristo nelle mani dei musulmani.Per questo drammatico evento dellacristianità l’Abate proponeva ai cristianila via della fede e le armi dellaluce, piuttosto che una risposta armata;una riflessione che ritroviamonel Manuale sull’Apocalisse.La contesa tra l’Abate e i cistercensinon si risolse subito. Nel 1188 funecessario infatti un intervento direttodel Papa Clemente III, sollecitatodallo stesso Gioacchino, che loesentò dal suo compito e l’abbaziaCorazzo passò sotto la giurisdizionedell’Abbazia di Fossanova.Questo intervento sbloccò l’Abatee lo spinse ad intraprendere nuoveiniziative. Gioacchino si mosse cosìverso la Sila, in cerca di un luogoadatto per istituire la sede del suonuovo ordine. Ma anche quelli furonoanni difficili; ci volle tutta latenacia del calabrese. Si recò finanche,personalmente, tra il 1190 e il1191 dal re Tancredi che gli concessequanto voleva sui terreni silani,senza pretendere tasse; le generoseelargizioni del sovrano, più legate astrategia politica per allargare il consensoche per buon cuore, permiserola fondazione del Monastero dedicatoa San Giovanni Evangelista inlocalità Jure Vetere (Fiore Vecchio)non molto lontano dall’attuale SanGiovanni in Fiore.Nel suo soggiorno sicilianoGioacchino ebbe modo di incontrareanche Riccardo Cuor di Leone,diretto in Palestina per la terza crociata;a lui spiegò il significato deldrago apocalittico dalle sette teste.La corona inglese, pubblicamenteostile al Papato, usò successivamentela profezia e la simbologia diGioacchino, per accusare il papa diessere l’Anticristo mettendo sullabocca dell’Abate parole che lui nonaveva mai detto.Anche l’altra profezia biblica dellacaduta di Napoli, come disse simbolicamenteGioacchino, parlandodell’immagine biblica di Tiro cadutaper volere di Dio sotto i colpi di


10 L'abate di Fiorea fiancoLiber Figurarum - TavolaI cerchi trinitariNabucodonosor, che era tenuta sottoassedio da Enrico VI fu usata percategorizzare Gioacchino fra i veggenti.Enrico VI che credette, ancheper opportunità, alla profezia smettendodi combattere, fu riconoscenteall’Abate, ed in seguito gli concesseulteriori donazioni permettendo almonastero di accrescere i suoi beni ei suoi possedimenti.Le difficoltà per l’Abate però nonerano finite; alla morte di ClementeIII, suo protettore, infatti, il Capitolodei Cistercensi ricominciò ad attaccarel’abate definendolo anche unfuggitivo ed intimandogli di rientraresubito a Corazzo.Gioacchino naturalmente rimasesulla sua posizione e fu necessarioun nuovo intervento papale, quellodi Celestino III, che approvò la primaRegola dell’Ordine florense, edemanò la Bolla pontificia Cum Nostranella quale chiariva definitivamentela posizione dell’Abate rispetto ai cistercensi.Nel 1194, per i florensi si aprì unmomento florido: Enrico VI, dopoaver incontrato a Nicastro l’abateGioacchino, mentre si recava aPalermo per essere incoronato feceuna generosa donazione all’ordine,accresciuta l’anno successivo.Nel 1196 l’Abate si recò alla corte aPalermo, e il Venerdì Santo, fu convocatodall’imperatrice Costanzad’Altavilla per la confessione pasquale.Fu in questa occasione cheGioacchino le intimò di scenderedal trono e inginocchiarsi comeMaddalena penitente davanti a lui,che in persona Christi, (cioè a nome enella persona di Gesù Cristo, comesuo ministro) le dava l’assoluzione.Costanza fu impressionata dal monacocalabrese; non solo gli confermòle donazioni, ma le garantì conun Diploma emanato a Messinapoco prima della sua morte.Sul trono di Pietro saliva un nuovopapa, Innocenzo III. Il pontefice checonosceva bene il pensiero e le operedell’Abate, che aveva anche lettoe utilizzato nei suoi scritti affida aGioacchino la predicazione dellaCrociata presso le popolazioni meridionalie volle come suo confessore, epoi come suo Legato in Spagna, dovesi era diffusa l’eresia catara, Ranieroda Ponza compagno dell’abate.Fu un atto di grande riconoscenzaverso l’Abate, ma anche una abilemossa politica per raccogliere espingere a collaborare con la Chiesale fasce tradizionaliste attraversoRaniero, che era rimasto cistercense,e accattivarsi la simpatia della cortesiciliana che aveva in grande stimaGioacchino.Da parte sua il neo Abate di Fioreottenne donazioni e concessioni e ricevettel’autorizzazione di costruireuna chiesa a Caput Album, nei pressidel Monastero di Fiore.Nell’anno 1200 l’Abate decise discrivere la sua Lettera Testamentoche firmò e sigillò personalmente.Egli sottoponeva tutta la sua produzioneall’autorità della Chiesa,ricordando che furono tre papi adesortarlo a scrivere, ed invitava isuoi confratelli ad inviare, in caso diimprovvisa morte (per le necessarieapprovazioni) tutte le sue opere alPontefice.Nell’anno successivo il 1201, il vescovodi Cosenza Andrea, donò aGioacchino una piccola chiesa in localitàSan Martino di Canale pressoPietrafitta.Qui l’Abate volle fondare una nuovagrancia.Egli, che seguiva personalmente ilavori di costruzione della nuovafondazione, vi si recò nell’inverno,dopo aver attraversato i rigori silanie qui fu chiamato dal Signore nelRegno dei cieli la sera del 30 marzodel 1202.Morto in concetto di santità fu sepoltoa Pietrafitta, dove il suo corpo fucustodito e venerato per alcuni anni,prima di essere traslato nell’attualeabbazia, intorno al 1226, dove è testimonela venerazione e numerosimiracoli proprio in occasione dellatraslazione dei suoi resti mortali.


12 L'abate di Fiore12monastico e la donazione di cinquantasalme di segale all’anno.Incontra a Messina il re ingleseRiccardo Cuor di Leone, che trascorrel’inverno in Sicilia insieme al re diFrancia Filippo II Augusto in attesadi partire per la Crociata, e vieneconsultato su un passo dell’Apocalisseriguardante l’Anticristo.Incontra a Napoli Enrico VI cheammonisce a recedere dall’assediodella città. L’imperatore interrompel’assedio e torna in Germania.1192Il Capitolo Generale dei Cistercensiingiunge all’abate Gioacchino e almonaco Raniero di presentarsi entrola festa di san Giovanni Battista.1194Il 21 ottobre, a Nicastro, Enrico VI concedea Gioacchino il tenimentum Floris.1196In aprile è a Palermo con Luca pertrattare questioni di pertinenza territoriale;nell’occasione incontra econfessa l’imperatrice Costanza.Il 25 agosto Celestino III approvale Costituzioni del nuovo OrdineFlorense.1198Dopo la morte di Enrico VI, si recaa Palermo dall’imperatrice Costanzaper chiedere la conferma delle donazioniavute dal marito.Tra il 30 agosto e il 1° settembre,Innocenzo III lo incarica di predicareinsieme a Luca di Casamari,divenuto nel frattempo abate dellaSambucina, la crociata per la liberazionedella Terra Santa.1200Dopo la morte di Costanza, si recaancora alla Corte di Palermo dal reFederico e ottiene l’ulteriore donazionedi Caput Album.Scrive la lettera-testamento, elencandoalcuni dei suoi scritti che, in casodi sua morte improvvisa, i Florensiavrebbero dovuto inviare alla SantaSede per eventuali correzioni.1201L’arcivescovo di Cosenza, Andrea,gli dona una chiesa in località Canalenella pre-Sila, presso Pietrafitta,dove Gioacchino ha già cominciatola costruzione di una dipendenza.Simone di Mamistra, Signore diFiumefreddo, dona al monastero diFiore la chiesa di Santa Domenicacon tutti i territori di pertinenza, sucui sorgerà il monastero florense diFonte Laurato.1202Si ammala e muore, il 30 marzo 1202,a San Martino di Canale (Pietrafitta).ante 1226Le reliquie di Gioacchino vengono traslateda San Martino di Canale nellanuova chiesa abbaziale di San Giovanniin Fiore e collocate nella cappella didestra del transetto, in una tomba terragna.Questo nuovo complesso abbazialefu costruito più a valle, in localitàFaraclovo, poi detta anch’essa Fiore,presso la confluenza dei fiumi Neto eArvo, a seguito dell’incendio che nel1214 aveva distrutto quasi completamenteil protocenobio di Jure Vetere.Monumento aGioacchino, Celico.


L'abate di Fiore 13Filippo Burgarella *Gioacchino erede delmonachesimo bizantinoIl monaco si formò in un contesto culturale e religioso orientaleIl 19 agosto 1130 nel monasterorossanese del Patir moriva il suofondatore, san Bartolomeo daSimeri, padre del monachesimoitalo-greco d’età normanna. Allora,o qualche anno dopo, nella non lontanaCelico nasceva Gioacchino daFiore, chiamato quasi a succederglinel rango di campione della spiritualità,ascesi e santità calabre, illustrandolebeninteso in seno alla religiositàlatina.Morto il 30 marzo 1202, Gioacchinovisse tra età normanna e i primi annidella sveva: in un’epoca segnata, speciein Calabria, dalla compresenza diGreci e di Latini. I primi perpetuavanola tradizione religiosa greco-ortodossa,rimasta florida in non pochediocesi e monasteri anche dopo la finedel dominio politico dell’Impero bizantinoe l’abrogazione della preminenzadel patriarca di Costantinopoli,sostituita da quella romano-pontificia.Ma prevalevano ormai i secondi,beneficiari degli assetti politici ereligiosi introdotti dalla conquistanormanna dell’XI secolo. Perciò lapresenza e l’influenza di Chiesa e monachesimolatini si facevano semprepiù robuste e capillari. Certo Latini eGreci si differenziavano gli uni daglialtri, fino alla controversia sulle rispettivepeculiarità disciplinari, liturgichee dottrinali; ma dagli uni e daglialtri si irradiavano tradizioni, modelliorganizzativi e forme di religiosità odi spiritualità che non mancavano diarricchire i rispettivi contesti in un intrecciodi influenze. In tale temperieavveniva la formazione intellettuale espirituale di Gioacchino.La sua vita religiosa comincia inambiti e modi prediletti dai monacigreci. La sua rinuncia agli onori delsecolo e della curia regia fu coronatada un pellegrinaggio nell’Orientecristiano, come suggeriscono irari cenni autobiografici e le scarnenotizie degli agiografi, l’Anonimoautore della Vita e Luca Campanoo di Casamari, futuro arcivescovodi Cosenza. Egli visitò forse ancheCostantinopoli, già meta diBartolomeo da Simeri e capitale religiosae culturale ancora influente suGreci e Normanni del Mezzogiorno,e certamente la Terra Santa, ove siinteressò delle varie comunità cristiane(armene, melchite, giacobite).Il suo soggiorno a Gerusalemme edintorni pare risalire al 1067-1068.Allora sul Monte Carmelo, presso lagrotta del profeta Elia, viveva un anzianomonaco-prete, o ieromonaco,calabro-greco a capo di una comunitàdi dieci confratelli, come si legge neldiario di pellegrinaggio di un contemporaneo,il bizantino GiovanniFoca. La Terra Santa era, quindi, frequentatada altri pellegrini e monaci


14L'abate di Fiorenella pagina precedenteIl Monastero di Patir - Rossanoa fiancoIl deserto di Giudanella pagina successivaIncoronazione di Ruggero IIcalabri, per lo più greci. Uno di loroera Gioacchino da Fiore, che non parefacesse parte di quella comunità, solitamentecollegata con gli esordidell’Ordine dei Carmelitani.Tuttavia è ancor più significativo cheil futuro abate Gioacchino, al rientrodal pellegrinaggio verso il 1068-1070, si sia fermato in Sicilia, allependici dell’Etna, e segregato in unaspelonca prossima a un monasterogreco per dedicarsi alla vita eremiticae contemplativa in regime diausterità e di digiuno. Non è casualela scelta del luogo, poiché l’Etna ele sue pendici innevate e gelide eranoda tempo palestra di ascesi per imonaci greci di Sicilia o di Calabria.Egli perciò voleva accostarsi allefonti del monachesimo greco, introdottoe irradiato in Calabria damonaci temprati nell’ascesi nel monasterodi San Filippo d’Agira, sitonell’odierna provincia di Enna, enelle sue dipendenze, alcune anchesull’Etna. Qui i cultori dell’ascesi edella spiritualità orientali iniziavanoalla pratica la nudità e dell’immersionenell’acqua fredda o corrente:una pratica adottata anche dai monacicalabro-greci attivi tra Calabriae Basilicata fin dalla seconda metàdel sec. IX e non priva di analogiecon alcune forme di yoga. Per il tirocinioascetico etneo passarono altricontemporanei di Gioacchino, comei santi monaci siculo-greci NicolaPoliti e Lorenzo da Frazzanò.Ma c’è di più, essendosi Gioacchino lìfermato al ritorno da Gerusalemme.Una scelta quasi ovvia, la sua, poichéla spelonca ricadeva comunquenell’area di pertinenza del monasterodi San Filippo d’Agira, cheera ormai una priorità della storicaabbazia benedettina di Santa MariaLatina di Gerusalemme. Da quest’ultimaera già gemmato l’Ordine degliOspedalieri di San Giovanni, benpresto dotato di beni anche in quelleparti della Sicilia. Il che fa pensareche la spiritualità del futuro abateflorense si fosse arricchita e tempratain Terra Santa, a contatto sia con glianacoreti e gli asceti greci, numerosilungo il Giordano, sia con i religiosibenedettini di Santa Maria Latina econ i pellegrini, crociati e mercantiche allora vi giungevano da ogni angolodella Cristianità.Dalla Terra Santa, quindi, egli rientravacon conoscenze ravvivate daesperienze interecclesiali. Al rientrodalla Sicilia, precisava ulteriormentele sue scelte in senso latino: si recòalla Sambucina, attratto dal modellodi vita spirituale dei locali monaci cistercensi;predicò a Rende e a San Filie fu ordinato sacerdote a Catanzaro;divenne quindi abate di Corazzoe si accostò alla regola cistercensecertamente nel 1177; si dedicò infinenegli anni 90 del secolo alle primefondazioni florensi, sorte dalla rotturacon i Cistercensi. Tuttavia nondimenticò mai la tensione asceticae spirituale di matrice orientale ogreca, tanto più che la sua esperienzadi vita religiosa era a immaginedella concezione ch’egli aveva dellastoria del monachesimo. Infatti, nelTractatus de vita sancti Benedicti, diesso ricordava la genesi orientale el’irradiamento in Italia e nell’Europacontinentale per profetizzarne la rinascitain Italia e il ritorno in Orientein forme più spirituali.* Docente di Storia bizantina pressol’Università della Calabria


L'abate di Fiore 15Luca Parisoli *La corte di Palermonel XII secoloAscendenze culturali tutte ancora da svelareLa corte di Palermo all’epocadi Gioacchino da Fiore è segnatadalla personalità delre normanno Ruggero IId’Altavilla, nato a Mileto nel dicembre1095, e dalle scelte identitariedella dinastia normanna che egli fonda;gli succedette sul trono di SiciliaGuglielmo I il Malo (1154-1166), chedovette fronteggiare l’offensiva militarebizantina, poi Guglielmo IIil Buono (1166-1189), sino alla finedella dinastia degli Altavilla conil regno di Costanza che si chiudenel novembre 1198, per poi passarealla dinastia Sveva con suo maritoEnrico - che muore già nel 1197 - e ilpassaggio dal settembre 1197 al celebreFederico II, Stupor mundi.Il discorso leggendario (quello chefonda la legittimità sociale e politicaben più di ogni cronaca storica, comeattesta anche la cultura popolareoggi - si veda la celebre battuta delgiornalista nel film L’uomo che ucciseLiberty Valance in riferimento all’epopeadel Far West) lega Ruggero IIallo scampato pericolo di una tempestaed al voto che lo portò ad avviarela costruzione della Cattedrale diCefalù, con l’iconografia del Cristopantocrator: il fondatore della dinastianormanna mi pare una figurasimbolica del clima geo-culturale delregno normanno nel XII secolo.Egli fu un difensore della cristianità,e questo non è poi contraddittoriocon il fatto che sia stato due voltescomunicato e per gran parte dellasua vita sia stato in lotta con l’autoritàdella Sede apostolica: RuggeroII è il grande teorico di uno gnosticismopolitico che rifiuta il ruolo dimediazione della Sede apostolica, eche come gnosticismo si caratterizzaalmeno come costante potenziale derivadal deposito della fede cattolica.Lo gnosticismo è innanzittutto unateoria della legittimità politica comeesercizio assoluto di un potere che ilsovrano riceve direttamente da Dio.Come tale, Ruggero II non costruivacattedrali per compiacere la Sedeapostolica, bensì proprio per contrastarlae la sua ammirazione perl’Islam era certo fondata sulla naturateocratica di un potere assolutisticoche papa Gelasio I prima, CarloMagno poi, avevano reso non praticabilenell’Occidente latino. La suaammirazione per il diritto e per la codificazioneè, nel solco della tradizionebarbarica, in parte un’emulazionedel mito romano del diritto, in partela proposta di un diritto i cui contenutinormativi non sono quelli dellatradizione romanistica; il tentativodi codificare le prassi deontiche dellasocietà feudale sotto un re di diritto


16 L'abate di Fioredivino lo mostra efficacemente.Ruggero II non poteva cercare la sualegittimità nel discorso del califfato,ma certo era più a suo agio nell’essereincoronato da un antipapa che daun papa difensore del monismo politico.Il suo obiettivo geo-politico diriunificare tutti i possedimenti normanniin Italia meridionale entrò incollisione con la Sede apostolica nontanto per ragioni tattiche, quanto perun rifiuto consapevole del suo ruolodi mediatrice della legittimità: ilsuccesso militare dei suoi piani creòun’unità geo-politica e geo-culturaletra Sicilia, Calabria e Puglia.Desideroso di instaurare una nuovalegittimità politica, Ruggero II dedicòspeciale cura alla liturgia della suaincoronazione, memore della descrizionecontenuta nella Donazione diCostantino e della liturgia celebratanella notte di Natale dell’anno 800tra Carlo Magno e papa Leone III.Così, la cerimonia del giorno dell’incoronazioneera stata studiata inmodo da essere una messa in scenadell’indicibile, il potere divino di unuomo. Ricevendo il potere solo daDio, Ruggero II adottava anche il fastodella strategia califfale, con unatraslazione del fasto liturgico dovutoa Dio nella tradizione monasticoverso il fasto dovuto al sovrano-Dio.I cavalli che sfilavano per Palermoerano adornati di drappi preziosi efinimenti d’oro e d’argento, metalliche connotavano anche il banchettoin cui i servitori avevano vesti diseta. La funzione religiosa poi, con icori sacri che miravano a spodestarela liturgia corale carolingia, e ilminuzioso cerimoniale creava unadimensione emblematica, squarcioiconico di una legittimità che le parolenon potevano dire.Il famoso mosaico della Chiesa dellaMartorana, ci consegna la rappresentazionedell’evento secondo laconsapevole liturgia che la nuovadinastia voleva fosse trasmessa. Ilre vi appare in vesti orientali, qualebasileus, con fattezze fisiche senzaalcuna preoccupazione di realismofotografico; assomiglia piuttosto aCristo che gli porge la corona, in unascena senza alcuna altra presenza. Ilmonarca riceve solo da Dio, rispettoal quale ripete la struttura del potereassoluto che esercita verso gli uomini:il re normanno è secondo a Dio,ma per ogni uomo egli è primo, perchéa qualunque altro uomo è negatol’accesso a Dio.Il rifiuto dello schema ternario delmonismo politico lo poneva in rottadi collisione non già contingente,bensì strutturale, con la Sede apostolica:la sua Cristianità, sul modellodell’impero Islamico, non era quelladei successori di Pietro. Se fino al1130 le sue monete, come quelle delpadre Ruggero I, portavano impressala formula religiosa araba “nonc’è altro Dio che Allah che nessunoha per compagno”, e come simbolouna T che poteva richiamare laCroce ma senza raffigurarla direttamente,dopo l’incoronazione la T sitrasformò in una Croce con la scrittain greco “Gesù Cristo vive”.Un quadro politico eculturale all’epoca dell’Abate:la geo-cultura normannanella fotoCastello Svevo-Normanno di CosenzaLe ascendenze bizantine dellaformazione culturale diGioacchino da Fiore nonsono state ancora adeguatamentemesse in luce, e questo è uncantiere aperto della ricerca. Mi limiteròqui a ricordare un passo preliminare:mostrare come la geo-culturadominante nel XII secolo, quellanormanna, era tale da favorire unnesso forte tra lo sviluppo intellettualedi Gioacchino e le tradizionibizantine, anche se queste avevanoun carattere recessivo nel XII secoloper l’agenda politico-culturaledominante. Questo perché questageo-cultura aveva una connotazionepolitica fortissima che il pensierogioachimita non recepirà se non condistratta superficialità.Nessun monarca occidentale superavaun re normanno in ricchezze,anche perché era l’unica monarchia


L'abate di Fiore 17assoluta occidentale, e Palermo, ex-capitale degli emiri epunto strategico dell’impero islamico, ricca di magnificipalazzi, fu la sede di re che con la loro pompa e le liturgiepolitiche islamiche ne mostravano il desiderio dieguagliare anche la forza militare islamica di controllodel territorio. L’ideale politico non era tanto il feudalesimo,concezione orizzontale del potere, quanto il califfato;e le milizie saracene al servizio del re - più che del Regno- gli garantivano una dedizione (ed una propensione agliintrighi di corte) che nessun ordinamento feudale francooppure catalano ha mai conosciuto verso il suo sovrano, senon durante la breve parantesi carolingia con il suo idealedi monismo politico. La predilezione per una geo-culturaarabizzante forniva al mondo normanno meridionale uncontro-altare all’antropologia culturale modellata sul depositodella fede cattolica, avvicinandola più ai modelli delMediterraneo meridionale che a quelli del discorso coltoreligioso che si affermava nel XII secolo nel Nord Europa.Ruggero II fece del Regno di Sicilia una delle entità politiche- dal vasto terrritorio nel Mediterraneo centrale - piùpotenti e meglio ordinate grazie alla forza del suo esercitopersonale, ad alleanze salde anche se non durature, epure grazie alla legittimità legislativa fornita dalle Assisedel Regno di Sicilia, date ad Ariano nel 1140. Consegnòai suoi eredi una società priva di ogni traccia di proprietàprivata, creando un diritto naturale sulle terre che nonfaceva più capo Dio, bensì al re-Dio. Era il trionfo del feudalesimoassociato all’assolutismo monarchico: questocorpus di norme costituisce una grande opera legislativa,ponendo le prerogative e i poteri del Re nell’ambito deldiritto, che emana non già dalla ragione, quanto dal suopetto. Le Assise sancivano la possibilità dei sudditi dipoter vivere anche secondo le leggi e le usanze di ogniloro comunità e religione - secondo uno schema tipicodell’Occidente latino, ma esasperato nella direzione dellastruttura imperiale islamica che comporta una pressionefiscale centrale del tutto peculiare su ogni sfera giuridicaaltrimenti autonoma -, e l’assoluta non-disponibilità delleterre, misura destinata a impedire ogni possibilità di nascitadi una società di mercato.Caratteristica del regno siciliano fu l’esistenza di un’amministrazionecentrale assai complessa, che riprendevaelementi dell’esperienza delle occupazioni bizantine edislamiche: il re era assistito da un ristretto gruppo di grandscommis, e da magistrati sparsi nelle province (iusticiariie connestabuli). Esistevano un’amministrazione fiscale rigidae spietata ed una forma di autodisciplina concessaalla comunità araba di Palermo, secondo il modello imperialedel califfato. Speciali prerogative in materia diorganizzazione ecclesiastica, grazie all’apostolica legatioconcessa da papa Urbano II al gran conte Ruggero conla bolla Quia propter prudentiam, erano riconosciute ai sovraninormanni, con la carica di legati papali, ossia direttirappresentanti della Sede apostolica. In esplicito dissensocon gli eredi di Carlomagno - i Franchi, il regno normannofu molto compenetrato dalla visione imperiale califfale,incoraggiando le attività artistiche e culturali dellevarie geo-culture presenti nei territori del suo dominio,secondo una pratica che continuerà con fortune alternesino alla dinastia sveva, in particolare Federico II.Alla Corte di Palermo si conservò la cultura musulmanae di lingua araba; del resto, lo gnosticismo cristiano, nongià come dottrina politica, bensì come concezione del cristianesimo,ha meno problemi di simbiosi con l’antropologiamusulmana di quanto ne possa avere il cristianesimonon-gnostico. Tra i dotti arabi della sua corte, il geografoAl-Idrisi che per incarico del sovrano scrisse il Kitab-Rugiar,ossia Il libro di Ruggero, che costituisce una delle più importantiopere di geografia di tutto il Medioevo. I sovraninormanni, che per tutta la durata del regno adottarono unappellativo arabo che ne accompagnava il nome nelle formuleufficiali, vivevano come sovrani oggetto di adorazionediretta da parte dei sudditi, vestivano all’orientale, tenevanoa Palazzo Reale un harem con fanciulle ed eunuchi, sicircondavano di artisti e intellettuali bizantini e arabi - tracui i poeti ar Rahman e ibn Basurun, cantori della reggia diFavara e delle dolcezze della vita di corte. Non è tanto la teologiamusulmana che influenzava la geo-cultura normanna,quanto le singole culture nazionali operanti nell’ambitodell’impero islamico. Si ricercava l’armonia tra il corpo e lospirito, l’eleganza, la raffinatezza, la poesia, l’arte, la musica,i piaceri dell’intelletto e dei sensi, così come il ciclo diTristano ed Isotta non possono essere assimilati ai lavoridella scuola di Chartres.Tra i re normanni, il regno di Guglielmo III fu particolarmenteproficuo per le arti in Sicilia. Fra le opere avviateda Guglielmo merita una citazione il Duomo diMonreale, realizzato con il beneplacito di papa Lucio III,e l’Abbazia di Santa Maria di Maniace, fortemente volutadalla regina madre Margherita. Anche la splendida costruzionedella Zisa, avviata dal predecessore GuglielmoI, fu completata sotto il suo regno.Questa tradizione culturale della dinastia normanna giunsesino a quel Federico II di Svevia che sia a livello legislativo,sia a livello culturale ripeteva l’agenda di Ruggero II.Questo era il clima culturale dell’élite dominante tra Siciliae Calabria nel XII secolo, ossia il secolo di Gioacchino daFiore, pensatore che pure porta molto più evidenti i segnidi una tradizione geo-culturale del cristianesimo bizantinoche non del mondo musulmano, pur vivendo in un climageo-politico arabizzante (ma anche cesaro-papista).* Docente di Storia della Filosofia medievale presso l’Universitàdella Calabria


18 L'abate di FioreLa grande produzione letteraria durata circa trenta anniLe opere dell'AbateAlla luce delle Scritture il monaco calabrese offre uno sguardosulla storia e sul futuro della Chiesa e delle societàLa stesura delle opere diGioacchino da Fiore, cosìcome, al momento, è statopossibile stabilire, si ponein arco di tempo che va dal 1176(probabile datazione di quello chepare essere il suo primo scritto), al1202, anno della morte. Fino all’ultimo,infatti, Gioacchino fu impegnatonell’elaborazione delle sue opere,tanto che i Tractatus super quatuorEvangelia non sono completi, probabilmenteproprio per il sopraggiungeredella morte.Non è semplice precisare un’esattacronologia delle opere gioachimite,dal momento che l’Abate era solitoritornare più volte, anche a notevoledistanza di tempo, su uno stessoscritto, per completarlo, modificarlo,aggiornarlo ai nuovi sviluppi delproprio pensiero. Un caso emblematicodi questo metodo di lavoro è il testodello Psalterium decem chordarum:completato, secondo un’affermazionedello stesso Gioacchino, tra il 1186e il 1187, fu poi ripreso, modificatoe aggiornato ancora nel 1201, comeattesta in modo esplicito un autorevoleesemplare manoscritto di taleopera, il codice Padova, BibliotecaAntoniana, ms. 322. Inoltre, la stesuradelle opere principali, quali laConcordia e il Commento all’Apocalisse,si colloca in un arco di tempopiuttosto vasto: iniziate nel periodo1183-1184, la loro elaborazione siprotrae fino al 1196 circa (Concordia)e al 1200 (Expositio); contemporaneamente,Gioacchino lavora anchead altri suoi scritti, più brevi e inqualche caso dettati da particolaricircostanze. Un ulteriore problemariguarda in modo specifico il testodi commento all’Apocalisse: l’operaprincipale, l’Expositio in Apocalypsim,è infatti accompagnata da una seriedi trattati introduttivi o di sintesi,dedicati ugualmente all’Apocalisse,scritti in parallelo al commentomaggiore. Un ultimo caso particolareè quello del Tractatus in expositionemvitae et regulae beati Benedicti,in cui sono raccolti, in un tentativodi opera unitaria, diversi sermoni, lacui stesura risale a differenti periodidi tempo.La cronologia delle opere dell’Abatecalabrese risente dunque di tuttequeste problematiche, legate inmodo specifico al suo metodo dilavoro.Una prima, importante ricostruzionedella cronologia delle opere diGioacchino è data da K.-V. Selge,L’origine delle opere di Gioacchino daFiore, in L’attesa della fine dei tempi nelMedioevo, a cura di O. Capitani e J.Miethke, in Annali dell’Istituto storicoitalo-germanico 28 (1990), pp. 87-130;lo studioso tedesco ripartisce la produzionein due sezioni, quella risalenteagli Anni Ottanta del XII secolo(lo spartiacque è il distacco dal monasterodi Corazzo e la salita sullaSila), e quella successiva.Con alcune aggiunte e correzioni, loschema cronologico può dunque essereil seguente:I. 1176 (?)GenealogiaBreve abbozzo in cui si paragona lastoria della salvezza alla figura diun duplice albero (dell’Antico e delNuovo Testamento). La storia umanaè poi divisa in sei età; la sesta, ossiail tempo della Chiesa, è descrittanel libro dell’Apocalisse ed è divisain sei piccole età. Come il popoloebraico subì sette tribolazioni, cosìla Chiesa è destinata a subirne altrettante.II. 1183 (Casamari)Liber de Concordia Novi ac VeterisTestamentiA questo anno risale l’inizio dellaredazione dell’opera e la stesura almenodel libro I; i libri II-IV furonoconclusi non prima del 1188. Tra letre opere principali di Gioacchino, laConcordia è l’unica che l’Abate dichiaraesplicitamente compiuta nel suo


L'abate di Fiore 19nella pagina precedenteCodice Patavino, capoletteraa fiancoUn antico volume dei possedimentigioachimitinella pagina successivaUn diploma sui possedimenti gioachimititestamento (1200). I primi quattro librifungono da ampia introduzionealla teoria esegetica di Gioacchino; ilquinto, pari per estensione ai primiquattro, è un lungo commentario suilibri storici dell’Antico Testamento.Nei libri II e IV troviamo il tema deiparalleli tra le generazioni dei dueTestamenti; nel terzo, l’esame dellacorrispondenza dei sette sigilli; nelV l’applicazione dell’esegesi gioachimitaalla “generalis historia” delracconto biblico.III. 1183-1184 (Casamari)Psalterium decem chordarumA questa epoca risale la stesura dellibro; l’opera viene conclusa, con i libriII e III, negli anni 1186-1187. Il libroI contiene un denso trattato sullaTrinità, suddiviso in sette distinctiones.Nel secondo si prende in esameil significato mistico del numero 150,che rappresenta il totale dei salmi.Può essere letto come un trattato di“teologia sociale”, dal momento chel’abate riflette sul significato e sulvalore dei tre ordines (monaci, chierici,laici). Il terzo libro è brevissimo(aggiunto forse anche per completareil numero tre), ed è un canone salmodicocontenente brevi norme perla recita dei salmi.IV. 1184 (Casamari)Expositio in ApocalypsimA questa data risale il solo inizio deltesto esegetico. È il lavoro più ampiodell’abate. Divisa in otto libri, è precedutadal Liber introductorius, cheriproduce, con qualche variazione,l’Enchiridion super Apocalypsim. Negliotto libri, viene interpretato, versettodopo versetto, il libro dell’Apocalisse,giocando, tra l’altro, sul valore simbolicodel numero sette, ricorrentelungo tutta la struttura del testo apocalittico.L’Abate interpreta l’Apocalissecome una “profezia ininterrotta”,come una grandiosa visione chesuddivide la storia della Chiesa in“septem specialia tempora” corrispondentialle sette parti dell’Apocalisse,e un’ottava parte che corrispondealla glorificazione metastoricadella Gerusalemme celeste.V. maggio 1184De prophetia ignotaCommento ad un testo profeticoanonimo, ritrovato tra le carte deldefunto cardinale Matteo d’Angers.Gioacchino ne fornisce una propriainterpretazione, legata agli avvenimentipolitici del più recente passato.VI. ai primi Anni ’80 – ma in questicasi la datazione è più incerta.Exhortatorium IudaeorumEsortazione alla conversione degliebrei, connessa con il piano salvificodella visione escatologica gioachimita.LAbate confuta i principaliattacchi ai capisaldi della fede cristiana– Trinità, incarnazione, interpretazionespirituale della Scrittura– utilizzando quei luoghi dell’AnticoTestamento in cui, secondo lui,sono prefigurati i dogmi del cristianesimo.De articulis fideiIndirizzato al discepolo Giovanni, loscritto sintetizza gli “articoli” fondamentalidel credo cristiano (Trinità,incarnazione, sacramenti, redenzione,grazia, libero arbitrio, predestinazione,fede/opere, vita attiva/vita contemplativa, ecc…). Inoltre,Gioacchino prende posizione controalcune eresie dell’epoca, quali quellacatara e valdese.Professio fideiDialogi de praescientia Dei et praedestinationeelectorumÈ una professione di fede trinitariache, secondo lo stile dei padri,ogni teologo scriveva di suo pugno.Gioacchino discute con due suoi monacisul fondamento dell’elezionedivina nella storia. Il nesso umiltàperfezionecristiana, fondamentaleper la spiritualità cistercense, vienesottratto all’orizzonte mistico-individualeper essere proiettato in unavisione storico-salvifica. La storiaintera viene considerata come unprocesso regolato dalla dinamicaumiltà-superbia.VII. alla seconda metà degli anni ’80(ma forse prima, nel caso del primosermone) risalgono infine i sermoniraccolti nelTractatus in expositionem vitae etregulae beati BenedictiRaccolta di alcuni sermoni eterogenei,di argomento monastico e diriflessione escatologica. Gioacchinoriflette sul significato storico del monachesimo,e in particolare del monachesimocistercense. Rilegge poi in


20 L'abate di Fiorechiave politica alcuni passi dell’Apocalisse,per spiegare i problemi semprepiù urgenti che la Chiesa del suotempo si trova di fronte, quali quellodell’eresia e della presenza dei musulmaniin Terra Santa.B. Anni 1190 – 1202I. 1188-1192Praephatio super ApocalypsimSi tratta di una “introduzione generale”all’Apocalisse, che Gioacchinoscrisse verosimilmente tra il 1188 e il1192. Qui appare già compiutamenteelaborata la teoria gioachimitadei tre “status” trinitari, a completamentodell’antica dottrina patristicadelle sei età del mondo e della piùrecente dottrina dei sette tempi dellasesta età.Intelligentia super calathisDedicato all’abate cistercense Goffredodi Auxerre, lo scritto commenta la visioneprofetica dei cesti di fichi avutada Geremia (Ger. 24,1-10). Si tratta diun opuscolo a sfondo politico, destinatoa scoraggiare l’ostilità del papanei confronti di Enrico VI, compostaprobabilmente nel 1191, all’inizio delpontificato di Celestino III.III. 1194-1196Enchiridion super ApocalypsimRappresenta la prima redazione diquello che diverrà poi il liber introductoriusdell’Expositio in Apocalypsim.IV. 1196Completamento della Concordia eprobabile presentazione alla SedepontificiaDe ultimis tribulationibusBreve orazione in cui Gioacchinochiarisce alcuni punti della sua dottrina,in particolare dell’intrecciarsidella sesta età di persecuzione e lasettima, di pace, nel quadro storicoinaugurato dall’incarnazione e protesoverso la fine dei tempi.V. 1196-1199Completamento del testo dell’Expositioin Apocalypsim.VI. 1198-1199Stesura dell’introduzione (Liber introductorius)all’Expositio.VII. ultimi anni ’90 – 1202Tractatus super quatuor EvangeliaDiviso in tre distinti trattati, di cuil’ultimo è incompiuto, è l’ultimoscritto dell’abate, dedicato all’interpretazionealternata e concordantedei quattro Vangeli.Degli altri scritti gioachimiti giuntifino a noi, compresa la raccolta ditavole illustrative denominata LiberFigurarum, non è possibile determinarecon sicurezza il periodo dellastesura. Rimangono dunque di datazioneincerta:De septem sigillisBreve opuscolo in cui l’abate riassumele duplici persecuzioni dei dueTestamenti, scandite dai sette sigillidell’Apocalisse (Antico Testamento)e dalla loro apertura (NuovoTestamento).Epistulaea. Domino Valdonensi … abbatib. Universis Christifidelibusc. Testamentum [risalente all’anno1200.]Liber FigurarumRaccolta di “figurae” o di tavole, immaginiminiate di notevole bellezza,che riprendono tutti i temi del pensierodi Gioacchino, riassumendoliin una sintesi simbolica di grandeefficacia.Poemataa. O felix regnum patriae supernaeb. Visionem admirandae ordiar historiaeQuaestio de Magdalena Sermonesa. Sermo in Natali Dominib. Sermo in die cinerumc. Sermo in Quadragesimad. Sermo in dominica Palmarume. Sermo in die paschalif. Sermo in festo sancti IohannisBaptisteg. Sermo “Super fluminaBabilonis” (Ps. 137, 1)h. Sermo de Helisabethet Maria et conceptionibusearumi. Sermo de differentiainter litteram et spirituml. Sermo de iudiciis Deiet de excidio BabilonisSoliloquiumApocalypsis novaScritto inedito; allo statoattuale, non è possibiledire con sicurezzase si tratti di un’operaautentica o meno.


L'abate di Fiore 21Gioacchino da Fiore, primo Abate FlorenseCredo ciò che laChiesa credeNella lettera Testamento del 1200, la chiave di lettura del suoimpegno culturale e della sua testimonianza cristianaAtutti coloro che verranno aconoscenza di questi scritti,Frate Gioacchino, dettoAbate da Fiore, auguraperpetua salute nel Signore.Come si può vedere dalla lettera delPapa Clemente che è in nostro possesso,su mandato del Papa Lucio edel Papa Urbano, mi sono sforzatoa scrivere alcune cose e finora nontralascio di scrivere di ciò che potràcontribuire alla gloria di Dio.E così, grazie all'ispirazione divinae alla mia intelligenza, ho portatoa compimento il Libro DellaConcordia (del Vecchio e del NuovoTestamento) in cinque volumi, l'Esposizionedell'Apocalisse in otto parti econ i vari titoli, il Salterio Dalle DieciCorde in tre volumi, senza contarealtri argomenti che sono contenuti inpiccoli opuscoli sia contro i Giudei siacontro gli avversari della Fede cattolica.E se, mentre sono in vita, ci potràessere qualcosa che sia di edificazioneai fedeli di Cristo e soprattutto aiMonaci, non tralascerò di farlo.Poiché, per la brevità di tempo, nonho potuto finora presentare allaSede Apostolica gli opuscoli, eccettoil Libro della Concordia, per essereda Essa corretti, nel caso quegli scritti,ciò che non nego anche se non nesono consapevole, contengano errorida correggere... e poiché è incertoper l'uomo il numero dei suoigiorni... se mi accadrà di partire daquesto mondo prima di presentarei miei lavori al magistero della SedeApostolica, secondo l'impegno dame preso nell'atto di ricevere il mandatodi scrivere, prego in nome diDio Onnipotente, i miei successori,i Priori e gli altri Fratelli che vivononel timore del Signore e, per quanto èin mio potere, ordino che, conservatigli esemplari nella biblioteca, mandinoall'esame della Sede Apostolicail presente scritto o qualche copiache avranno con sé e gli opuscoli chesecondo il testamento ho già scrittoe gli altri che potrò scrivere fino algiorno della mia morte, e che accettinodalla stessa Sede a nome mio, lacorrezione; prego inoltre che esponganoad Essa la mia devozione e lamia fede. È come sia sempre prontoad accettare ciò che Essa stabilì ostabilirà, poiché non intendo difenderenessuna mia opinione che siacontraria alla Sua Santa Fede, credointegralmente ciò che Essa crede, accettola Sua correzione sia in materiadi costumi che di dottrina, rigettodò che Essa rigetta, ammetto comevero ciò che Essa ammette, credofermamente che le porte dell'infernonon prevarranno contro di Essa, edanche se nel corso dei tempi potràessere turbata e sconvolta dalle tempeste,la Sua Fede non verrà menosino alla fine del mondo.Io Abate Gioacchino ho redatto questoscritto e l'ho firmato di mia propriamano nell'anno milleduecentodell'incarnazione del Signore. E professodi rimanere fedele a quanto inesso contenuto.lo Fratello GioacchinoAbate Florensein bassoLa firma autografa dell'AbateGioacchino


22 L'abate di FioreL'Ordine che ha ceduto il passo alla vita religiosa francescana e domenicanaChe fine hanno fattoi florensi?Le ipotesi storiche su una Regola "scomparsa"Piccolo ordine monasticosorto in Calabria negli ultimianni del XII secolo, adiffusione essenzialmentelocale, ma con alcune dipendenzein Puglia e in Campania, nel Laziomeridionale e in Toscana, l’ordineflorense raggiunse, nel momentodella sua massima espansione,una quindicina di monasteri. A distanzadi quasi quattro secoli dallafondazione, nel 1570, le poche casesuperstiti, che ancora si riconoscevanocome dipendenti dall’abbazia diSan Giovanni in Fiore – in sostanza,i monasteri calabresi – furono unitedefinitivamente all’ordine cistercense.Gli altri cenobi florensi, sorti al difuori della Calabria come nuove fondazionio unificati all’ordine nellaprima metà del XIII, avevano già inprecedenza imboccato strade autonome,al di fuori dell’alveo florense.L’oscurità che grava sulla nascita esulle successive vicende dell’ordineè certo dovuta in primo luogo, comeha rilevato p. Gregorio Penco, alladispersione delle sue fonti:«Il monachesimo florense, sul pianostorico, deve essere considerato (...)soltanto come uno dei tanti movimentirigoristici sorti sul declinaredel Medio Evo e a cui (...) andò congiunta,almeno nelle sue origini, lapredicazione e l’aspettazione escatologicadi una personalità d’eccezione,al bivio tra fede cattolica ederesia. Scomparso Gioacchino e rivelatasistoricamente vana la sua operadi profeta, il piccolo organismo florensenon poté superare le difficoltàche sorgevano da ogni parte dopola facile propagazione dei primidecenni, né riuscì ad alimentare dinuovi elementi i cenobi possedutiche scomparirono con le loro rispettivedipendenze senza lasciare tracce,sicché oggi tale congregazione ciappare come uno dei più lontani edoscuri movimenti religiosi del bassoMedio Evo» 1 .In effetti, la perdita delle istituzionidettate dall’Abate calabrese, lamancanza, per tutto il periodo successivo,di altre testimonianze documentariee istituzionali sulla vitadell’ordine, come gli atti dei capitoligenerali – che peraltro sappiamo chealmeno in qualche occasione furonotenuti – la pressoché totale dispersionedegli archivi dei singoli monasteridell’ordine, tutto questo hanaturalmente ridotto al minimo lapossibilità di indagine e l’attenzionedegli studiosi nei confronti dell’ordine.Nel contesto del monachesimo meridionale,peraltro, la situazionedell’ordine florense non si discostada quella più generale, per certi versidesolante, in cui versano le fontidocumentarie e le conoscenze relativea diversi altri gruppi monastici: lamancanza dei testi di consuetudiniche permettano di cogliere lo stile di1 G. Penco, Storia del monachesimo in Italia,Milano 1961, p. 271.vita praticato all’interno dei monasteriha indubbiamente compromessoin partenza l’interesse e una pienacomprensione anche del progettomonastico elaborato da Gioacchinoda Fiore.Questo quadro estremamente lacunososi è in parte recentemente colmatograzie al ritrovamento, nellaBiblioteca Provinciale di Matera, ditre codici manoscritti, risalenti allafine del XVIII secolo, relativi all’indaginecondotta in Sila da un regiouditore, Nicola Venusio. I volumi,redatti da lui stesso e dai suoi collaboratori,riproducono, tra le altrecose, una cospicua parte dell’ancornutrito archivio documentariodell’abbazia di San Giovanni inFiore, casa madre dell’ordine. In talmodo, grazie a questo materiale, èstato possibile ricostruire almeno ilprimo periodo di vita del monasteroe quell’ordine che a partire dalla Silaha preso piede in altre zone dell’Italiameridionale e centrale 2 .Un’ulteriore fruttuosa pista di ricercasi è rivelata quella relativa alle motivazioniche spinsero Gioacchino aldistacco dall’ordine cistercense, dalui ritenuto, fino ad un certo momentodel suo percorso biografico,la migliore realizzazione possibiledel monachesimo, la forma di spi-2 V. De Fraja, L’ordine florense da Gioacchinoda Fiore al tramonto dell’età sveva, promanuscripto 1999, Università cattolica delSacro Cuore, sede di Milano, tesi di dottoratoin storia medievale.


L'abate di Fiore 23a fiancoRuderi dell'Abbazia di Jure Vetereritualità più alta mai raggiunta nelcorso della storia, per ricercare unaforma diversa di vita comunitaria.In questa direzione fondamentale siè rivelato il testo dell’Expositio vitaeet regulae beati Benedicti 3 , un’operacomposita, redatta dall’abate, nellesezioni più interessanti per questoaspetto, proprio negli anni del distaccoda Corazzo e della salita inSila.I nodi problematici che tali sezionidell’Expositio vitae mettono in lucesono notevoli: all’iniziale entusiasmonei confronti dei cistercensi infattisubentrò ben presto il disincanto.Poco tempo dopo aver ottenuto, acoronamento di diversi tentativi nelcorso degli anni, l’incorporazionepiù piena del monastero di Corazzonell’ordine cistercense (1188), emerseroi primi scarti della realtà rispettoal quadro ideale che Gioacchinosi era figurato. La serie di disordinimorali, di progetti di espansione, dideroghe dagli statuta dell’ordine difronte ai quali venne a trovarsi lo indusseroa tentare, insieme a Ranieroda Ponza, monaco cistercense dallaspiccata vocazione eremitica, unanuova strada. Con la fondazione diun eremo montano, tra le frigidissimasalpes della Sila, Gioacchino sipropose inizialmente di richiamareil monachesimo, l’ordo monasticus,3 C. Baraut, Un tratado inédito de Joaquínde Flore: De vita sancti Benedicti et de officiodivino secundum eius doctrinam, in Analectasacra Tarraconensia 24 (1951) 1-90 (33-122).alla sua vocazione specifica: la contemplazionee la lode di Dio, raggiuntegrazie a un maggiore distaccodai compromessi con il mondo.L’eremo non doveva tuttavia precluderei rapporti con i confratelliche non erano in grado, per le lorodebolezze, di intraprendere un’arctiorvita, né le scelte elitarie comportavanonecessariamente una rotturacon l’ordine, del quale Gioacchinocontinuò a fare e sentirsi parte nonostantel’abbandono di Corazzo 4 .La vita intrapresa sulla Sila, in localitàchiamata Flos, mise ben prestoradici. Il primitivo tugurium in cuiGioacchino, Raniero da Ponza e iprimi discepoli si stabilirono in viadefinitiva a partire dal maggio del1189, si trasformò nel giro di cinqueanni in un piccolo monastero,evidentemente per l’accorrere dinumerosi discepoli 5 . Lo attesta undiploma dell’imperatore Enrico VIil quale, il 21 ottobre 1194, concessealcuni terreni e diritti al monasteriosancti Iohannis de Flore, diretto daGioacchino, venerabilis abbas Floris.Il documento testimonia da un latol’avvenuto transito di Gioacchinodall’abbazia cistercense di Corazzoal governo del monastero sulla Sila,dall’altro il passaggio istituzionaleda tugurium a monasterium, da eremoa cenobio. Questo del resto è4 Ivi, pp. 421-435.5 De Fraja, Le prime fondazioni florensi, pp.106-109.un’evoluzione comune a moltissimealtre esperienze analoghe: a partiredall’iniziativa di un personaggioparticolarmente carismatico chedecide di ritirarsi a vita solitaria, illocus eremitico deve allargarsi peraccogliere il crescente numero di seguacie fedeli che accorrono, attiratidalla fama che circonda l’eremita.L’aumento del numero dei discepolidetermina la necessità di nuova terraintorno all’eremo, da mettere acoltura o da adibire a pascolo, il bisognodi sottoporre a regole precisela vita divenuta comunitaria e di tenerecon le istituzioni locali (civili ereligiose) rapporti stabili e duraturi 6 .Nel 1194 dunque, data del documentoimperiale, i rapporti con l’ordinecistercense erano ormai rotti,anche se sarà solo nel 1196, quandoCelestino III approverà le istituzioniflorensi, che possiamo considerare ildistacco come totale e definitivo.Due anni prima, nel settembre 1192,il capitolo generale cistercense avevaindirizzato un richiamo all’abatedi Corazzo e a Raniero, perché sipresentassero ai superiori dell’ordineentro la festa di San GiovanniBattista dell’anno successivo. Questadisposizione capitolare attesta senzaombra di dubbio che Gioacchino, aquella data, è considerato ancora, atutti gli effetti, abate cistercense diCorazzo, e in quanto tale può esseresottoposto agli interventi del capi-6 Ivi, p. 105.


24 L'abate di Fioretolo 7 . Tre anni dopo la salita in Siladegli eremiti, dunque, la rottura nonera ancora avvenuta. A quanto sembra,in effetti, all’origine del richiamonon stava tanto la scelta eremiticadel piccolo gruppo, generalmenteaccettata, se non proprio sostenuta,anche nelle fila cistercensi. All’Abatedi Corazzo, in realtà, erano ostili settoridell’ordine che, a giudicare dallapolemica condotta contro di lui daun’autorevole figura della vecchiaguardia, Goffredo d’Auxerre, giàsegretario di Bernardo di Clairvauxe per un certo tempo abate diFossanova, erano preoccupati piùdelle sue idee politiche ed escatologiche(Goffredo lo definì scismatico)che della sua scelta eremitica.Di fronte alla rigidità delle opinionidei vertici cistercensi, anche la posizionedi Gioacchino nei confrontidell’ordine si fece via via più severa.Nei primi anni novanta l’Abate mettevaormai in dubbio che l’ordinefosse ancora in grado di realizzare ilprogresso da lui previsto nella storiamonastica. La divergenza di opinionie l’ostilità reciproca si fecero benpresto, evidentemente, insanabili.Preclusa la via per realizzare entrol’ordine cistercense il proprio idealedi monachesimo, Gioacchino tentòallora una sua personale esperienzadi religio.Certamente il sopraggiungere dinuovi compagni pose a Gioacchinoalcune pressanti questioni: si rendevaindispensabile, innanzitutto,organizzare l’accresciuto numero diseguaci in forme più definite e stabili,dividendoli, a partire forse già dal1195, in sedi diverse. Il moltiplicarsi7 «Pro evocando Joachim dudum abbate etRainerio monacho a generali Capitulo litteraedirigantur. Si vero usque ad festum s. JoannisBaptistae venire contempserint, omnes abbateset fratres Ordinis nostri eos ut fugitivosdevitent. Hoc autem illis denuntiet aliquis addomini papae curiam dirigendus»; vd. Statutacapitolorum generalium ordinis Cisterciensis,a c. di J. M. Canivez, I, Louvain 1933,154, § 41.delle dipendenze rendeva poi necessaria,evidentemente, l’elaborazionedi statuti che regolassero le relazionitra le diverse case monastiche 8 .Nel gennaio del 1198 le dipendenzedi Fiore erano infatti ormai tre,secondo quanto dichiarò la reginaCostanza nel diploma di confermadelle donazioni di Enrico VI, mortopochi mesi prima. Già nel 1195Gioacchino aveva ottenuto dal vescovodi Cerenzia, Gilberto, il monasterogreco di Abate Marco o MonteMarco, il cui territorio confinava coni terreni donati da Enrico VI 9 . Trala primavera del 1195 e il gennaio1198 sorse in località Calosuber la dipendenzadi Bonum Lignum, mentre8 De Fraja, Le prime fondazioni florensi, pp.108-109.9 Un cenno a questo fatto si trova nellaconferma della donazione fatta da Nicola,successore di Gilberto sulla cattedra diCerenzia, del monastero greco di Cabria:vd. F. Ughelli, Italia sacra, IX, 2ª ed. a curadi N. Coleti, Venezia 1717-1722, col. 500-501.mancano notizie più dettagliate circala terza fondazione florense, quelladi Tassitano, anch’essa confermatada Costanza all’inizio del 1198.Il crescente numero di dipendenze,per quanto piccole, offrì aGioacchino l’opportunità di tentarela messa in atto di un suo personaleprogetto monastico, dal momentoche entro l’ordine cistercense vedevaormai preclusa la possibilità di realizzareal meglio il suo ideale di vitareligiosa. Pertanto, in un momentoprecedente l’agosto 1196, si recòpresso la curia romana; qui ottenneda Celestino III l’approvazione, dataoralmente in concistoro, delle istituzionidel suo nuovo ordo florensis 10 .La successiva lettera del pontefice,10 In merito al’approvazione orale datada Celestino III, vd. le osservazioni di M.Maccarrone, Primato romano e monasteri dalprincipio del XII secolo ad Innocenzo III, inIstituzioni monastiche e istituzioni canonicaliin Occidente (1123-1215), Atti della settimaSettimana internazionale di studio (Mendola28 agosto – 3 settembre 1977), Milano 1980.


L'abate di Fiore 25in data 25 agosto, non fa che notificaretale approvazione, riassumendostringatamente i punti rilevantidelle istituzioni dell’ordine 11 .Si concluse così nel giro di pochissimianni, con rapidità sorprendente,quel passaggio istituzionale da eremoa cenobio a ordine, che caratterizza,se pur con tempi generalmentemolto più dilatati, l’evoluzione ditante altre fondazioni monastiche, inItalia e Oltralpe.Le istituzioniflorensi perdute11 J. P. Migne, Patrologiae Cursus completus.Series Latina, Paris 1841-1864, vol.206, n. 279, col. 1183. Celestino III così fariferimento alle istituzioni di Gioacchino:«quasdam constitutiones de vita monachorumtuorum et monasteriorum tuo cœnobio subiectorum,et de rebus ab ipsis fratribus possidendiset eorum numero».Approvate come detto da CelestinoIII nel 1196, le istituzioni dell’ordineflorense fondato dall’abate in effettinon ci sono note; rimangono soloalcuni frammenti e pochi indizi, direcente venuti alla luce nella documentazionesuperstite, ossia in alcunecarte florensi redatte durantel’abbaziato di Matteo, l’immediatosuccessore di Gioacchino, conservatecinei manoscritti della bibliotecaprovinciale di Matera 12 . Da tali scarsiframmenti, pare ben certo che le istituzioniredatte da Gioacchino prevedesseroinnanzitutto un sistemabasato su sette centri, definiti priorati;era inoltre stabilito che vi fosserotre abati, ciascuno con compiti(proprium modum), ministeri (ministeriumsuum), luoghi (sua loca) e ordini(ordinem suum) diversi e specifici.Sembrano essere distinti uno dall’altroanche in base ad una particolareposizione: c’è il primus, il secundus eil tertius abbas 13 . Questi pochi accenni,per quanto scarni, permettono inogni caso di escludere che il progettodi Gioacchino fosse una sempliceriproposizione, in chiave ascetica,della riforma cistercense. Il sistemadi sette priorati e di tre abati non hainfatti alcun riscontro nell’organizzazionedelle comunità cistercensi.Elementi caratteristici dell’ordinamentocistercense, invece, sembranoproposti e introdotti da Matteo,successore di Gioacchino dopo lasua morte, avvenuta nel 1202. Undocumento da lui redatto nel 1209,infatti, proponeva la convocazionedel capitolo generale e l’introduzionedella visita tra gli allora tre monasteriflorensi 14 .Nel periodo successivo al 1234,12 Nicola Venusio, S. Giovanni in Fiore 1-3,Matera, Biblioteca Provinciale, Ms. 21/III,ff. 36v-39r, ed. in V. De Fraja, «Post combustionisinfortunium». Nuove considerazionisulla tradizione delle opere gioachimite, inFlorensia 8-9 (1994-1995).13 V. De Fraja, Ivi, p.158-17114 Ivi.quando terminò l’abbaziato diMatteo, all’ordine florense si aggiunseun ultimo cenobio calabrese,in cui si condusse effettivamentevita regolare, quello di Santa MariaNuova, in diocesi di Cerenzia, che inseguito seguì le sorti dell’abbazia diFiore, fu unito ai cistercensi nel 1570,finché, nel 1652, non fu soppresso.Mancano invece notizie precise sudi un monastero che doveva sorgerein diocesi di Squillace, nel territoriodi San Martino, progettato da un nobilecalabrese nel suo territorio, maforse mai decollato. Nel resto d’Italiainvece non si ebbe più alcuna nuovafondazione o affiliazione. Ai florensifurono affidati alcuni altri monasteridecaduti, che passarono all’ordinecome possessi dipendenti dai monasterigià istituiti o come grange.Quanto all’abbazia di San Giovanniin Fiore, la casa-madre, il favore eil sostegno dei pontefici, e, almenofino al primo quarto del XIII secolo,la predilezione di Federico II per ilmonastero “fondato” dai suoi genitori,ne determinarono in questo periodoil notevole successo. L’abbaziaaccrebbe in misura rilevante i suoipossessi, estesi dal Cosentino alTirreno, le sue libertà – di pascoloe di pesca, di compravendita, disfruttamento di saline e miniere, dicircolazione per terra e per mare – isuoi diritti – in particolare relativiall’esazione dei pagamenti per lenumerose attività svolte sui terrenidi proprietà del monastero, comela coltivazione, il pascolo, la cacciae la pesca, la conduzione di mulinie di forni per la produzione dellapece. Nel 1221 queste libertà e dirittisi estesero ai poteri di giurisdizioneper tutti i reati, ad esclusione diquelli di omicidio, di amputazionie di lesa maestà; l’Abate di Fiore divennedunque il signore feudale delleterre appartenenti al cenobio. Nonsappiamo quanto, in realtà, l’abateflorense abbia mai potuto mettere inatto i suoi poteri giurisdizionali: le


26 L'abate di Fiorenella pagina precedenteUn monaco florensea fiancoFondazione florense di Fonte Lauratofonti documentarie che possediamonon attestano mai l’esercizio di questefunzioni, né da parte di Matteo,né da parte dei suoi successori. Èpossibile che, a causa delle difficoltàevidentemente createsi con FedericoII, per la posizione dei florensi a favoredel pontefice nello scontro trapapato e impero, i poteri delegatiall’abate di Fiore siano stati almenoin parte revocati. Nel 1233 GregorioIX dovette intervenire presso gliarcivescovi di Palermo e di Capua,chiedendo loro di convincere l’imperatorea mantenere in vigore i privilegiconcessi ai florensi; tra di essiera probabilmente compreso quellocon cui l’imperatore aveva delegatoall’abate di Fiore i poteri giurisdizionali.In seguito, l’espansione florensesembra sostanzialmente fermarsi,e la comunità fu piuttosto impegnataa difendere le posizioni, i possessie i diritti acquisiti nel periodo precedente,grazie al favore regio e imperiale,e della nobiltà regnicola.La scarsa documentazione superstitenon permette altro che prendereatto del legame che continuò indubbiamentea sussistere, in territoriocalabrese, tra le fondazioni postein area calabrese e, in parte, con ledue abbazie laziali. In particolare ariguardo della volontà di conservarememoria del proprio fondatore, leabbazie di Calabro Maria e di SantaMaria Nuova si presentano sempre afianco del monastero di Fiore, sia inoccasione della raccolta del materialeagiografico relativo a Gioacchino,a partire dal terzo decennio del XIIIsecolo, sia nel momento in cui, versola metà del XIV secolo, i florensicercarono di ottenere, da parte dellacuria avignonese, la canonizzazionedel loro fondatore.Il tramonto dell’età sveva e il dominiodella dinastia angioina nell’Italiameridionale segnano una stasi, senon già il declino, di San Giovanniin Fiore e dei monasteri ad esso facenticapo. Il nuovo monachesimoflorense non attirò più come neidecenni precedenti, e anche da partedei privati le donazioni si fecerosempre meno frequenti. A partiredal periodo angioino, oltretutto, ladocumentazione, già assai diminuitanel periodo dello scontro traFederico II e il papato (1239-1250), sifa lacunosa, nota parzialmente graziealla redazione di scarni regesti.Qualsiasi tentativo di ricostruzione,anche vaga, della vita dell’ordine diventa,a causa di questa situazione,pressoché impossibile. L’unico attoche attesti ancora una qualche consapevolezzadelle proprie origini edi volontà di riferirsi al proprio passato,da parte dei monasteri florensidella Calabria, è proprio il tentativo,fallito, da parte di essi (San Giovanniin Fiore, Calabro Maria, Santa MariaNuova) di promuovere il riconoscimentodella santità del propriofondatore, quando, nel 1346, chieseroal pontefice, allora ad Avignone,provvidenze in favore dell’ordine el’istituzione di una commissione divescovi con il compito di vagliare imiracoli, avviando in tal modo l’iterdel processo di canonizzazione 15 .Legami tra le abbazie calabresi che15 A. M. Adorisio, La “Legenda” del Santo diFiore. B. Joachimi abbatis miracula, Manziana(Roma), 1989.


L'abate di Fiore 27a fiancoChiesa ABbaziale di Fonte Laurato(Fiumefreddo)rientravano ancora nell’ordine sonoattestati dal passaggio di monaci dauna all’altra abbazia, nel momentoin cui uno veniva eletto abate (ad es.,nel 1366 l’Abate di Fonte Laurato,Giovanni, alla morte di Pietro, abatedi San Giovanni in Fiore, venne elettosuccessore di quest’ultimo).Il sostanziale silenzio sulle vicendedell’ordine nel corso dei secoli seguentisi interrompe solo a partiredalla fine del ‘500, quando l’ormaisparuto gruppo di monasteri florensiviene unificato all’ordine cistercense.In particolare, la vita religiosaa San Giovanni in Fiore, rinnovatadopo il passaggio ai cistercensi, apreuna fase di interesse per la figura diGioacchino come autore di testi esegeticie di teologia trinitaria, comesanto abate a cui erano attribuitinumerosi miracoli e come fondatoresì di un ordine ormai estinto, masoprattutto fondatore dell’abbazia diSan Giovanni in Fiore, di cui i cistercensiraccolgono l’eredità. Di qui ilfiorire di opere relative a Gioacchinoe al cenobio silano da lui istituito,opere che, oltre ad averci tramandatofortunosamente le notizie biografichee le testimonianze agiografichesull’abate, hanno conservato, ora informa di semplice notizia, ora riportandoi testi per esteso, documentirelativi al monastero.Antonio AcriLA VITA NELMONASTEROUna giornata florenseUn’abbazia non è mai stata solo un luogo mistico ma ancheun vero e proprio centro di vita che allargandosi, ha cercatodi influire sull’ambiente circostante. L’esempio lampantel’abbiamo proprio nell’esperienza di Fiore Nuovo (l’attualesan Giovanni in Fiore). La cittadina si sviluppa gradualmenteattorno al Monastero fino a darle il nome.I monasteri cistercensi ad esempio, che si insediavano in vallipaludose, le bonificavano fino a farle diventare giardini ospitali.La comunità monastica era governata da un abate eletto daimonaci ed era assistito da un consiglio composto da figurecome il priore, il cellerario, il maestro dei novizi, l’addetto agliospiti, il refettoriere; ma nel monastero emergevano anche lefigure del cerimoniere, del cuciniere, il custos vini e del custospanis.I monaci erano però individuati in due categorie: i sacerdotie i laici.I primi erano i coristi, chiamati così perché partecipavano allapreghiera del coro. I secondi erano i conversi. A loro eranoaffidati doveri più servili e normalmente erano anche piùnumerosi dei coristi. Lavoravano le campagne del monastero,dovevano spesso vivere fuori dalla comunità mentre altri eranoaddetti alle officine come falegnami, fabbri, tessitori e muratori.Naturalmente professando i voti non aveva una sua famiglia.Tra gli oggetti e indumenti personali d’uso più comunetroviamo il mantello, la cappe, la tunica, la braca, i caliga(sandali), la cocolla liturgica.Nel monastero vigevano norme di severità nel cibo: nientecarne, pesce, grassi, latticini e uova. Soltanto legumi bolliti: unregime quasi sempre vegetariano. Il riposo notturno era breve.Cuore del monastero era la Chiesa e il coro per la preghiera,luogo dove i monaci trascorrevano almeno un terzo dellagiornata per il canto dei salmi e la lectio divina secondo unprestabilito calendario giornaliero e mensile scandito dalsuono della campana.Il canto sacro era per la comunità monastica un sussidio checompletava il clima spirituale di tutta la cerimonia sacra.


28 I luoghiDebora RuffoloCelico. Un paese chelambisce il "cielo"Celico, casale di Cosenza,posto alle radici dellemontagne della Sila è laculla dell’abate florenseGioacchino da Fiore, dove nel 1135circa, venne alla luce. Un paesino aforma di vaso schiacciato, il nomederiva, infatti, dall’ebraico Kel-KIche vuol dire “vaso lungo e stretto”.A proposito del nome, qualche studiososostiene che per molto tempoquesto paesino non era distinto daun nome, ma che solo dopo la nascitadi Gioacchino “il più grandeuomo del suo secolo”, per indicarlosi fece riferimento a lui e fu chiamatoCelico, cioè “uomo celeste”.Questo borgo, che si allunga su uncostone alla sinistra del torrenteCannavino, è stato fondato probabilmenteprima del IX secolo, un luogodove vi si sono rifugiati i cosentiniche sfuggivano alle incursioni saracene.Così col passare degli anni suimonti circostanti Cosenza l’abitatoaumentò sempre di più. Da qui i priminuclei familiari fino alla nascitadelle prime botteghe artigiane, delleprime industrie casalinghe, le campagnefurono sempre più coltivate,anche se Celico contava di poco terrenocoltivabile. Tra le cose che caratterizzaronoil villaggio furono lacostruzione dei mulini lungo il fiumeCannavino, utilissimi per la macinazionedel grano, e non solo.Un luogo caratteristico e riconosciutodi Celico è la cappella dell’Assuntadove mamma Gemma partorìGioacchino. La Chiesa fu edificataprima del 1421 proprio sul luogodella casa natale dell’Abate di Fiore,al cui nome battesimale di Giovannivenne dapprima intitolata. Maun’altra intitolazione di questo luogopare ci sia stata tramandata inalcuni documenti del ‘600 in SantaMaria del Fosso. All’abate florense aCelico viene riconosciuto il miracolodi aver salvato dalla violenza delterremoto del 27 marzo 1638 propriola Chiesa dell’Assunta. Una chiesadal piccolo campanile medievalecon due campane, una delle qualiporta la data del 1653 e l’altra quelladel 1915. La sagrestia, invece, secondola tradizione, era la camera diGioacchino. In questo luogo sacro viè un affresco, precisamente nell’arcodel portale romanico-gotico, raffiguranteil volto dell’abate e quello dellaMadonna rivolti entrambi in direzionedella Terra Santa. Gioacchino,all’età di sette anni, venne battezzato,proprio in vicinanza della suacasa, nella Chiesa di San MicheleArcangelo, da alcune indagini la suacostruzione potrebbe risalire al IIIsecolo d.C., ma di sicuro fu ristrutturatanel ‘400 e ritoccata nel ‘700. Se netrova conferma dai tre portali in pietradel ‘400 della facciata, sormontatida una lapide-ricordo dell’abatedi Fiore, e dall’interno della Chiesache presenta sovrastrutture barocche,opera di artieri regionali del‘700. Tra le altre caratteristiche vi èla torre campanaria a pianta quadra-


I luoghi 29Centro Internazionale di Studi GioachimitiCOSTANZAD’ALTAVILLACadde ai piedi dell'Abate come Maddalena penitenteta del 1595. È dotata di una grandecampana che risale al 1653. L’absideè quadrata, sormontata da una voltaa crociera, con costolature ricadentisu colonne angolari. Le navate dellaChiesa sono divise da pilastri quadrangolari,sorreggenti da arcatea tutto sesto, ornate da cordonaturalapidea. Caratteristico è anche ilfonte battesimale del 500 con concalitica sorretta da leoni accovacciati;secondo la tradizione vi fu battezzatoGioacchino.Gioacchino, dunque, visse i primianni della sua fanciullezza in questoborgo ai piedi dell’altopianosilano, ma un posto a lui caro eralungo il fiume Cannavino dove ilpapà Mauro aveva la vigna, lui vitrovò una grande pietra, della qualese ne servì da inginocchiatoio,nelle sue continue orazioni, pregandoil Signore, ma anche da lettoper il riposo. In questo fitto boscoGioacchino ne trovò un luogo solitariodove poter pregare.Collocata da Dante nel cielo dellaluna, così Costanza d’Altavilla èpresentata da Piccarda Donati negliimmortali versi del terzo canto delParadiso.Costretta dalla ragion di stato adabbandonare il convento, la Reginadi Sicilia andò sposa nel 1186 adEnrico VI, figlio primogenito di FedericoBarbarossa. Il suo matrimoniofu determinante per l’acquisizionedell’Italia meridionale da parte dellaCasa sveva. Incoronata imperatricedel Sacro Romano Impero a Romanel 1191, diede alla luce nel 1194Federico II.Dopo la morte di Enrico VI , Costanzagovernò il regno continuando afar convivere popolazioni assai diverse fra loro per storia, religione, nazionalità,legislazioni. Furono rispettati costumi e tradizioni di tutti i popoli governati, inuno spirito di grande tolleranza, anche religiosa. Alla sua corte “ognuno potevaliberamente pregare e invocare il dio in cui credeva”. Palermo divennecrocicchio nel quale Asia, Africa ed Europa trovarono la loro sintesi; croceviacosmopolita dei popoli e della storia; terra di incontri e stratificato contesto diculture arabe, bizantine e gotiche. Latini, greci, ebrei e saraceni vivevano, nelrispetto delle religioni e delle tradizioni, in un regno considerato un modellosenza eguali tra gli stati europei di quei secoli.In quel momento storico di passaggio, nell’Italia meridionale, dai Normanni agliSvevi, Gioacchino da Fiore frequentò la corte palermitana. L’imperatrice nutrivagrande considerazione per l’abate florense, l’apocalittico che più ha influitosui movimenti millenaristici medievali e moderni. Gli offerse importanti reliquieche furono conservate nell’Abbazia Forense (le vesti di Gesù, il velo della Madonna,un pezzetto della Santa Croce, un pezzo della catena con la quale fulegato San Pietro) e gli confermò il Tenimentum Floris, l’attuale vasto territoriodel comune di San Giovanni in Fiore, concesso dal marito Enrico VI il 21 ottobre1194. Volle, inoltre, essere confessata dall’abate. Questo episodio è cosìnarrato da Luca Campano nelle sue Memorie: “Quando la sovrana gli ebbe manifestatol’intenzione di confessarsi, interrompendola con l’autorevolezza richiestadalla circostanza, le rispose: “Dal momento che io ora rappresento Cristoe tu la Maddalena penitente, scendi, inginocchiati sul pavimento e confessaticon fede, altrimenti non sono tenuto ad ascoltarti”. L’Imperatrice scese, si inginocchiòin terra e, sotto gli sguardi attoniti di tutti confessò umilmente i suoipeccati, ammettendo di persona di aver scorto nell’abate l’autorità apostolica”.Dopo la morte di Costanza, Gioacchino si recò ancora alla corte di Palermodal giovanissimo Federico II e ottenne una ulteriore donazione in Sila pressola sorgente dell’Arvo. Il figlio di Costanza ha lasciato tracce indelebili come lafondazione dell’Università di Napoli che doveva servire non solo a prepararei dirigenti del regno, ma soprattutto a soddisfare “la fame di sapienza” senzauscire dai confini per raggiungere Bologna o Parigi. Personaggio straordinarioe moderno, Stupor mundi et novator mirabilis!


30 I luoghiCelico.Chiesa dell'Assunta, casadell'Abate trasformata in chiesa.


I luoghi 31Francesco ScarpelliUn appello per la casanatale di GioacchinoRecuperare un presidio medioevale di storia a CelicoPer iniziativa della nostraAssociazione "AbateGioacchino" e del Comunedi Celico, sulla casa nataledi Gioacchino da Fiore è stato finalmenteimposto nel 2007 il vincolo architettonico(Decreto del Ministeroper i Beni e le Attività Culturali,Direz. Reg. per i Beni Culturali ePaesaggistici della Calabria, n. 89 del25/09/2007).È un dato importante oltre cheuna tappa essenziale dell’impegnodell’Associazione, avviato nel 1996,per la riscoperta e la valorizzazionedei luoghi dell’Abate nella cittadinadi Celico.Ma il nostro sogno è, naturalmente,quello di renderla accessibile e fruibileal vasto pubblico internazionaleinteressato alla figura di Gioacchino,acquisendola alla proprietà pubblica,riaccorpandola in un unico immobilee restituendole il più possibilela sua veste medievale per farnenon solo un centro di accoglienzaturistica ma anche un centro di iniziativedi ogni genere per il recuperodello spirito gioachimita. Una casaviva e non un museo morto nellasperduta provincia cosentina.Questo nostro sogno rischia di infrangersicontro la scarsa sensibilitàculturale che, specialmente in questafase di crisi economica, caratterizzasoprattutto buona parte della classepolitica calabrese. Tale classe politicasi rifiuta di vedere nella culturauna risorsa sociale ed economica ecosì, quando rarissimamente vienefinanziato un progetto culturale, subisceforti tagli e condizionamentitanto da stravolgerlo o renderlo irrealizzabile.Nel mentre vogliamo rassicurarequanti sono interessati alla figuradell’Abate celichese, circa l’impegnonostro per la salvaguardia di tutti iluoghi di Gioacchino, facciamo appelloa chiunque volesse offrirciuna collaborazione, una propostao un’opportunità perché la casa nataledi Gioacchino e tutti i luoghiche, nella nostra cittadina, portanoancora le sue impronte, possano essereresi accessibili e fruibili per ivisitatori di ogni parte del mondo.Abbiamo bisogno anche di idee innovativesu come utilizzare la casa,su come ridare vita alla casa di unuomo che ha impregnato del suospirito tutto il pensiero innovatoredai suoi tempi ad oggi.Pensiamo che la proprietà pubblicapossa garantire l’accesso a tutti ivisitatori, ma non escludiamo altrepossibili soluzioni che, comunque,oltre ad una destinazione principalecoerente allo spirito gioachimita, garantiscanoin qualche modo l’accessoe l’uso del pubblico.Inviateci idee, proposte, suggerimentie raccontateci di altre esperienze.


32 I luoghiAngela AltomareQuell’antico“rifugio dell’anima”L'Abbazia della Sambucina in LuzziÈil profumo di una religiositàd’altri tempi quello chesi respira intorno all’Abbaziadi Santa Maria dellaSambucina di Luzzi, che conduce inun mondo della spiritualità cristiananel quale traccie di un forte sentimentoreligioso di fede, preghiera edevozione unito alla misticità sacrache ispira il luogo, sono sopravvissuteal di là del tempo e dello spazio.Immersa in un paesaggio collinare,dalla natura rigogliosa e incontaminata,della Sila Greca, la suggestivaAbbazia della Sambucina, per secoli“fucina di spiritualità, centro d’artee cenacolo di studi”, vanta una storiae una tradizione millenaria, che rendonoquesto antico “rifugio dell’anima”un luogo della memoria, depositariodi storia, arte e cultura.Le sue origini, assai remote e incerte,risalgono intorno al 1087, quandonel sito che ospita l’antica abbazia,fu fondato da una comunità diBenedettini con a capo Sigismondo ilmonastero di Santa Maria Requisita,filiale di un antichissimo monasterobenedettino chiamato “Santa Mariadi Mensuo”. Solo successivamente,intorno al 1141, il monastero fu concessoda Goffredo di Loritello, contedi Catanzaro e cugino di Ruggero IIdi Sicilia, ai Cistercensi. Furono, infatti,proprio i monaci seguaci di SanBernardo di Borgogna, venuti tra leterre normanne dell’Italia meridionaleper propagare l’ordine monasticocistercense, per volere di Ruggero,Centro Internazionaledi Studi GioachimitiENRICO VIConcesse la Sila badialee molti diritti al Monasteroflorense, l’unico fondatosotto il suo regnoEnrico VI di Hohenstaufen, Re di Germania, fu proclamato Imperatoredel Sacro Romano Impero da Celestino III nel 1191.Il giovin figliolo del leggendario Federico Barbarossa vinse,dopo cruenti scontri, la resistenza dei nobili normanni. Fu incoronatoRe della Sicilia e della Puglia e la casa tedesca diSvevia sostituì, nell’Italia meridionale, la dinastia normannadegli Altavilla. Enrico VI, mentre si recava con il suo potenteesercito a Palermo, incontrò Gioacchino da Fiore a Nicastro.“Questo - esclamò l’imperatore rivolgendosi alla sua corte - èl’abate Gioacchino che da tempo ci ha predetto tanto le avversitàche sono già passate quanto gli eventi propizi che oraconstatate”. In quel giorno, venerdì 21 ottobre 1194, Enrico VIemanò un Privilegio importante. Per la prima volta Gioacchinovenne designato come “abbas de Flore” e in un documentoappare il nome della città di San Giovanni in Fiore: “monasteriumSancti Johannis de Flore” (solo qualche secolo più tardi ilnome divenne l’attuale Sanctus Iohannes in Flore).Gioacchino ottenne non solo la conferma della donazionedell’appezzamento di terreno ricevuto dal re normanno Tancredi,ma anche la concessione di un vasto territorio dellaSila demaniale. I confini dei territori donati al Monastero vennerocosì descritti nel diploma imperiale: “Dal guado del fiumeNeto, che si trova sotto il Castello degli Sclavi, come vaper la stessa via verso il mezzogiorno, per la pietra di CarloMagno e per la serra fino al guado del Savuto e dallo stessoguado verso la sorgente dello stesso fiume fino all’alveo del


I luoghi 33nella pagina precedenteAffresco della Vergine (epoca medioevale)a fiancoLa Sambucinanel boxMiniatura raffigurante Enrico VIda Clairvaux e da Chiaravalle diMilano, che lo ricostruirono, stabilendoviil primo nucleo dell’Ordinedel Regno Normanno.L’antica chiesa abbaziale venneconsacrata a Santa Maria Assunta,secondo la tradizione che tramandavadi numerose apparizioni dellaVergine reggente tra le braccia ilFanciullo Divino tra i folti sambuchi,pianta dalla quale trae il proprionome la badia.Primo monastero autorizzato a fondarecase filiali divenendo madre dinumerosi monasteri e abbazie nonsolo in Calabria, ma anche in Puglia,Basilicata e Sicilia, nel suo periodo dimaggior splendore, l’antica Abbaziaoltre a rappresentare il centro monasticoper eccellenza come Casa madredell’Ordine Cistercense, rappresentòper molto tempo un polo culturalee socio-economico di tutto ilMezzogiorno. Attirò fra le sue muragrandi personalità di pensatori e spiritieletti dal calibro di Gioacchinoda Fiore, Accursio e Luca Campano.Una storia complessa quella dell’ abbaziacistercense della Sambucina,che si riflette anche sulla sua architettura,frutto di ripetuti interventidi ricostruzione a causa dei numerosieventi tellurici che distrusserola chiesa e il monastero, ricostruitonel 1625.Nel 1780 Ferdinando IV di Borbone invirtù delle leggi eversive ecclesiastiche,dispose la soppressione dell’ordinee la chiusura del monastero.Dell’antica Abbazia, grazie ai numerosirestauri e rimaneggiamenti,rimane la chiesa, aperta al cultoe divenuta parrocchia di S. MariaAssunta, mentre la parte conventualeè domicilio privato, per effettodella vendita fatta dallo Stato nel1803. Avvolta in un’atmosfera surreale,tipica degli antichi templi dellaspiritualità cristiana, l’Abbazia dellaSambucina ancora oggi è una “finestra”aperta su un lontano passato,che offre a noi contemporanei unosguardo affascinante e suggestivosul lontano Medioevo.fiume Ampollino e discende per lo stesso fiume fino a quelluogo dove si unisce al fiume Neto; quindi il termine sale perl’alveo dello stesso fiume Neto e continua oltre il fiume, lungoi confini del monastero dei Tre Fanciulli e quelli del monasterodell’Abatemarco fino alla via che proviene dalla città diCerenzia e continua per il Portìo, la quale via resta lungo ilconfine, da settentrione fino alla località detta Frassineto eda lì il confine ritorna fino all’alveo del fiume Neto e lo stessoalveo sale fino al guado che è sotto il Castello degli Slavi econclude il confine al punto di partenza”. Oltre al vasto territorio,Enrico VI concesse diritti e libertà: il libero pascolo neltenimento di Rocca di Neto e in tutti i demani calabresi senzapagamento dell’erbatico e del ghiandatico; la licenza di ricavaresenza tributo il sale dalle saline di tutta la Calabria; lafacoltà di vendere e di comprare beni senza corrispondere ilteleonatico, il plateatico e il passaggio; la libertà di ricevereil pagamento di erbatico e di ghiandatico da quanti avesserovoluto, con il permesso dei monaci, far pascolare i proprianimali sulle terre concesse alla fondazione. Il 6 marzo 1195,con un altro atto imperiale, Enrico VI prese sotto la sua protezioneil Monastero, l’unico fondato sotto il suo regno.Qualche mese più tardi, mentre attraversava nuovamente lanostra regione, l’imperatore rese noto a tutti i suoi fideles diaver concesso al venerabile abate, pro redemptione animae,un reddito annuo di cinquanta bisanti d’oro, da percepire dalleentrate delle saline del Neto.Queste assegnazioni avevano creato contenzioso con i monacibasiliani del Monastero dei Tre Fanciulli che utilizzavanoin Sila i pascoli estivi e avevano leso gli interessi dei cittadinidi Cosenza che vantavano, sul demanio regio, diritti consuetudinari.Il 21 febbraio 1197 l’imperatore ordinò ai suoi balivie ai suoi funzionari di non importunare e molestare il monasterodi Fiore. Per effetto di queste concessioni l’eremo gioachimita,con il sopraggiungere di altri monaci, si trasformòin cenobio; crebbero i monasteri alle dipendenze di Fiore eGioacchino attuò un suo personale progetto monastico cheottenne l’approvazione di Celestino III: il nuovo ordine florense.Fu il periodo più intenso della vita di Gioacchino: l’abatesi recò varie volte a Roma e a Palermo, continuò a scrivereopere, fondò monasteri, fece riconoscere il suo nuovo ordine,ebbe l’incarico da Papa Innocenzo III di una campagna dipredicazione della crociata.


34 I luoghiPamela FranzisiCorazzo, la primaesperienza monasticaQui Gioacchino fu eletto Abate per acclamazione nel 1117Una storia appassionata esuggestiva di uno dei piùimponenti impianti abbazialidel Medioevo cristianoin Calabria riguarda l’abbaziadi Santa Maria di Corazzo e il suoinsigne abate Gioacchino. L’abbaziafu centro religioso, politico e culturaledi essenziale valore per oltresette secoli. Soggiornò entro le suemura anche il filosofo cosentinoBernardino Telesio. Oggi le sue maestoserovine si stagliano solitarie epotenti come monito all’indifferenzareligiosa, politica e culturale degliuomini di questo tempo.La storia di Santa Maria di Corazzosi incrocia con quella di Gioacchinoda Fiore, che qui vestì l’abito monacale,divenendone subito dopo abate.Proprio qui a Corazzo Gioacchino daFiore scrisse le sue opere principali,aiutato dagli scriba Nicola e Giovanni,quest’ultimo prese il suo posto quandolui andò via. Gioacchino, nonostantefosse l’abate del monastero stava perlunghi periodi lontano da esso a causadel suo impegno a scrivere testi di teologia,fin tanto che nel 1188 fu sollevatodal Papa dal guidare l’abbazia affiliandola stessa, con tutti i suoi uominie beni, ai cistercensi di Fossanova.Per ciò che concerne le origini l’abbaziadi Santa Maria di Corazzo è un’abbaziafondata dai benedettini nel XI secoloin prossimità del fiume Corace inCalabria, ricostruita successivamentedai cistercensi nel XII secolo, danneggiatauna prima volta dal terremotodel 27 marzo 1638 e ancora dopo daldisastroso terremoto del 1783. Dopoquesta data il monastero venne progressivamenteabbandonato e spogliatodelle opere artistiche che conteneva,le sue rovine sono visibili in localitàCastagna, una frazione di Carlopoli, aiconfini con Soveria Mannelli.Sebbene situata attualmente in unalocalità della provincia di Catanzarodell’Arcidiocesi di Catanzaro-Squillace,la storia dell’abbazia si è svoltaper molti anni nella CalabriaCiteriore, in quanto fino ai primi delXIX secolo il suo territorio appartenevaall’Università di Scigliano, facenteparte della Diocesi di Martirano.Dopo la sua fondazione ad opera deibenedettini neri nel XI secolo, l’Abbaziafu ricostruita dai cistercensi nel1157, cioè a distanza di appena 16anni dalla fondazione dell’Abbaziadella Sambucina, di cui fu la filiale piùimportante. Primo abate cistercensefu il beato Colombano.L’abate Gioacchino si staccò, quindi,definitivamente da Corazzo trasferendosiprima in un porto di quietechiamato Pietralata, per poi ascenderein Sila nella primavera del 1189 dovefondò a San Giovanni in Fiore unanuova congregazione religiosa dettaCongregazione Florense, approvatada Celestino III nel 1196. Nel 1211,dopo la morte di Gioacchino, l’archicenobioflorense avanzò diritti di pro-Antonio AcriCASAMARIL’abbazia di Casamari, nel cuore della Ciociaria, ad orientedi Veroli, austera bellezza è ricca di storia quasi millenaria. Ilterritorio, nel quale sorge, fu abitato sin dal secolo IX a. C. daiVolsci e dagli Ernici e, nel secolo IV, dai Sanniti, che lo cedetteroai Romani, dopo le tre ignominiose sconfitte. Il nome“Casamari” rivela origini remote: qualcuno ritiene che essoceli radici tosco-umbre, altri lo fanno derivare da “Casa Marii”,con esplicito riferimento al generale romano, Caio Mario, che,forse, qui nacque e dove, certamente, visse la sua famiglia.Anche se è impossibile, oggi, stabilire con esattezza il sito,in questo luogo, infatti, sorgeva l’antica Cereatae Marianae,piccolo villaggio dedicato alla dea Cerere e attraversato dallavia Maria, della quale è ancora evidente un tratto ben conservato.I numerosi reperti archeologici, le arcate dell’acque-


I luoghi 35a fiancoI ruderi dell'Abbazia di Santa Maria aCorazzonel boxL'Abbazia di Casamariprietà sull’abbazia di Calabromaria inAltilia di Santa Severina, ma la vertenzavenne risolta per l’interventodel pater abbas sambucinese Bernardoe dell’imperatore Federico II, in favoredei florensi di San Giovanni inFiore. Le acque del Corace servivanoad azionare, presso l’abbazia, un mulinoe una gualchiera, quindi a fecondareil sottostante territorio agricolo.I numerosi ruderi dell’abbazia nellavalle del Corace, che meritano essereristrutturati e riadattati a modernoCenobio, una volta erano centro difede, ma anche sede da cui abati famosiamministravano le loro grange eterreni posti anche a notevoli distanzefino a Strongoli, sullo Ionio, organizzavanole trasformazioni fondiariedei terreni incolti, e le tecniche per farfruttificare i pascoli, ma provvedevanoanche al commercio di tutto ciòche le loro aziende producevano: dovevapersistervi il febbrile fermento diuna azienda moderna, pur essendo ilsistema economico legato a schemi“curtensi”. In quell’epoca vigevanoperfino raggruppamenti di monasterisotto il controllo di un abate feudatario,detto “visitatore” (Brasacchio), iltutto voluto dai normanni per la trasformazionefondiaria ed il rilanciodell’economia, mentre l’ubicazionedelle abbazie da essi fondate non solorispondevano a fini religiosi, ma anchepolitici, militari ed economici. Erano,insomma, tenute in gran considerazionedagli Altavilla, se nell’abbazia diSanta Eufemia seppellirono le spogliemortali di Fredesenda, loro madre.Il prestigio dell’abbazia di Santa Mariadi Corazzo accresciuto già per meritodi Gioacchino da Fiore raggiunse ilmassimo splendore sotto l’imperodegli Svevi. Nel 1195 Enrico IV le riconobbeil diritto di pascolo di benduemila pecore nel fondo Buciafaroin territorio di Isola Capo Rizzuto.Nel 1225, Federico II, di Svevia, invirtù della legge “de resignandis privilegis”,con cui riaffermava le donazionioperate nella sua minore età, ainumerosi beni già in possesso dell’abbaziaconcede all’abate Milo 1) “liberapascua pro animalibus ipsius monasteriitam in tenimento Campi Longi quamin tenimento Sacchini et CastellorumMariis”, 2) i fondi Foca e Castellace inagro di S. Severina, 3) il fondo alberatodetto Sucarello in agro di Cutro. Maqualche mese prima Federico II avevagià concesso a quell’abbazia, in perpetuum,il tenimentum di S. Pantaleonein territorio di S. Severina; nel diplomaimperiale ne sono descritti minuziosamentei confini, elencate leclausole di sfruttamento e le garanziecontro eventuali azioni di disturbo(Brasacchio). Il fondo, di grandeestensione, andava da S. Severina aScandale ed arrivava fin quasi al fiumeNeto ove tuttora esistono due contradeCorazzo e Corazzello toponimiderivati dal nome dell’abbazia a cuiotto secoli prima erano appartenute.dotto del periodo repubblicano di Roma, il ponte romano sultorrente Amaseno, punto di transito anche in età medioevalee distrutto alla fine dell’ultima guerra dai soldati tedeschi inritirata, testimoniano la costante presenza dell’uomo dall’etàpreistorica alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente,quando tutto il territorio si avviò ad una lenta, ma progressivadecadenza.Gioacchino da Fiore dopo essere divenuto l’abate dI Corazzo,col consiglio dei frati, volle affiliare il monastero di Corazzoall’abbazia di Casamari. Ma non lo accettarono per lapovertà. Allora, mentre soggiornava proprio a Casamari, glifu rivelato il mistero della Trinità e scrisse lì il primo libro delSalterio a dieci corde. In quel tempo il papa Lucio si trovavaa Veroli, recandosi da lui gli chiese la licenza di scrivere nelmodo in cui egli aveva visto per rivelazione.Rimase a Casamari quasi un anno e mezzo dedicandosi tranquillamenteai suoi studi e alla stesura delle sue tre opereprincipali: la Concordia tra il Nuovo e il Vecchio Testamento,l’Esposizione dell’Apocalisse e il Salterio dalle dieci corde.Ben presto si accorse che l’Ordine dei Cistercensi cui appartenevanon rispondeva del tutto alle sue aspettative e ai suoiideali di vita monastica. A ciò si aggiunsero i primi dissaporicon alcuni monaci che non condividevano il suo operato,considerandolo un visionario e facendo giungere le loro critichefino al nuovo papa Urbano III che invece, incontrandoGioacchino a Verona, lo incitò ancora a continuare nella suaopera.


36 I luoghiLeonardo Falbo *PietralataRogliano/Marzi:luogo-simbolo gioachimita?Nella vicenda umana e spiritualedell’abate Gioacchinoda Fiore - cosìcome nella vasta produzionestorico-lettararia sul Calabrese«di spirito profetico dotato» - il luogodi Pietralata assume valenze e significatirilevantissimi.Sia nelle testimonianze “dirette”che in quelle raccolte in epoche successive,il toponimo - ancorché variamenteriportato e indicato - nonsolo ritorna frequentemente al paridi altri (Celico, San Giovanni inFiore, Cosenza, Corazzo, Casamariecc.), ma si staglia come luogo particolare,luogo-simbolo, per alcuniaspetti “decisivo” e di “svolta”, nellavita monastica, nel senso religioso,nell’impegno esegetico e nellaproduzione scritta dell’Abate. Nelgrande e continuo suo pellegrinaggiomateriale e spirituale, Pietralatarappresenta, infatti, un momento didiscontinuità, il luogo di più profondariflessione, di più intenso lavorospeculativo; il momento delle decisionipiù importanti e significativeche caratterizzano la vita e l’operadel Monaco e - nel contempo - un ele-


I luoghi 37mento non trascurabile della ricerca edegli studi gioachimiti.L’idea di Gioacchino di dar vita adun nuovo movimento spirituale edi profondo rinnovamento religiosomaturò proprio a Pietralata. «È datatanel 1186 - afferma Francesco D’Elia- la svolta decisiva di quella che vieneconsiderata la “crisi spirituale”di Gioacchino, quando egli rinunziaalla dignità abbaziale di Corazzo e siritira, per vivere in un ambiente piùidoneo alle sue aspirazioni di intimavita religiosa e alla prosecuzione deisuoi prediletti studi di esegesi, dapprimaa Pietralata (...) e poi in unazona silana più remota, seguito, almenoin un primo tempo, dal “suointimo e socio” Raniero da Ponza» 1 .Dello stesso parere è FabioTroncarelli che in un suo recentelavoro scrive: «Nella primavera del1186, tornato a Corazzo, decise dilasciare il monastero, ritirandosi aPietralata insieme a Raniero di Ponza(...) La decisione, come ricorda laVita, fu motivata dal bisogno di viverepiù intensamente e seriamentel’esperienza monastica sull’esempiodi Benedetto, la cui figura divenneoggetto in quel periodo di un trattato,il De vita sancti Benedicti» 2 . Questotesto, sebbene incompiuto, «lasciaintravvedere la stretta connessionetra il suo pensiero e la sua vita: eglimedita sulla strada percorsa finoradal monachesimo e sulla sua trasformazionefutura, è preoccupato perl’evoluzione dell’Ordine cistercensee ricerca - come Benedetto che salìda Subiaco sul Monte Cassino - unanuova “ascesa sul monte”, che realizzòsubito (...). Esso è quasi una testimonianzadella tappa intermedia1 F. D’ELIA, Gioacchino da Fiore. Un maestrodella civiltà europea, Soveria Mannelli,Rubbettino, 1999, p. 17.2 F. TRONCARELLI, Gioacchino da Fiore.La vita, il pensiero, le opere, Roma, CittàNuova Editrice, p. 24. A Pietralata Gioacchinoporta a termine anche lo Psalteriumdecem chordarum iniziato a Casamari unpaio d’anni prima.a Petralata, tra Corazzo e Fiore, tracistercensi e florensi» 3 .Fu proprio in un’anfrattuosità di questalocalità che l’Abate, «guardando auna migliore forma di vita monastica,cominciò subito a unirsi, simbolicamente,a Rachele, che rappresentala contemplazione e il raccoglimento,e ad ascendere poi, con i loro figli, allaSila, il luogo adatto alla solitudine ealla particolare perfezione» 4 .Da Pietralata, che egli nominò “Pietradell’Olio” - dunque - Gioacchino partìper la Sila per gettarvi le fondamentadella Congregazione Florense.Il luogo “Pietralata” è riportato in quasitutte le fonti gioachimite, sia coeveche successive; ma qualche indicazionepiù particolare del sito si rileva daltesto Vita di Gioacchino (attribuito adun autore anonimo, ma di Ruggero diAprigliano, fraterno amico dell’Abate5 ): «...e questi il signore di Oliveto,nella villa del quale c’è un luogo,fra i monti, chiamato Pietralata cheGioacchino nominò Pietra dell’Olio; ein esso scelse un porto di quiete e unangolo appartato» 6 .Innumerevoli sono le contrade e i sitiin provincia di Cosenza (e non solo)che possono condurre a deduzionicirca la localizzazione dell’eremo diGioacchino! Ma suggestioni (anche lepiù fantasiose), ipotesi (anche le piùardite) e quant’altro devono - comunque- essere suffragate e supportateda riflessioni, argomentazioni e deduzionistoriche, bibliografiche e cartografiche,che denotano - in definitiva- l’aspetto “scientifico” della ricerca(che non deve necessariamente darerisultati in termini di “vero/falso”).Non pochi studiosi di Gioacchino han-3 H. GRUNDMANN, Gioacchino da Fiore.Vita e opere (a cura di Gian Luca Potestà),Roma, Viella, p. 143.4 V. NAPOLILLO, Gioacchino da Fiore. Lefonti, biografia e le lettere, Cosenza, EditorialeProgetto 2000, 2002.5 Ivi, p. 11.6 RUGGERO DI APRIGLIANO, Vita beatiJoachimi abbatis, ms., traduzione di.no creduto d’individuare la localitàproponendo siti diversi, a volte con argomentazionie deduzioni non semprecoerenti e supportate da adeguati riferimentistorico-bibliografici e cartografici.Tra gli altri - e più recentemente - donGiovanni Lavigna l'aveva creduto diindividuare Pietralata presso Mesoraca«dove attualmente esiste una localitàdenominata Petrara», nonostante lostesso reverendo affermi che nel 1187Gioacchino «si ritirò a Pietralata, nellevicinanze di Corazzo (sic!)» 7 .Posto che Mesoraca non è affattovicino a Corazzo, mentre lo è certamentePietralata, l’ipotesi presentaun’intrinseca contraddizione dibase. Inoltre, il toponimo Petrara siriscontra per centinaia di siti tra ilCosentino e il Catanzarese!La questione, peraltro, non è recente.Qualcuno ha ritenuto di localizzarePietralata nella Sila. È ilcaso di Domenico Bianchi che in unsuo opuscolo del 1870 scrive: « Finìl’opera De Concordia utriusque testamenti,cui dedicò al Papa, e lasciandoil convento di Curazio, si ritirò insolitario luogo della Sila, detto da’cronisti Pietralata, il quale luogo oraporta il nome di Pietra dell’Olio» 8 . Ameno che l’autore non indichi la Silain senso lato e generico (cosa probabile)risulterebbe singolare denominareun sito di elevata altitudinecon espressione che riporta agli ulivi7 Ivi, p. 27. I riferimenti alla distanza traCorazzo e Pietralata risultano, comunque,molto “soggettivi” . Dopo essersi dato unsuccessore a Corazzo, «Gioacchino si ritiròin un luogo lontano che si chiamavaPietralata, e che sembrava avere tutte lecomodità d’un desiderabile deserto, senzaessere obbligati ad andare troppo lontanoper procurarsi le cose necessarie, ciò cheavrebbe danneggiato il genere di vita cheegli meditava», ANONIMO (Gervaise dela Tappe), Storia dell’Abate Gioacchino (traduzionedi Vincenzo Napolillo), Cosenza,Edizioni Orizzonti Meridionali, 1992, pp.68-69.8 D. BIANCHI, Ricordi storici e leggendesull’Abate Gioacchino. Impressioni Giovanili,Cosenza, Edizioni Brenner, Rist. 1991, p.11.


38 I luoghia fiancoIl foro scavato nella rocciaprofondo 33 cme all’olio! D’altronde, lo stesso autoreaggiunge: «Ritornò a Pietralata:quivi non dimorò che pochi mesi e,desideroso d’internarsi nei più fittiboschi della Sila in cerca della massimasolitudine che giammai fossestata per il passato, stimando questal’unica delizia per la sua vita, cominciòa camminare lungo le più alte efredde cime di quei monti» 9 .Nella prospettiva dell’individuazionedel sito, non pare azzardato9 Ivi, pp. 15-16.supporre che il “luogo-simbolo”Pietralata si trovasse in territorio diRogliano (Cosenza), precisamentenel rione “Marzi”, oggi Comune autonomo.Innanzitutto, non pochi riscontri esignificative circostanze concorda-Aurelio ScaglioneCarmela SalvinoIL SILENZIOSOMONOLITAFu il grande monolito che si staglia nel mezzo della contradadi Rogliano/Marzi, da tempo immemorabile chiamataPietralata e individuata quale probabile eremo di Gioacchino,a “suggerire” l’appellativo “Pietra dell’Olio”? Ma,soprattutto, il monolito stesso presenta qualche elementoche possa riportare alla presenza dell’Abate? Solo un’indagineapprofondita e scientifica potrà dare una rispostacerta! Sicuramente suggestivi, in tal senso, appaiono alcunielementi che l’intera zona e lo stesso blocco metamorficooffrono ad un’osservazione generica, immediata ed empirica.Da una relazione geomorfologica fatta recentementesulla zona, si rileva che «le rocce affioranti nell’area di Pietralatasono riconducibili a scisti filladici quarzoso-sericiticicloriticigrigio-verdastri, localmente con bande quarziticheverde chiaro. È possibile distinguere distinte anisotropieplanari, dette piani di scistosità, che fanno assumere allaroccia il tipico aspetto lamellare. In particolare, la zona denominata“Pietralata” è costituita da un grosso “blocco diroccia” (monolito) piuttosto compatto, che si differenzia notevolmentedalle zone limitrofe, dove il grado di alterazioneè piuttosto elevato. Il monolito appare, in alcuni punti, pieghettatoed ondulato regolarmente, con lenticelle di quarzoparallele ai piani di scistosità: «Questo complesso mostrauna discreta resistenza all’erosione ed una permeabilitàbassa. Le rocce affioranti nelle zone circostanti, che hannole stesse caratteristiche mineralogiche e la stessa composizionedella zona in esame, da un punto di vista chimico,presentano un grado di alterazione piuttosto spinto, fratturandosie degradandosi molto facilmente sotto l’azionedelle acque percolanti; invece, il monolito di Pietralata haun aspetto compatto e un grado di alterazione basso, il chesuggerisce, una tessitura tendente allo gneiss» (C. Salvino,Relazione geomorfologica della contrada Pietralata diMarzi(CS), datt., maggio 2004).Ma altro e di più sorprendente offre il blocco metamorficodi Pietralata! Esso, infatti, alla sua base presenta una cavitàdi origine antropica che può accogliere alcune (pochissime)persone, mentre nella sua sommità (da dove, peraltro, sivede nitidamente, verso l’alto, la maestosa Sila) si trova unforo, di chiaro intervento umano, di diametro cm 5/7, chesembra costituire la base di mantenimento di un manufattodi forma stretta e lunga: una Croce?! Forse! Fantasticherie?Forse no! Soprattutto se si considera la tradizione secondola quale Gioacchino impiantava una grande Croce nei luoghidi sua dimora e che la profondità del foro del monolitodi Pietralata risulta di cm 33!


I luoghi 39nella foto a fiancoManufatto di epoca individuato presso uncontadino della zonano a localizzare - più correttamente- Pietralata in «località a mezza costadella pre-Sila cosentina», 10 «neipressi di Cosenza» 11 . E il territorioRogliano-Marzi ricade esattamentein tale area geografica. Non solo. Ilsito oggetto dell’ipotesi non è moltodistante da Celico, per cui l’episodioche lo stesso Domenico Bianchi riportaa proposito della probabile visitafatta da Gioacchino al padre morentepuò esser visto quale supportoall’ipotesi stessa: la narrazione,infatti, lascia intendere che l’Abateraggiunse Celico (da Pietralata)nell’arco di una notte 12 .Riprendendo dal testo di Ruggerodi Aprigliano (ma consultandoanche quello di Luca Campano),Domenico Martire, nella sua importantequanto discussa (sul pianostoriografico-scientifico) scrive: «...venendo Gioacchino richiamato dalPapa Clemente III, per veder l’esposizionesopra l’Apocalisse, incaricataglidal suo Predecessore, e avendolonella presenza di Cardinaliudito, e ben conosciuto in esso il10 F. D’ELIA, op. cit, p. 24.11 F. RUSSO, Storia della Chiesa in Calabriadalle origini al Concilio di Trento, Parte 2°,Soveria Mannelli, Rubbettino, p. 413.12 Cfr. D. BIANCHI, op. cit., pp. 14-15.dono dell’intelligenza, che sopratutta la Sacra Scrittura havea, massimamentesopra l’Apocalisse, gliconcedette altresì facoltà, e più ampia,di potere in tal mestiere applicarsi,con anche esimersi affattodalla cura del Monastero. QuindiGioacchino e pochi monaci si ritiraronoin un luogo chiamato Pietralataalle montagne della Villa d’Oliveto,di cui era padrone un tal Pietro suoamico, ed anche famigliare (moltoamico, n.d.a.) dell’imperatore diCostantinopoli» 13 . Questo passo ècontraddistinto da due note. Nella13 D. MARTIRE, La Calabria sacra e profana,ms., tom. 1, lib. 2°, cap. 6°, n. 2°, p. 245. Ilnome “Domenico Oliveti” è riportato (da«antiqua M.S.») da G. DE LAUDE, aliasDE LAURO, Magni Divinique Prophetae BeatiIoachim Abbatis Florensis mirabilium veritasdefensa, Neapoli, Apud Novellum deBonis Typograph. Archiep M.DC.L.X, p.65 («Paucis itaque fecum assumptis fratribus,fecessit in locum, Petra Lata, nuncupatum,cuiusdam nobilissimi Viri, nomineDominici Oliveti, CostantinopolitaniImperatoris amicissimi, cui non deeratcingulus militaris, nec eius fratri Episcopalismitra»). Sul piano delle “congetture”,e con riferimento al “fratello vescovo”del signore proprietario di Pietralata, apparesingolare e suggestivo il dato che dal1184 al 1188 fu arcivescovo di Cosenza talPietro II del quale non si conosce altro cheil nome (cfr. F. RUSSO, Storia dell’Arcidiocesidi Cosenza, Napoli, Rinascita ArtisticaEditrice, 1958, p. 360.prima, relativa a Pietralata, si legge:«Qual fosse detto luogo e dove? Danessuno fu avvertito, e dal detto luogopartì Gioacchino al 18 di luglio1189, e passò nella Sila a fondare ilMonastero Florense»; nella seconda(Pietro) si chiarisce: «Così neimanoscritti, sebbene altri dicesseroDomenico Oliveto» 14 .Nel territorio di Marzi, in un habitatparticolarmente favorevole allavegetazione dell’ulivo, vi è unalocalità denominata, da tempo immemorabile,“Pietralata” 15 (ove sistaglia un monolito) vicino ad unfondo «Oliveto» 16 (vi si trova una«Torre Oliveto» 17 ), su un anticosentiero (indicato come «strada perPietralata» 18 ), diramazione di un’an-14 D. MARTIRE, ms. cit., alle note.15 Tra l’altro, la contrada “Pietralata” diMarzi viene ricordata perché il 15 agostodel 1806 «vi fu barbaramente ucciso, conaltri patrioti, da Giuseppe Morelli unodè capo dè Borboniani e dè Sanfedisti altempo delle discordie civili» l’avvocatomarzese Tommaso Golia, «caldo propugnatoredella Repubblica Partenopea» (E.ARNONI, La Calabria illustrata. Il Circondariodi Cosenza, vol. IV, Cosenza, EdizioniOrizzonti Meridionali, 1995, p. 136).16 I.G.M., 236, I, SO, B, Rogliano.17 Ibidem.18 Comune di Marzi (CS), catasto terreni,foglio di mappa, n. 5.


40 I luoghia fiancoGioacchino nell'eremo diPietralata scolpito nella facciatadi San Rufino ad Assisitica stradella che portava nei pressidi Corazzo 19 .Si tratta probabilmente di quel percorsoche congiungeva il Lametinocon in il sud-Cosentino, e in particolarel’area della Diocesi di Martiranocon il Roglianese, attraverso il bacinofluviale del medio Savuto che,proprio nei pressi di Pietralata, riprendel’antico tracciato della ViaPopilia: un percorso “storico” teatrodi importanti eventi storici, passaggioobbligato di eserciti e carovane.Si ricordano, tra gli altri, i passaggi egli episodi funesti relativi ad Enricolo Sciancato, figlio di Federico II, nel1242, ed a Isabella d’Aragona, mogliedi Filippo l’Ardito, nel 1271, (sepoltientrambi nel duomo di Cosenza)nonché il passaggio dell’ImperatoreCarlo V «reduce dalla spedizione diTunisi nell’anno 1535 (6 novembre,n.d.a.), il quale andò ad albergare incasa Sicilia» 20 .Quella degli Oliveti era una “stori-19 Cfr. L. FALBO, Un Santo per il popolo.Vita, prodigi e profezie di Fra ‘Ntoni da Panettieri,Cosenza, Editoriale Progetto 2000,2003, p. 20.20 T. MORELLI, Descrizione topograficadella Città di Rogliano, Napoli, Dallo Stabilimentodel Guttemberg, 1844, p. 29.Secondo una precisa indicazione bibliograficalo stesso storico roglianese scrisseuna Vita dell’Abbate Gioacchino, rimastamanoscritta e sinora non trovata ( cfr. A.CONFLENTI, Agli abitanti di Rogliano, Cosenza,1869, p. 7).ca” famiglia patrizia di Marzi conrappresentanti negli uffici politici egiudiziari, proprietaria di non pocaparte dell’agro marzese, allora territoriodi Rogliano.Numerosi documenti catastali delSettecento e dell’Ottocento riferisconodi personalità della famigliaOliveti, con ricorrenza dei nomiPietro e Domenico (un Pietro OlivetiPIETRALATACENTRO PROPULSOREDELLA NUOVASPIRITUALITÀ«Niente turbava, dunque, le dolcezze della vita angelica che i due Solitari menavanoa Pietralata. Gioacchino godeva del profondo riposo, la sua anima, elevata nellacontemplazione sublime, si trovava come inebriata dalle consolazioni celesti,che spandevano nel suo spirito luci e conoscenze soprannaturali che si vedonoancora brillare nelle sue opere: felice se questa piacevole situazione potessedurare a lungo! Ma non era possibile che una così grande luce restasse semprenascosta; si scoprì presto il luogo del loro ritiro: ci fu allora un’affluenza di gente,che niente poteva fermare, per vedere questo nuovo Giovanni Battista predicarela penitenza e intendere gli oracoli che uscivano dalla sua bocca. Un’infinità dipersone di ogni rango e di ogni condizione, che la rarità del fatto aveva attiratein quella solitudine, parlava già di stabilirvisi. La reputazione del Santo Abatecorreva per tutta l’Italia. Egli procurava di accontentare tutti con molta dolcezzae affabilità: ma queste maniere attraenti, che venivano da un fondo di virtù, nonfacevano che aumentare l’affluenza di gente; Pietralata non era più un deserto,le più grandi città non erano così frequentate. Allora la sua condotta cominciò adiventare sospettosa. Egli fu spaventato dal grande accorso di gente. Non eraforse un tranello del demonio, diceva il santo Uomo al suo discepolo, per farmicadere nelle braccia del secolo e farmi riprendere le massime, dopo avermiattirato dal Chiostro, in cui erano al riparo da questi pericoli? Non andiamo forsecontro le intenzioni del Papa, che mi ha affrancato dai legami del servizio incui mi trovavo avvinto, per rivolgermi alla contemplazione delle cose celesti emeditare giorno e notte i Libri Sacri?»da Storia dell’Abate Gioacchino - traduzione di V. Napolillo


I luoghi 41a fiancoMonolito di Pietralatanel Settecento risulta Giudice diTribunale in Lagonegro).Altre indicazioni - ancora - lascianodedurre, con elevata e significativarispondenza, la presenza diGioacchino nel territorio Rogliano-Marzi, non ultima il toponimo diuna contrada vicino a Pietralata:Colle d’Abate 21 .Il Papa Clemente III dopo aver concesso( 8 giugno 1187) a Gioacchinola facoltà di lasciare la cura del monasteroper impegnarsi maggiormentenegli studi e di ritirarsi aPietralata, con Bolla del 29 dicembre1188, incluse tra le donazionifatte alla Sambucina «S. Nicola deCalabrici, in territorio di Marzi» 22 ,ricadente nella zona Pietralata-Oliveto e lambito - appunto - daltorrente Calabrici.Ma v’è di più e d’importante dalpunto di vista storico-bibliografico.Il marzese Francesco Maria DeBonis, attento e scrupoloso studiosodi storia patria, da per “certa” la presenzadi Gioacchino nel suo borgonatìo, sostenendo che il luogo-simbolodi Pietralata fosse proprio lacontrada di Marzi.21 Cfr. F. M. DE BONIS, Cenni etnograficisu Marzi, ms; cfr. L. COSTANZO (a curadi), Marzi, Cosenza, Edizioni OrizzontiMeridionali, 1999, p. 76.22 F. RUSSO, Storia della Chiesa in Calabria...,p. 388.In un suo manoscritto di metàdell’Ottocento tra l’altro scrive:«Chi percorre la via (…) se si fermaa Marzi, che sta nel grembo di amenipoderi, è colpito anzitutto, dellabella vista di quattro colline, detteTozzo, S. Chirico, Manco e S. Biasio Vrasi , le quali lasciano ancora vederenel loro piede, come le traccedi un piccolo ed antico bacino idrografico,essendo state le due ultimecongiunte fra loro, ed il nostro paesellosi trovava a cavaliere di una diesse, quattro, avendo di rimpetto lacontrada detta Pardina, ed all’ingiùdel colle S. Biasi l’ampia foresta diPietralata, ove schivo di ogni umanofastigio il famoso Abate Gioacchino,come riferiscono i suoi biografi,per evitare dopo la morte del BeatoColombano, che lo nominasseroabate di Corazzo, ivi si tenne piùgiorni nascosto» 23 .La Commissione Storica dellaPostulazione della Causa ha avutomodo di visionare i documenti23 F. M. DE BONIS, ms. cit.; cfr. L. CO-STANZO, op. cit., p. 32. In uno dei “rifacimenti”del suo manoscritto il De Bonisriporta le seguente nota bibliografica: «Gregorio De Laude alias de Lauro - MagniDivinique Prophetae B. Ioannis veritasdefensa, Napoli 1660, p: 65» dove Pietralatanon viene accumunata ad alcun paeseo rione. Evidentemente, per il bibliotecariodella “Civica” di Cosenza, l’identificazionedel luogo-simbolo gioachimita conMarzi risulta “immediata” e “sicura”.storici citati e di recarsi nella zonainteressata, tanto che il professorGian Luca Potestà, ha inserito nelsuo volume “Il tempo dell’Apocalisse.Vita di Gioacchino da Fiore”, edito daLaterza.Questa ricerca accurata, che ci haportato a muovere i primi passinell’ambito della (ri)scoperta diPietralata è stata frutto di un lavorodi équipe, come descritto alla stampail 31 maggio 2003, coordinato dallaVice Postulazione della Causa diCanonizzazione del SdD Gioacchinoda Fiore.* StoricoHanno collaborato alla ricerca:Aurelio Scaglione(territorio e cartografia);Luigi Costanzo(bibliografia e archivistica);Gaspare Stumpo(catasto e fotografia),Carmela Salvino(geomorfologia).Un sentito ringraziamento aDon Enzo Gabrieli, Postulatore dellacausa di Canonizzazione del Servo diDio Giacchino da Fiore, per l’incitamento,la collaborazione nelle ricerche ei consigli.


42 I luoghiPasquale Lopetrone *Fiorecome NazaretIl luogo dell’annuncio del nuovo frutto dello Spirito SantoSino a qualche anno fa glistudiosi pensavano cheFiore (oggi Jure Vetere - S.Giovanni in Fiore) fossein origine il nome del torrente PinoBucato e che da questo termine fossederivato il nome all'insediamentoreligioso concepito dall'abateGioacchino.Il controllo della traduzione resa daibiografi antichi ha invece permesso,di recente, la rettifica del concettoespresso dall'anonimo biografo florensee si è giunti, in conclusione,che Fiore non è il nome del torrenteche confluisce nel fiume Arvo, ma ilnome che l'abate Gioacchino diede alluogo che è contiguo al fiume, dovecostruì la sua prima casa di religione.L'anonimo biografo spiega che Fioreè la nuova Nazaret, riprendendole parole di San Girolamo che definìNazaret "il Fiore della Galilea", eche, come a Nazaret fu annunciatodell'avvento del Figlio per mezzodello Spirito Santo, a Fiore sarà annunciatoil nuovo frutto dello SpiritoSanto. L'abate Gioacchino ponendoin parallelo Fiore e Nazaret implementail valore delle scelte operate, lequali trovano origine nella sua complessateologia della storia. Fiore rappresentapertanto la fase culminanteCentro Internazionale di Studi GioachimitiFEDERICO IIConferma a Gioacchino la concessionedella Sila Badiale.Decreta l’Abbazia Florense luogo sacroed inviolabileConcede all’abate Matteo lo Ius asyliIl territorio del Comune di San Giovanni in Fiore è il più estesodella Calabria per effetto delle donazioni di Enrico VI e del figlioFederico II a Gioacchino da Fiore.Nel 1194 l’imperatore Enrico VI, figlio primogenito di FedericoBarbarossa, concede al fondatore dell’ordine florense il TenimentumFloris, vasto territorio di pascoli, boschi ed acque checostituisce la Sila Badiale.Nel 1200 il giovanissimo Federico II conferma la concessionee dona all'abate Giovacchino ulteriori territori in Sila presso lasorgente dell’Arvo e l’esenzione dai tributi; ordina, inoltre, aifunzionari e ai prelati di non osare disturbare i monaci florensi.Nel 1220 Federico II, poco prima della sua incoronazione imperialeavvenuta nella Basilica di S. Pietro in Roma, concedeall’abate Matteo, successore di Gioacchino alla guida delmonastero florense, riconoscimenti speciali per “l’unico e predilettomonastero fondato nell’Italia meridionale sotto il regnodel padre Enrico VI e della imperatrice Costanza, mater nostrabone memorie”.Nel 1221 concede lo Ius asyli, un diritto per il quale chiunque sifosse rifugiato tra le mura dell’Abbazia Florense - luogo sacroed inviolabile - non avrebbe potuto essere arrestato, neppurese malfattore; concede, inoltre, all’abate il diritto di giudicare edi punire i reati minori commessi entro i confini del TenimentumFloris e nel 1222 l’immunità dal Foro civile e la protezionecontro i feudatari. Nel 1250 conferma all’abate Giovanni I tuttele immunità e i benefici concessi da lui e dai suoi genitori.Federico II è un personaggio straordinario e moderno, Stupormundi et novator mirabilis! Vissuto in quel momento storicodi passaggio in cui tramonta un’epoca ed una nuova sorge,dall’Italia meridionale normanna alla sveva, e, sullo sfondo, ildiffondersi dell’eresia, lo spirito armato delle Crociate, le lottefra Papato ed Impero e fra Impero e Comuni. Federico nascea Jesi il 26 dicembre 1194 da Costanza d’Altavilla che stavaraggiungendo il marito Enrico VI a Palermo, incoronato appenail giorno prima Re di Sicilia. La quarantenne imperatrice faallestire una tenda nella piazza della città, dove partorisce pubblicamente,fugando così i dubbi di quelli che non credevanoalla sua gravidanza per l’età avanzata. Numerose le tracce indelebililasciate da Federico II: nel 1224 istituisce l’Universitàdi Napoli, la prima "universitas studiorum" statale e laica dellastoria d’Occidente, che doveva servire non solo a prepararei dirigenti del regno, ma soprattutto a soddisfare “la fame disapienza” senza uscire dai confini per raggiungere Bologna oParigi; nel 1231 promulga il “Liber Augustalis”, le Costituzioni


I luoghi 43a fiancoProtocenobio - fronte estnel boxDipinto raffigurante Federico IIdel percorso teologico dell'abateGioacchino, il suo approdo, la messain pratica del suo progetto religioso,strettamente aderente ai suoi calcoliconcordistici che tendono alla dilazionedel tempo e all'apertura di unanuova fase storica. In questa logicagioachimita Fiore non è solo un luogo,ma anche un concetto, un progetto"teologico", che sfocia sul finire delsecolo XII in una esperienza di vitareligiosa per la nuova fase della storia,sinteticamente schematizzato nelmodello della Tavola XII del LiberFigurarum. Il diagramma ha in sé sedimentatodistinti concetti teologici ecarismi spirituali adatti a caratterizzareun ordine religioso, concepitocome un "nuovo", organizzato in setteforme distinte, tuttavia congregatein un unico Monastero. Il Monasteroin questo caso non è un'abitazionemonastica, secondo le forme fisichee l'accezione classica del termine, maun insediamento sviluppato su unterritorio molto esteso, idoneo a garantirela sopravvivenza delle settecomunità stanziate su ambiti distantitra loro. Il territorio designato è gestitoda sette case di religione (composteda cenobi, chiese, abitazioni,fattorie), ognuna delle quali fa capo aun distinto oratorio (territorio), settemelfitane, una raccolta di leggi che rappresenta il più grandemonumento legislativo laico del Medio Evo, “l’atto di nascitadello stato amministrativo moderno”; dona a Luca Campano,in occasione della consacrazione del Duomo di Cosenza, unareliquia della Santa Croce, la Stauroteca, considerata una dellepiù preziose opere d’arte della Calabria; edifica palazzi circondatida voluttuosi giardini e splendidi castelli, fra i quali Casteldel Monte nei pressi di Andria; fonda la scuola poetica siciliana,alla quale lo stesso Dante riconoscerà la priorità storica nelpoetare in lingua volgare e nella formazione del nostro linguaggiopoetico e nell’evoluzione della lingua volgare.Dante lo definisce “ultimo imperadore de li Romani”, FriedrichNietzsche “grande spirito libero, genio tra gl’imperatori”, ErnstKantorowicz "il fondatore dello Stato laico", Jakob Burckhardt“il primo uomo moderno sul trono”, Jacques Le Goff “una figurafuori del comune”. Portatore di multiculturalità e di fecondaconvivenza razziale, il figlio di Costanza contribuisce al periododi massimo splendore della Sicilia lasciando nell’Italia meridionaleunificata tracce positive di organizzazione statuale e unaidea di cultura plurilingue e policentrica con modelli letterari eartistici molteplici. Alla corte normanno-sveva, un melting potdi culture, i dotti europei hanno l’opportunità di studiare queilibri di filosofia, medicina, meteorologia e matematica che aParigi non circolano ancora. Palermo diviene crocicchio nelquale Asia, Africa ed Europa trovano la loro sintesi; croceviacosmopolita dei popoli e della storia; terra di incontri e stratificatocontesto di culture arabe, bizantine e gotiche. Latini, greci,ebrei e saraceni convivono, nel rispetto delle religioni e delletradizioni, in un regno considerato un modello senza eguali tragli stati europei di quei secoli.


44 I luoghia fiancoLiber Figurarum - tavola del Nuovo OrdineMonasticoin tutto, su cui ogni gruppo sviluppale sue attività, per se e per gli altri,finalizzate a produrre "beni" necessariper la sopravvivenza materialee spirituale della Congregazionereligiosa. Lo spazio qui disponibilenon consente di entrare nei dettaglidel progetto formulato, tuttavianon possiamo esimerci di riferireche a capo della comunità è postol'Abate, il Padre spirituale dellaCongregazione formata da laici, secolari,conventuali, monaci di diversaspecie, riuniti in sette case religiose,secondo il grado spirituale acquisito.L'Abate decide su tutto e disponeanche il passaggio da un gruppoall'altro. Nella congregazione c'è chilavora per se, per la sua famiglia, oper altri e c'è chi prega per chi lavora,oppure c'è anche chi prega e lavoraper se e per gli altri. Gli esponentidei ceti laici, secolari, conventuali emonastici, sono organizzati secondodistinti istituti che regolano i rapportiinterni all'oratorio e le relazionitra gli oratori congregati. La grandenovità assoluta del "nuovo ordo" èdata dall'accettazione della presenzadei laici nella Congregazione religiosa.Si tratta di laici singoli o sposaticon prole. A questi è concesso lavorarei terreni assegnati a ognunodalla comunità, in cambio ognunodeve alla Comunità la cessione delladecima parte derivante dalla produzioneagricola e dall'allevamento. LaComunità garantisce l'istruzione e lostudio della religione anche alle donneinsediate nel villaggio dei laici,l'amministrazione dei sacramenti edella giustizia, secondo le leggi delRegno. Il modello di "nuovo ordo",comporta l'accettazione delle passateesperienze monastiche e del clerosecolare che qui condividono leIstituzioni florensi, quindi l'aperturaai laici, ai quali offre due grandi possibilità:l'opzione della libertà, conl'affrancamento dal giogo feudale, el'opportunità di vivere religiosamente,spiritualmente congregati perlodare tutti insieme Dio e conquistarsiognuno "la scala di accesso alParadiso". A Fiore l'abate Gioacchinocominciò a sperimentare gli albori diuna Congregazione strutturata a immaginedella Gerusalemme Celeste,ma la morte gli impedì di portare atermine il suo sogno.*Architetto estudioso gioachimita


I luoghi 45Dimitris Roubis * e Francesca Sogliani *Scoperte archeologichea Jure VetereLo scavo della prima fondazione di Gioacchino da Fiore in SilaDi grande interesse perl'archeologia medievalein Calabria é stata la recentescoperta del protocenobiofondato da Gioacchinoda Fiore alla fine del XII secolonell'altopiano silano, nel sito di JureVetere Sottano, ubicato a circa 5 kmad ovest dal centro di S. Giovanni inFiore (CS). L'indagine archeologica,condotta da ricercatori dell'IBAM- Istituto per i Beni Archeologici eMonumentali del CNR (sezione diLagopesole - PZ) e diretta dal Prof.Cosimo Damiano Fonseca, ha presole mosse in seguito ad una segnalazionedel Centro Internazionaledi Studi Gioachimiti ed è iniziatacon una serie di indagini preliminari(prospezioni georadar, fotointerpretazione),in collaborazionecon la Scuola di Specializzazione inArcheologia di Matera (Universitàdegli Studi della Basilicata) nel 2001,grazie alle quali sono state individuatele prime tracce di strutturesepolte e di crolli relativi ad un imponentecorpo di fabbrica di formarettangolare orientato est-ovest.A queste indagini diagnostichehanno fatto seguito, dal 2002, gliinterventi sistematici di scavo archeologicostratigrafico che tuttoraproseguono a cadenza annuale, effettuatigrazie alla proficua sinergiatra l'IBAM CNR, gli Enti di tutelaregionali (Soprintendenza per iBeni Archeologici e Soprintendenzaper i Beni Architettonici e delPaesaggio della Calabria), il CentroInternazionale di Studi Gioachimiti,il Comune di S. Giovanni in Fiore eresi possibili grazie al sostegno economicodel Comitato Nazionale perle Celebrazioni dell'VIII Centenariodella morte di Gioacchino da Fiore.Il luogo dove è stato rinvenuto ilprotocenobio è costituito da unapiccola collina a circa 1090 m s.l.m,delimitata verso il lato settentrionaledalla strada asfaltata Garga-Cerasoe verso meridione dal percorso delfiume Arvo. A ridosso del marginesettentrionale della terrazza superioreè stato portato alla luce dalloscavo archeologico, appena sotto ilpiano di campagna, un impianto architettonicodi notevoli dimensioni,per il quale sono state riconosciutedue fasi costruttive, i livelli di frequentazionee di distruzione e lafase di abbandono.Le strutture murarie appartenentialla prima fase costruttiva sono daattribuire ad un edificio religiosoarticolato in una navata centrale, desinentead est in un coro rettilineo.La navata è affiancata sui due latinord e sud da due ambienti speculari,identificabili probabilmente comecappelle, terminanti con due piccoleabsidi semicircolari. L'impianto architettonicoe planimetrico di questocorpo di fabbrica appare articolatosecondo suggestioni che si rifanno almodello di origine cistercense, comesuggeriscono l'ala settentrionale el'ampio coro rettilineo che chiudetutto il complesso ad est.Appare suggestiva l'analogia tra lacronologia offerta dall'indagine archeologicae i dati della documentazionescritta che ricordano appunto,all'inizio dell'ultimo decennio delXII secolo l'originaria fondazionedel complesso monastico florensevoluta da Gioacchino ad locum, ubiFlos Albo flumini iungitur, in seguitoal trasferimento suo e di pochimonaci al suo seguito, nel 1188, daPietralata. L'edificio o gli edifici relativia questa attività edilizia tuttaviasembrano aver avuto vita piuttostobreve; lo scavo ha difatti dimostratoche l'impianto architettonico fudistrutto da un incendio di notevoleentità, come attestano consistentistrati di terreno combusto e resti ditravi carbonizzate, che coprono i pavimentidell'edificio stesso.Sulle macerie del precedente edificioviene realizzato il secondo corpodi fabbrica, analogamente orientatoest-ovest, ma di dimensioni minoriche si inserisce all'interno dellestrutture precedenti, restringendodi alcuni metri l'area presbiterialee riutilizzando la navata centraledell'edificio.Relativamente alle sorti dell'insediamentomonastico, anche la secondaattività edilizia, eseguita sotto la direzionedel successore di Gioacchino,l'Abate Matteo, non sembra esseredurata a lungo come testimoniano imateriali ceramici e vitrei rinvenutiin strato che si fermano nell'ambito


46 I luoghidel XIII secolo.La documentazione scritta pone inparticolare l'accento, per i primi decennidel XIII secolo, sulle difficoltàdella comunità florense causate dalleavverse condizioni climatiche delsito in cui era ubicato il monastero.Probabilmente è tra il 1215-1216 e il1220 che l'originaria comunità florensecambia, questa volta definitivamente,sede e si sposta non lontanonel sito ove è ubicata attualmentel'Abbazia, cioè a San Giovanni inFiore, come sembra evincersi da undiploma di Federico Il del 1220. Nonsembra casuale, a questo proposito,l'assenza di riferimenti a difficoltàdovute al clima e all'insicurezza delsito nella pur copiosa documentazionescritta degli anni successivi.Da questo momento, data l'assenzadi attestazioni materiali, si registraun lungo iato cronologico cheperdura fino ad età post-medievale(XVI-XVII secolo).Dopo l'abbandono del cantiere, lestrutture dovettero subire un processodi degrado e di lento disfacimentofino ad età post-medievale,rimanendo a lungo esposte alle intemperie.Nel XVIII si conservano ormai solodei ruderi del monastero, ancora invista nella prima metà del secolocome attesta una lettera del Principedi Cerenzia del 1774 al Venusio incui si ricordano alcuni lacerti dimuratura e alcuni cantonali di fabbricadi "pietra lanova a scarpello".Le strutture abbandonate divenneronei secoli a noi più prossimi unacava a cielo aperto, come testimoniail reimpiego di parte consistente delmateriale di crollo nelle muraturedelle case coloniche circostanti.Tutta l'area, negli ultimi decenni delXX secolo, viene ormai utilizzatacome terreno agricolo.La spessa coltre di terreno che si formasopra le strutture verrà rimossasolo dal lavoro degli archeologi,grazie al quale verranno restituitealla comunità civile e alla comunitàscientifica le prove archeologichedel primo insediamento florensenascosto finora gelosamente sottoil manto protettivo del suolo delle"alpi glaciali" silane.* Ricercatori IBAM-CNR Istituto per iBeni Archeologici e Monumentali, Sezionedi Lagopesole (PZ)


I luoghi 47nella pagina accantoJure Vetere. Protocenobio - fronte ovesta fiancoPietrafitta. Abside della Chiesa di SanMartino di Canalenel boxMiniatura medioevaleDebora RuffoloSan Martinodi GioveNel 1201 l’arcivescovoAndrea di Cosenza donòa Gioacchino una piccolachiesa vicino a Pietrafitta,nel cuore della Sila, dove l’Abateiniziò la costruzione di un eremoche dedicò a San Martino di Giove.Nel 1202 sfidando i rigori dell’invernosilano e superando un valicodi 1600 metri, malgrado la sua tardaetà, Gioacchino di Celico, si recò aCanale, presso Pietrafitta, dove erain costruzione la nuova Grancia,l’ultima delle sue fondazioni. Questafatica gli fu fatale. L’Abate florensevi si ammalò gravemente, ricevendola visita dei monaci cistercensi diCorazzo, della Sambucina e di SantoSpirito di Palermo, la sera del 30marzo del 1202 fu l’ultimo giorno delsuo pellegrinaggio terreno. Mortoin concetto di santità Gioacchino fusepolto a Pietrafitta, dove il suo corpofu custodito con devozione peralcuni anni, prima di essere traslatonell’attuale abbazia intorno al 1226,dove è raccontata la venerazione e inumerosi miracoli che si verificaronoproprio in occasione della traslazionedei suoi resti mortali.D’importanza storica, oltre che architettonicae stilistica, la Chiesa in cuisorge l’Eremo di S. Martino di Canale(anticamente ricadente nel territoriodi Aprigliano) e soprattutto la località,in cui a varie riprese dimorò einfine morì Gioacchino da Fiore. LaChiesa medievale con arcate protogivaliimprontata allo stile dell’architetturamonastica francese del secoloXI, ha un interno ad unica navata,con tre absidi semicircolari e vastotransetto, ampiamente sporgente sullanave. La chiesetta, costruita e decoratadallo stesso abate, costituiva unparticolare luogo di ritiro spirituale.LUCA CAMPANO,LA MORTE DIGIOACCHINOEra il 30 marzo 1222Mentre si cantava il Sitientes......Gli servivo anche la Messa, ammirando tutte le sue abitudini.Infatti quando celebrava alzava più degli altri sacerdoti lamano per benedire l’ostia e faceva gli altri segni e le cerimoniecon più dignità. Pur avendo il volto quasi sempre pallidocome una foglia morta, al momento della Messa lo mostravaveramente angelico, come notai e chiaramente ricordo. Anziuna volta lo vidi piangere nella Messa durante la lettura dellaPassione del Signore. Sentii anche dire da lui che non provavamai tanto sollievo per tutto l’anno come nei quindici giornidella Passione; tanto che si rattristava quando volgevano atermine. E appunto per questo forse nel sabato, in cui si cantail Sitientes, (V domenica del Tempo di Quaresima secondol’antico Ufficio Liturgico – coincidente con il 30 marzo del1202, ndr) gli fu concesso di ardere del desiderio di morte e,raggiunto il vero sabato, di affrettarsi come cervo alle sorgentidelle acque... Nell’inverno in cui morì vi fu anche tale carestiain Sicilia e in Calabria che in molti poveri morivano di fame.Egli con la massima carità soccorreva tutti quelli che poteva eesortava gli altri a fare altrettanto...Luca, Arcivescovo di Cosenza


48 I luoghiPietro De Leo *Nel cuore della Silala prediletta Chiesadi GioacchinoSan Martino di Canale, un luogo da rivalutareGioacchino da Fiore pertutta la vita fu un monacoerrante. Da Celicoin Terra Santa; dallaSambucina a Corazzo; da Casamaria Palermo, da Verona alla Sila, egliincarna il cristiano in cammino traterra e cielo, convinto che “la vita èun soffio, la morte è vita”.Una delle tappe del suo pellegrinaggioterreno è “la grancia di SanMartino di Giove” nel tenimento silanodi Canale, sita nell’altopiano silanoall’interno di una conca con un microclimaideale per la crescita di pianteorticole, vigne e alberi da frutto.La fondazione del monastero risaleprobabilmente intorno al VII-VIIIsec. come ricorda Biagio Cappelli,che lo indica come grancia di monacicalabro-greci cui si deve l’impiantoe lo schema della costruzione, tipicidell’età bizantino-normanna.Secondo Domenico Martire avrebbeospitato S. Ilario, che fra il 962 e985 con ventinove compagni da quisi sarebbe trasferìto nel Molise, acausa d’incursioni di Saraceni, documentatada Lupo Protospatario:“Anno 986 Saraceni dissipaveruntCalabriam totam”.Nel monastero di Canale, il 6 dicembre778, sarebbe morto, il B.Ubertino di Otranto, abate, il cui corpofu rinvenuto nel 1593, dall’AbateCommendatario del tempo, PietroPaolo Pannunzio, durante i lavori direstauro della Chiesa Abbaziale.Nel 1194, dopo la morte di Tancredi,subentrò nel regno Enrico VI, figliodi Federico Barbarossa e padredi Federico II, il quale concesse aGioacchino un vasto tenimento inSila e privilegi sovrani su molti territoridella Calabria.Come scrive padre Francesco Russoin “Gioacchino da Fiore e le fondazioniflorensi in Calabria“: il primorifugio dei due monaci, dichiarati“fuggitivi” dal Capitolo generaledei Cistercensi del 1192, fu una raduranei pressi di Pietrafitta (CS) frai monti della Sila. Prima dote dellanuova famiglia monastica. Nel giu-


I luoghi 49nella pagina accantoSila. Lago Arvoa fiancoSila. Lago Ampollinogno del 1198 Pietro e Novello figli diNicola di Canale dovendo alienareparte della proprietà paterna, ottenutal’autorizzazione del tutore econ il consenso di Luna loro madre,vendono a Gioacchino da Fiore unterreno in località Canale, contiguaalla chiesetta edificata dall’Abatecalabrese. Nello stesso anno, unavedova, di nome Dulcissima, offrìall’abate di Fiore una foresta, un fruttetoe una vigna, ubicati anch’essi aCanale. Sempre qui, due anni dopo,Gioacchino ricevette in donazioneun appezzamento di terra, da partedi un tale Lorenzo de Vico Turzani.A Canale Gioacchino istituì una piccoladipendenza: la chiesa di SanMartino, concessa dall’arcivescovodi Cosenza, che confinava infatti coni terreni suddetti. Nella medesimadirezione sembrano orientate anchele acquisizione di terre a Pietrafitta,altra località nei pressi di Canale.L’indice delle carte conservate nell’archivio di San Giovanni in Fiore attestasia l’acquisto di alcuni terreninel territorio di Pietrafitta, nel 1200,sia la donazione di un querceto e diun castagneto nella medesima localitàavvenuta un anno dopo, da partedi Rocca, moglie di Ruggero deTiniano.Nel 1201 Andrea, Arcivescovo diCosenza, offrì a Gioacchino da Fioreuna chiesa in un luogo incantevoledistante passuum millibus quattuorda Cosenza e unico vero milliario acastro Petrae-fittae, poi lungo un sentieroche conduceva a Fiore per il lagoArvo e Lorica oppure, più probabile, perCapo Pietrarva e il lago Ampollino passandodalle parti di Caccurri e Cerenzia,fu detta anche di Monte Giove o di SanMartino di Canale. L’Abate in quellostesso anno vi gettò le fondamenta diun monastero florense, la cui primapietra fu posta con grande solennitàdallo stesso Arcivescovo. La donazionefu confermata un anno dopodal vescovo di Tropea Riccardo, assiemealla concessione di tre chieseper la fondazione di un altro monasteroa Canale. L’iniziativa apparesupportata inoltre da numerose donazionida parte di privati di terrenie beni ricadenti nello stesso territorio(Canale e Pietrafitta), avvenute tra il1198 e il 1203, comprendenti aree coltivabili,foreste, frutteti, vigne, querceti,castagneti e mulini. Come ricordaPadre Russo nel 1202, malgradoi rigori dell’inverno e la sua età,Gioacchino si reca a Canale, pressoPietrafitta, in piena Sila, attraversandoun valico di 1600 metri. Andavaa sorvegliare la costruzione del monasterodi San Martino di Giove cheè l’ultima sua fatica. Il clima e glistrapazzi finirono col fiaccare la suatempra. Ammalatosi gravementeebbe la visita degli abati cistercensidella Sambucina, di Corazzo e del S.Spirito di Palermo.Il 30 marzo proprioa Canale, presso la chiesa di S.Martino de Jove, Gioacchino conclusela sua esistenza terrena, nel luogoin cui forse aveva in mente di fondareun altro monastero del suo ordine,come farebbero ipotizzare gli ultimisforzi di acquisizioni patrimonialie la permanenza in quel luogo dellesue spoglie sino al 1240, quandoverranno traslate a San Giovanni inFiore e la chiesa di S. Martino de Joveverrà adibita a grangia.Oggi purtroppo questo meravigliosotassello della plurisecolare storiadella Sila e della Calabria è trascuratoed abbandonato. Della vecchia chiesarimase solo l’abside, di forma semicircolare,completamente sporgenteall’esterno, illuminata in origine dauna piccola finestrella bordata da concidi pietra, chiusa poi dall’interno; unsemplice altare in muratura dominavala parte centrale, affiancato nelledue brevi pareti laterali da nicchie oramorate, e sovrastato da una pitturamorale racchiusa in una cornice distucchi ottocenteschi e raffigurante S.Martino che dona il suo mantello a unpovero. Ci si augura che essa possa risorgere,anche in onore dell’ “abate diSpirito profetico dotato”.* Docente di Storia Medievale pressol’Università della Calabria


50 I luoghiL’abbazia diSan Giovanniin Fiorecaposaldodell’architetturaflorensePasquale Lopetrone *La produzione architettonicae artistica florense èconfinata sostanzialmentenel periodo compresotra il 1189 e la metà del secolo XIII,sebbene risale al primo terzo delCinquecento l'ultima importantefondazione. L'iconografia architettonicatrova il suo contrassegnoprincipale nella chiesa abbaziale diSan Giovanni in Fiore, i cui carattericostitutivi presentano alcune pecu-


I luoghi 51liarità spaziali e distributive replicateesclusivamente nelle costruzionifondate dall'ordine monastico,tanto da configurare un modello,una tipologia esclusiva concepitadall'abate Gioacchino e dalla congregazioneflorense, nel senso piùstretto del termine. L'organismoarchitettonico sangiovannese tuttavianon è il primo della serie, mascaturisce da un processo evolutivodi perfezionamento, durato unquarto di secolo, che trova le sue radicinel prototipo iniziale concepitodall'Abate Gioacchino a Jure Veteretra il 1189 e il 1191, e nel modelloaffinato successivamente utilizzatoper l'abbazia di Fonte Laurato, pressoFiumefreddo Bruzio, fondata apartire dal 1201. Il complesso di SanGiovanni in Fiore è stato costruitodall'abate Matteo, il successore diGioacchino, nel periodo compresotra il 1215 e il 1234. Nel medesimolasso di tempo avvenne anche lacostruzione di altre abbazie florensitra cui si enumerano: S. Maria diAltilia presso S. Severina, S. Mariad'Acquaviva presso Zagarise, S.Maria della Gloria presso Anagni,S. Angelo di Monte Mirteto pressoNorma. In quell'epoca furonofondati, inoltre, anche tanti oratoriflorensi, disposti come dotazioniecclesiali delle grange o come caposaldidi riferimento all'interno dei


52 I luoghia pagina 49 e 50l'Abside dell'Abbazia Florense con lefinestre trinitarie;a pagina 50l'interno dell'AbBazia Florensenumerosissimi territori acquisiti.L'Atlante delle fondazione florensi,edito nel 2006, contiene le schede diun centinaio di filiazioni dipendentisparse in cinque regioni d'Italia:Calabria, Puglia, Campania, Lazio eToscana.Entrando nel merito della costruzionesi può sintetizzare che nellachiesa abbaziale florense di SanGiovanni in Fiore sono presentialcuni aspetti insoliti che la caratterizzanoe che la rendono unicarispetto alla contemporanea produzionearchitettonica. La lunga navatacoperta a tetto (la più grandedella Calabria), con rapporto proporzionalepari a uno su cinque, sirelaziona direttamente con un coroabsidale quadrangolare, caratterizzatoda una parete di fondo dotatadi sette aperture: tre monoforerettilinee sormontate da un temadi trafori circolari unico al mondo,quest'ultimo conformato da ungrande rosone incorniciato da trepiccoli rosoni di uguali dimensioni,disposti ai vertici di un idealetriangolo equilatero che inscrive ilrosone maggiore. La parete absidaleal mattino è attraversata da unacascata di luce. L'altra interessantee indecifrata particolarità è datadalla presenza a piano terra di duecappelle chiuse, disposte ai lati delpresbiterio, a loro volta sovrastateda altre due cappelle, questa voltaaperte sul lato della chiesa, disposteal piano superiore, che costituisce laseconda quota di un ulteriore pianodi calpestio. Le cappelle terraneesono "autonome". Le cappelle superiorierano riservate forse all'abate eal priore. Il carattere architettonicoinconsueto riflette l'originale organizzazionedi vita dell'ordine, chedopo la morte dell'abate Gioacchinoè stato riformato dall'abate Matteo.La chiesa di San Giovanni in Fioreha, pertanto, un rapporto relativocon le fondazioni di Gioacchino,che sono quelle edificate tra il 1189e il 1202. In effetti, gli oratori costruitial tempo dell'Abate presentanodistribuzioni simili a quelli successivi,tuttavia si connotano comeoratori isolati, separati dai corpidestinati ad abitazione. La presenzadi due cappelle semi ipogee nellachiesa sangiovannese, formanti uninsieme definito cripta, abbastanzaricco di corpi di fabbrica di diversiperiodi, lascia supporre che ilcomplesso è stato costruito in piùfasi e su preesistenze, in parte florensiin parte precedenti alla colonizzazionemonastica. È noto cheil luogo dove sorge l'abbazia florense,prima del 1194, si chiamavaFaradomus, un toponimo di chiaraderivazione longobarda. La chiesa el'abitazione, pur avendo funzionalitàreciproche, vanno considerateseparatamente, in quanto la primadelinea diversi aspetti architettoniciinsoliti, concentrati in uno spaziooriginale specificatamente florense,mentre la seconda ripropone loschema tipico ripetuto nelle abbaziecistercensi, un dato che designa lariforma operata dall'abate Matteo.*Architetto estudioso gioachimita


I luoghi 53Valeria De Fraja *Progettista e attuatore diun nuovo Ordine religiosoNell'arte visibilizzato il suo pensiero ecclesiologicoChi ancora si raffigura unGioacchino eremita e solitario,pensatore e misticoisolato tra le cime dellaSila, intento alla sola contemplazionee alla composizione delle sue complicateopere, deve ormai ricredersi.Gioacchino è certo teologo e scrittore,ma ben diverso da quanto unacerta iconografia (sua, ma non solo:pensiamo a come san Girolamo vienerappresentato nei dipinti, solitarioin una grotta, intento a scrivere,con l’unica compagnia di un leone)potrebbe indurre a credere. Al nomedi Gioacchino è associato sempre, apartire dalla sua stessa “firma” appostaalla sua lettera più famosa,ai manoscritti, fino al suggello deiversi danteschi (“il calavrese abbateGioacchino...”) l’appellativo di abbas,abate, padre di una comunità monastica.E un abbas non può, per definizione,essere un solitario: è come direche un padre, un papà (l’etimologia èidentica) non ha dei figli intorno a sé.E come tutti i padri, anche Gioacchinoha cercato di provvedere in qualchemodo al futuro dei suoi figli, della suacomunità monastica, ossia di quellosparuto gruppo che inizialmentedall’abbazia di Corazzo (CZ) lo volleseguire fin sulla Sila, nella fondazionedel tugurium, poi abbazia, sorta aFlore Vetere, e in seguito dei numerosicompagni che a partire dai primianni ’90 del XII secolo si aggiunseroal nucleo comunitario originario.Ecco allora che ci si profila di frontel’immagine di un Gioacchino diverso,inaspettato, quello di un abateprogettista e fondatore. Non solo enon tanto fondatore di un nuovo sito- più isolato e lontano dal saeculum,dalle attività umane, come si dicevanel Medioevo – in cui risiedere ein cui dedicarsi alla lode di Dio, maprogettista e attuatore – finché quellostesso Dio glielo permise – di un nuovogenere di ordine religioso. Qualera il progetto che l’abate aveva inmente, l’eredità che voleva lasciare aisuoi figli e alla sua Chiesa? Era l’idea


54 I luoghinella pagina precedenteLa Chiesa di San Martino diCanale (CS)L’abbazia di Fonte Laurato, indiocesi di Tropeaa fiancoLe rovine dell’abbazia diSant’Angelo del Monte Mirtetonel boxDipinto raffigurante Luca Campano(il sogno?) di un ordine in cui i molteplicicarismi religiosi dei diversi componentidella società convivesseroarmonicamente, senza confondersidisordinatamente, ma conservandoal contrario la propria identità e leproprie specifiche caratteristiche: unordine religioso che sapesse unire imonaci (a loro volta divisi in cinque“categorie” a seconda della condizionee del carisma di ciascuno: i giovani,gli anziani, gli studiosi, i contemplativi,e i prelati, questi ultimi concompiti di guida dell’intero ordine) ichierici (che dovevano dedicarsi allacura pastorale) e i laici, anche sposati,a cui era delegato il lavoro manuale,che avevano dei momenti di vita comunitariae che erano assistiti, per gliaspetti liturgici e anche educativi, daichierici.Solo un progetto, rimasto però sullacarta, o meglio, sulla pergamenadi una delle sue famose tavole raccoltenel Liber figurarum, la tavolaXII, anche questo indice dopotuttodi una mente sognatrice e fumosa?Sembrerebbe proprio di no.A partire dal 1195 infatti (ce lo attestanoi documenti) Gioacchinoavrebbe proprio tentato di metterein atto questo suo progetto. Grazieindubbiamente al fatto che la suacomunità monastica continuava adaccogliere nuovi aderenti, l’Abate diFiore iniziò a fondare e a organizzareun certo numero di nuove sedi, dislocateintorno al monastero di FloreVetere, in cui distaccò i suoi monaci.A Fiore infatti si aggiunsero ben prestole nuove sedi di Abate Marco (oMonte Marco), di Bonum Lignum, diTassitano, e il progetto, poi caduto,di una nuova fondazione che dovevasorgere a Caput Album o, in alternativa,ad Albetum. Queste prime cinquesedi (di cui una rimase irrealizzata)fanno pensare alle cinque case (prio-Antonio AcriLUCACAMPANOArcivescovo di Cosenza, fece costruirela cattedrale del capoluogo in stile goticocistercenseLuca Campano è chiamato così in quanto originario di CampagnaMarittima, in provincia di Frosinone, anche se alcunistorici propendono per il nuovo appellativo, Luca da Cosenza.Generalmente il personaggio infatti assume il "titolo" dellacittà dove ha significativamente inciso, poche volte quella dinascita, come nel caso dello stesso Abate di Fiore. Nel casospecifico è vero che fu monaco di Casamari ma l’incarico più


I luoghi 55a fiancoLe rovine in restauro dell’abbazia di SantaMaria della Gloria di Anagninel boxLa Cattedrale di Cosenzarati) in cui dovevano dislocarsi, secondoil progetto dell’Abate, i monacicontraddistinti dai cinque carismimonastici.Gioacchino, lo sappiamo, morì il 30marzo 1202, presso la chiesetta di SanMartino de Iove, o di Canale, localitànon lontana da Pietrafitta, nei pressidi Cosenza. Qui egli stava probabilmentesovrintendendo all’impiantodella nuova dipendenza florenseche aveva ottenuto dall’arcivescovoAndrea, nel marzo 1201. Posta a distanzadalla Sila, e dunque lontanadalle case dei monaci, ma vicina alcapoluogo della Val di Crati, la posizionedi San Martino induce a ritenereche la nuova fondazione fosse destinataa quei chierici che, unendosi aGioacchino, volevano tuttavia continuarea dedicarsi alla cura animarum,alla pastorale tra la gente.E i laici? A quanto pare, Gioacchinopensò anche a loro. Egli infatti ricevettein dono, o riuscì ad acquistare,almeno due case nel centro diCosenza. A che cosa dovevano servirequeste abitazioni, a lui, monacostanziato in Sila, che mirava a unavita ascetica, distaccata dal mondo?Anche in questo caso, il pensiero correal suo progetto: le case dovevanoessere destinate, con ogni probabilità,a quei laici che volevano legarsiin qualche forma al monastero (comeaccadeva molto spesso tra i monacibenedettini, in particolare cistercensi),che potevano essere anche sposatie che volevano continuare la loro vitanormale, fatta di lavoro e di famiglia,cercando nello stesso tempo di farloin modo religioso, ma senza per questodiventare religiosi a pieno titolo,pronunciando i voti monastici.Ecco dunque che accanto al contemplativo,al teologo, si delinea il ritrattodi un abate capace di progettare unfuturo per i suoi figli e capace ancheautorevole è collegato al titolo di arcivescovo di Cosenza. Èspesso citato non tanto per la sua vita religiosa, ma poiché alui vengono attribuiti i lavori architettonici di due dei più importantiedifici religiosi della Provincia di Cosenza, il Duomodi Cosenza e l'Abbazia Florense.Abate dell'Abbazia della Sambucina, e formatosi precedentementenell'Abbazia di Casamari, qui incontra Gioacchinoda Fiore, famoso già come alto predicatore. Rimase moltoaffascinato dalla figura di Gioacchino, e lo stesso Gioacchinoutilizzò Luca Campano come suo "scriba" o amanuense,compito che Luca svolse con molta umiltà. Venne elettoabate della Sambucina il 22 novembre del 1194, e mantennetale carica per sette anni, dando un forte impulso economicoall'Abbazia, grazie anche all'amicizia che lo legava ai PapiCelestino III ed Innocenzo III ed agli Imperatori Federico II edEnrico IV, che si impegnarono in numerose donazioni versol'Abbazia. In questi anni si concesse molto nel svilupparee migliorare il suo maggiore interesse, ovvero l'architettura.Divenne un così abile architetto che quando venne elettovescovo di Cosenza, poté dare libero sfogo alla sua grandecapacità ormai acquisita. In Sambucina diede inizio al rifacimentodell'Abbazia mentre a Cosenza, progettò la sua operapiù importante, ovvero il Duomo della città. A lui viene attribuitaanche l'edificazione dell'Abbazia Florense. Gli ultimi scavidell'Abbazia di Iure Vetere ed alcuni scritti, accennano delsuo coinvolgimento nell'erezione dell'Abbazia, o per lo menolo vedono indicato quale "direttore dei lavori" del nuovo archicenobiofatto erigere dopo la morte di Gioacchino da Fiorein uno stile detto gotico-cistercense.


56 I luoghia fiancoLa chiesa dell’abbazia di San Pietro diCamaioredi mettere in atto il suo progetto, tramiteacquisti, contratti, scambi, donazioniricevute sia da semplici laici,sia da arcivescovi, religiosi e signori,mettendosi più volte in viaggio, quasiun pendolare tra la Sila e Cosenzae le sue zone limitrofe. Nel pieno diquesta quasi frenetica attività checontrasta con i suoi quasi settant’anni(accettando il fatto che fosse natointorno al 1135), età già ragguardevoleper quei tempi, sopraggiunse lamorte. E con la morte del progettista,l’attuazione del disegno non poté chepassare i suoi figli.Come molte volte accade, tuttavia,gli eredi, i suoi monaci, non seppero(forse non vollero, forse pur volendo,non furono in grado) di portare avantiin modo completo il progetto delloro abbas. Ci fu intanto, nel 1204, un“tentativo di fuga” dalla Sila, dove ilfreddo e le guerre rendevano la vitatroppo dura: fu pertanto progettatoun trasferimento a valle, nelle vicinanzedi Cosenza, progetto che tuttaviapresto rientrò, probabilmenteperché prevalse la volontà di rimanerefedeli alla volontà del fondatore.C’è da dire che, pur nel tentativo,poi abortito, di fuga, si riconosce neimonaci di Fiore la volontà di seguirein qualche modo il progetto di ordinereligioso che voleva l’abate, dal momentoche Matteo, il successore allaguida della comunità florense, ottennedall’arcivescovo di Cosenza Lucatre chiese, che forse dovevano esserele “sedi centrali” per le tre componentidell’ordine (monaci, chierici e laici).I canonici di Cosenza, da parte loro,costretti dal loro arcivescovo e perfinodal papa a cedere le loro tre chiese,accusarono i monaci di Gioacchinodi voler costituire, nel territorio delladiocesi, numerosi habitacula, tuttauna serie di piccole abitazioni, cosache di nuovo fa pensare ai numerosi(sette in tutto) stanziamenti o prioratiprevisti dal progetto dell’Abate.La caratteristica delle tre chiese comebase di partenza per una nuova fondazioneritorna più volte, nel momentoin cui i monaci poi rimasti aFiore, evidentemente ancora cresciutiper numero, tentarono di stanziarsianche nelle diocesi confinanti conquella di Cosenza. Si trattava, anchein questo caso, di una linea indicatagià da Gioacchino stesso: l’abate infatti,ancora nel 1201, aveva ricevutoin donazione da un signore locale,Simone di Mamistra, un vasto terrenoper la fondazione di una nuova sededell’ordine nella diocesi di Tropea.Il vescovo di Tropea, Riccardo, aiterreni donati da Simone aveva aggiuntoil dono di tre chiese, utili allanuova fondazione (anche qui, comenel caso del tentato trasferimento, ritroviamotre chiese alla base di unanuova fondazione). Questa iniziativa,impostata nelle sue linee portantida Gioacchino, fu portata avanti convigore dal suo successore Matteo, e inquesto caso ebbe successo.Minore successo, per le notevolidifficoltà che comportarono tempimolto lunghi, incontrò il progetto diespansione nella diocesi di Cerenzia.Intrapreso già nel 1209, sotto il vescovoBernardo, fu solo a partire dal1217 che l’ordine riuscì effettivamentea impiantare una casa dell’ordinenella diocesi, ma a quella data il progettooriginario di Gioacchino sembraormai abbandonato: non si parlapiù di tre chiese (come invece si erafatto nel 1209) né tantomeno di uncerto numero di priorati o fondazioni;l’ordine, come attestano alcuni documentidell’abate Matteo stilati tra il1209 e il 1216, aveva ormai adattatole sue strutture al più snello - e ormaiben diffuso anche nel sud Italia - monachesimocistercense, e il progettodi Gioacchino finì in un cassetto.Se i figli scordarono ben presto l’ereditàdel loro padre fondatore, giudicatatroppo complessa per essere messa inatto, ci fu però qualcun altro che colselo spirito di novità e gli elementi positivi(al di là della scorza della complessità)che tale eredità proponeva.Non appunto un monaco florense,ma un cardinale, poi papa, scommisesul progetto di Gioacchino, se nefece portavoce e, a quattordici anni


I luoghi 57a fiancoLe rovine dell’abbazia di Santa Marinadella Stella, sopra Maioridi distanza dalla morte dell’abate,nuovo attuatore. Il cardinale Ugolinodi Ostia, che nel 1227 divenne papacon il nome di Gregorio IX, lavoròmoltissimo per dare solide strutturee coordinate istituzionali alle molteforme di vita religiosa non ancora incanalatenelle forme tradizionali previstedalla Chiesa. Il suo nome è infattilegato sia a quello di Francesco,per la fondazione dell’ordine dei fratiMinori, sia a quello di Domenico, perl’organizzazione dei frati Predicatori,sia a diversi altri movimenti, anchefemminili. Tra questi, va aggiuntoanche l’ordine florense. Fu proprioUgolino infatti, dapprima come cardinale,poi come papa, a darsi da fareper la diffusione dell’ordine anche aldi fuori della Calabria. E dai documentisembra emergere il fatto cheda una parte Ugolino aveva senzadubbio colto l’intento principale diGioacchino - quello di coordinare inmodo ordinato, all’interno di un’unicastruttura religiosa, i diversi carismiche la vita cristiana può prevedere,dando a ciascuno lo spazio giusto peresprimersi -, dall’altra ridimensionòla complessità del progetto, per conservarnee organizzarne al meglio lacomponente monastica.Egli fondò tre nuovi centri florensi,uno nella diocesi di cui era titolare,come cardinale vescovo di Ostia eVelletri (il monastero di Sant’Angelodi Ninfa), uno nella diocesi diAnagni, centro dei patrimoni di famiglia(l’abbazia di Santa Maria dellaGloria di Anagni), il terzo in diocesidi Lucca (dove un piccolo gruppettodi monaci florensi si era già stabilitopresso un eremo almeno dal 1216)attraverso l’assegnazione ai florensidi un antico monastero femminiledecaduto (il monastero di San Iacopodi Valle Benedetta, che poi trasferì lasua sede nell’abbazia di San Pietro diCamaiore). In tutti i casi, Ugolino/Gregorio IX specificò che in una delletre chiese donate per ciascuna dellenuove fondazioni dovesse vivere unristretto numero di monaci completamentedediti alla lode di Dio e allacelebrazione della liturgia. La volontàdel cardinale, poi papa, ricordaquella di Gioacchino, che voleva unpriorato o una mansio (dimora) specificaper i monaci contemplativi, in cuigli spiriti più provati celebrassero inmodo continuativo le lodi dell’Altissimo.I documenti non ci rivelano sepoi in effetti le cose funzionarono inquesto modo; rimane in ogni caso latestimonianza di un cardinale e papache seppe cogliere i suggerimenti ele spinte provenienti dagli uominidel suo tempo desiderosi di vivere ilVangelo secondo un nuovo spirito, ein qualche caso, a volte di più, a voltedi meno, seppe far loro posto nellachiesa istituzionale.Oltre che in Calabria, Lazio e Toscana,l’ordine florense si diffuse anche inaltre zone della penisola: ebbe trecase nella diocesi di Sorrento, e anchein questa espansione giocò un qualcheruolo il cardinale Ugolino, ormaipapa Gregorio IX; notevole sostegnogiunse all’ordine, in particolare perl’abbazia di Santa Marina della Stella,presso Maiori, da parte dell’imperatoreFederico II, che forse sperava ditrovare nei Florensi, diffusi in diversezone del suo Regno e in modo particolarein Calabria, una sponda e unsostegno per la sua politica nei confrontidella Chiesa.Un’ulteriore ambito di diffusione siebbe in Puglia, dove l’ordine, grazieal sostegno di alcuni signori locali edelle autorità religiose, si insediò apartire dal 1228; troviamo infatti unacomunità di monaci florensi presso ilpresistente monastero di Santa Mariadi Laterza; altri due possessi florensiin questa regione, quello di SanTommaso di Rutigliano e la chiesa diSant’Angelo ad Ascoli Satriano, furonosemplici dipendenze, strutturatecome grange (una sorta di fattorie)appartenenti direttamente all’abbaziadi San Giovanni in Fiore, ma nonsi organizzarono mai come centri diuna autonoma comunità di monaci.* Ricercatrice presso l’Università diPadova e studiosa di architettura florense


58 Il monacoRocco Benvenuto *Il monachesimomeridionale:Nilo, Gioacchino eFrancesco da PaolaAlcune considerazioni sull'idealemonastico di GioacchinoNelle lezioni sulla filosofiadella storia G.W.F. Hegelosserva che il progressodella civiltà coincidecon l'apparente cammino del soleda oriente a occidente. Sebbene sitratti di una chiave di lettura ormaisuperata, tuttavia questo raffrontotra sol levante e sol calante conservaun suo fascino interprativo chepuò specularmente illuminare ildinamismo messo in campo dallavita religiosa nell'antica Provinciadi Calabria Citra o Citeriore, corrispondenteall'odierna Provincia diCosenza, in quell'arco cronologicoche convenzionalmente viene definitocome il Basso Medioevo.Essendo ad oriente il nostro puntodi partenza, iniziamo l'itinerariodalla costa ionica e, precisamente, daRossano, che nel sec. X era un'importantesede amministrativa dell'imperobizantino. Qui ebbe i natali nel 910S. Nilo - Nicola al fonte battesimale-, di cui quest'anno (2010) stiamo ricordandoi millecento anni della nascita.Appartenente a una famigliadi buona condizione sociale, da giovanericeve un'apprezzabile formazioneculturale che gli consentirà didivenire un rinomato calligrafo e innografo.Mentre sembrava ormai definitoil suo futuro professionale, decidedi consacrarsi al Signore. LasciaRossano e si trasferisce nella regionemonastica del Mercurion, ai confinitra Calabria e Lucania, dove in unagrotta eneolitica, sotto la guida di S.


Il monaco 59Fantino il Giovane, conduce un'esperienzaparaeremitica, propedeuticaper abbracciare la vita dei monaciitalo-greci, ancora oggi erroneamentechiamati Basiliani pur non avendoS. Basilio scritto alcuna regola.Costretto per le ripetute razzie deiSaraceni ad abbandonare l'isolamentodel Mercurion, torna nel territoriod'origine e si stabilisce nei pressi diSan Demetrio Corone, ove edificaun piccolo monastero dedicato a S.Adriano. Dà, così, inizio a una peculiareesperienza di vita monasticacenobitica che da subito si connotaper il suo forte ascetismo, evidenziatodalla povertà delle strutture e daun'accentuata solitudine, congenialealla preghiera contemplativa. In talecontesto, grazie alla disponibilità dipergamena fornita dalla pastoriziasilana, la copiatura e miniatura deicodici, oltre a fungere da strumentodi ascesi e di sostentamento per imonaci e per i poveri assistiti dallacomunità monastica, darà un preziosoapporto alla trasmissione dellatradizione culturale greca.A motivo di questo impegno sociale,gli sarà proposto di assumere l'ufficioepiscopale, ma S. Nilo lo declineràpreferendo di restare fedele allasua iniziale vocazione monastica.Purtroppo, nel 980, dinanzi all'ennesimaincursione saracena, è costrettoa lasciare la Calabria e a trasferirsidapprima in Campania e poinel Lazio, dove porta avanti alcunitentativi per reimpiantare la suaesperienza monastica. Rifiutandole lusinghe di Ottone III, che peringraziarselo gli aveva offerto unmonastero a Roma, S. Nilo si ritira aGrottaferrata e vi fonda un monastero,nel quale chiuderà i suoi giorni il26 settembre 1004.I maggiori frutti dell'intuizione nilianasi manifesteranno con i suoisuccessori, soprattutto quando saràelevato a Rossano il monastero delPatire, che col suo "scriptorium" diverràuno dei maggiori centri di produzionelibraria e di cultura dell'ItaliaMeridionale. Nello stesso tempo,però, questo sbilanciamento versoil lavoro intellettuale ed una maggiorestabilizzazione, unitamente alfavore normanno per il monachesimolatino, ne affievoliranno progressivamentela capacità di attrazione.Tuttavia, mentre affioravanoi prodromi di crisi nei monastericalabro-greci, cui faceva da spalla ildeclino che aveva investito le grandiantiche abbazie latine, un altro monaco,sull'altipiano della Sila - adessoil sole illumina con i suoi raggil'entroterra, - dà inizio a una nuovaesperienza cenobitica, riportando inauge alcuni capisaldi del "vecchio"monachesimo bizantino.Artefice di questa nuova fondazioneera «il calavrese abate Giovacchino di spiritoprofetico dotato», nel quale Dante,che lo ha immortalato nel XII cantodella Commedia, vide un “profeta” deitempi ultimi, latore di un messaggiointriso di stimoli per un rinnovamentoa livello spirituale e civile.Al pari di S. Nilo, anche lui giunse


60 Il monacopontificio e svevo, vive una rapidaespansione ed è proprio durante ilavori di recupero della chiesa di S.Martino di Canale presso Pietrafitta(CS) che Gioacchino, il 30 marzo 1202,si spegne. Con la morte del “vir catholicus”(Onorio III), il suo progettomonastico sarà modificato dai successoriche, sotto il peso della gestionepatrimoniale, si riavvicineranno versol'ideale cistercense. Questo cambiamentoperò si rivelerà fatale, tantoche ai pochi Florensi superstiti nonrimase altro da fare che rientrare tra iCistercensi (1570).Il colpo di grazia che accelerò la paraboladiscendente era stato infertopoco meno di un secolo prima, nel1460, quando erano comparsi i primiabati-amministratori che, senzaalcuno scrupolo, non avevano esitatoa depredare il glorioso archicenobiosangiovannese. Proprio quandol'Ordine Florense si avviava verso lasua estinzione, sulla costa tirrenica- siamo così giunti al tramonto delsole - a Paola, ad opera di FrancescoMartolilla, prendeva consistenza unnuovo progetto di riforma, questa voltanon più in ambito monastico, maconventuale. A differenza degli altridue illustri predecessori, nel Paolanonon ci fu alcuna conversione, in quanafiancoDipinto raffigurante San Nilo, particolarealla decisione di fondare un ordineavendo alle spalle alcune esperienzereligiose. Nato, tra il 1130 e il1135, a Celico piccolo centro montanoa pochi chilometri da Cosenza,Gioacchino era già impiegato comenotaio presso la regia cancelleria diPalermo quando, trentenne, abbandonòle prospettive di carriera e diricalcare le orme paterne e decisedi recarsi in pellegrinaggio in TerraSanta, allo scopo di conoscere direttamentecome vivevano i religiosi.Al suo rientro in Italia, dapprimavisse per alcuni anni da eremitain una grotta sull'Etna; in seguito,si trasferisce presso l'abbazia di S.Maria della Sambucina, nei pressidi Luzzi, e da qui passa a Rende. Alculmine di tutte queste esperienze,chiese di abbracciare la vita monastica,professando la regola neiCistercensi che, com'è noto, sonouna riforma benedettina caratterizzatada una maggiore osservanzadel voto di povertà, perché praticataanche comunitariamente.Nei primi anni '70 entra nell'abbaziadi S. Maria di Corazzo (CZ), alle pendicidella Sila Piccola, vi pronuncia ivoti e nel 1177 ne diviene addiritturaabate. Fallito il suo primo progettodi riforma affiliando la sua comunitàa quella della Sambucina, nel1183 vi riprovò, senza riuscirvi, conCasamari. Dopo una lunga permanenzanella famosa abbazia laziale,particolarmente feconda sotto il profilodella produzione esegetica, nellaseconda metà del 1187 è di nuovoin Calabria, ma, passa poco tempo,che lascia Corazzo e l'abbaziato e siritira a Pietralata, per proseguire lasua opera compositiva. L'arrivo diun compagno, Raniero da Ponza, ela reazione dei Cistercensi al suo abbandonodell'Ordine, lo indussero asalire in Sila e qui, su un terreno bagnatodal torrente Fiore, nella tardaprimavera del 1189, dà avvio al suoprogetto di riforma attraverso la fondazionedi una nuova congregazionemonastica, l'Ordine Florense, laquale aveva come obiettivo primarionon tanto quello di ripristinare il primitivovigore della solitudine e dellapovertà che erano state alla base dellanascita dei Cistercensi, quanto, piuttosto,quello di riportare "ordine" inquella variegata gamma di modelli diperfezione che aveva originato unapluralità di carismi e di vocazioni.A partire dal 21 ottobre 1194, datain cui istituzionalmente Fiore è riconosciutocome cenobio, l'Ordine,potendo contare pure sull'appoggio


Il monaco 61a fiancodipinto raffigurante San Francesco diPaola, particolareto rimase legato al suo stile eremiticoanche quando il suo Ordine, sottol'evoluzione degli eventi, assumeràuna strutturazione cenobitica.Nato a Paola il 27 marzo 1416 da unacoppia originaria del luogo e proprietariadi alcuni appezzamenti terrieri,quindicenne, trascorre un anno pressoi Conventuali di S. Marco Argentano,ove ha modo di entrare in contattocon la vita religiosa. Affascinato dallafigura di S. Francesco d'Assisi, di cuiporta il nome, al termine di questaesperienza si reca in pellegrinaggioad Assisi, dove ha modo di sostarenei luoghi incontaminati segnati dallapresenza del Poverello. Al rientrodecide di emularlo e chiede di vivereda eremita nei possedimenti paterni.Questa scelta così insolita e radicalesarebbe passata inosservata se alcunimercanti non avessero informato la S.Sede dei miracoli che avvenivano perle preghiere di Francesco, coadiuvatoda alcuni coetanei, anch'essi desiderosidi una vita più vicina al Vangelo, dicui povertà e penitenza erano i connotatiidentitari.Agli inizi del 1467 da Roma parte uncubiculario pontificio con l'incarico dicondurre una visita apostolica. Allacontestazione di mons. De Gutrossissu quel genere di vita così austero chepoteva condurre perché era un "villanoet rustico", Francesco rispose conun gesto che sconvolse la vita del visitatore:riempì le mani di tizzoni e braceardente e lo invitò a guardare conquanta naturalezza li reggeva essendoai suoi occhi un "rustico". Rientratoa Roma, questo monsignore originariodella diocesi di Savona, non solodissipa ogni dubbio su Francesco,ma, oltre a farlo aiutare da Paolo II,decide di lasciare la Curia Romana enel 1470 si trasferisce a Paola. Graziealle sue conoscenze e alla sua preparazionein campo canonico, tra il 1470ed il 1474, quel gruppo spontaneo dieremiti, riceve in rapida successionel'approvazione diocesana (1470),regia (1473) e pontificia (1474). In unmomento di grande crisi della penitenza,Francesco e i suoi compagnisi propongono come obiettivo quellodi ripristinare, attraverso la vita quaresimaleperpetua, l'antica disciplinapenitenziale.La Congregazione Eremitica fondataa Paola avrebbe avuto uno sviluppolimitato nel regno aragonese, senel 1483, per decisione di Sisto IV, ilPaolano non fosse stato inviato allacorte di Luigi XI. L'incontro con lacorte più potente d'Europa e con ilmondo delle Osservanze, se da unaparte diede all'Ordine dei Minimi unvolto internazionale, dall'altra comportòil sacrificio della vita eremitica avantaggio di quella conventuale, piùconsona alla metamorfosi strutturaleche aveva investito la congregazioneeremitica.Il 2 aprile 1507 Francesco si spegnenella capitale di Francia, a Tours.Insieme a tante sofferenze e incomprensionisul suo proposito di vita,aveva avuto tante soddisfazioni, tracui quella di vedere uno dei suoi piùstretti collaboratori, P. Bernardo Boyl,a fianco di Colombo nel secondoviaggio verso il Nuovo Mondo. Eraconsapevole che la sua proposta eradirompente e per tale ragione, anzichéaffidare la guida dell'Ordine adun francese, scelse uno dei compagnidella prim'ora, P. Bernardino Otrantoda Cropalati, al quale chiese di restarefedele all'intuizione iniziale. I fatti glidiedero ragione, in quanto, a distanzadi pochi anni, sotto la pressionedella modernità, i frati mitigaronoil Correttorio, appositamente scrittodall’Eremita di Paola per blindare ilvoto di vivere la quaresima per tuttala vita.* Correttore Provincialedell’Ordine dei Minimi


62 Il monacoFelice Accrocca *Gioachimismo efrancescanesimo nelDuecentoNegli anni Quaranta delXIII secolo, il nome diGioacchino cominciò a circolarecon frequenza negliambienti francescani e diversi temiaffrontati da lui o dai suoi seguaci,oppure sviluppati in opere spacciatecome sue, vi trovarono buonaaccoglienza. Davide di Augsburg simostrava addirittura infastidito peril proliferare tra i Minori delle divinazioniriguardanti la venuta dell’Anticristo,dei tanti segni del giudizio ormaiprossimo, delle profezie relativealla distruzione delle famiglie religiose,alla persecuzione della Chiesa ecosì via, tratte da varie interpretazioni«dagli scritti di Gioacchino e deglialtri vaticinanti», cui anche uominiragguardevoli avevano finito perdare più credito di quel che avrebberodovuto. Lo stesso francescanotedesco ebbe dunque l’impressioneche fosse scoppiata come una sortadi epidemia. In realtà, alla metà delDuecento, oltre agli scritti autenticidell’Abate, circolavano abbondantementeanche testi che gli erano attribuiti,ma in effetti apocrifi, come ifamosi «commenti» ai libri dei profetiGeremia e Isaia o il trattato De oneribusprophetarum.Secondo Salimbene da Parma, le operedell’Abate calabrese penetrarononell’Ordine francescano in modo rocambolesco.Egli, infatti, narra cheun Abate florense, spaventato dallearmate di Federico II passate minacciosamentevicino al suo monaste-


Il monaco 63ro, scappò a Pisa portando con ségli scritti di Gioacchino da Fiore, chelasciò in custodia nel locale conventodei Minori: «e a causa di quei libriche erano riposti nella nostra casa, fraRodolfo di Sassonia, lettore pisano,grande logico e grande teologo e grandedisputatore, abbandonato lo studiodella teologia divenne un grandissimogioachimita». Va ricordato chetra il 1243 e il 1247 anche Salimbeneera a Pisa e finì egli stesso per essereconquistato – con molta probabilitàproprio grazie all’influsso di Rodolfo– alla dottrina dell’Abate calabrese, alpunto che fino al 1260 fu un ardente econvinto gioachimita e pure in seguitone mantenne echi e accenti.È ben probabile, però, che idee gioachimitefossero entrate già moltoprima tra i Minori, tanto in Provenzaquanto nella parte settentrionale delRegno di Francia. Tuttavia, almenosecondo il racconto del cronista parmense,fu nella seconda metà deglianni Quaranta che la caccia alle operedi Gioacchino (o presunte tali) divenneun vero e proprio assillo per molti.Vi furono indubbiamente degli eccessi:è il caso di Gerardo da BorgoS. Donnino, un frate che studiavanell’Università di Parigi, il quale nel1254 compose quel famoso Liber introductoriusin aevangelium eternumche doveva fungere da introduzionealle tre principali opere dell’Abateflorense. Tradendo il pensiero diGioacchino, nelle glosse che corredavanoi testi egli tuttavia finì per equipararlial Vangelo eterno di cui parlavaGiovanni nel libro dell’Apocalisse:nel terzo status, gli scritti gioachimitiavrebbero dunque sostituito ilVangelo di Cristo ed i libri del NuovoTestamento, con conseguenze radicaliper l’istituzione ecclesiastica el’economia di Grazia instauratasi conl’avvento di Cristo.Naturalmente, all’interno dell’Ordinenon tutti erano così entusiasti eavidi di profezie e rivelazioni: ho segnalatoil fastidio mostrato da Davidedi Augsburg; anche Tommaso daPavia, nel trattato noto sotto il nomedi Distinctiones o Dictionarium bovis(1254-1255) e che in riferimentoall’Anticristo cita l’Expositio inApocalypsim di Gioacchino, ritienecomunque che su tale materia sia piùprudente non prestar fede a nessunoné aderire ad alcuna opinione.Nondimeno il gioachimismo era ormaiampiamente penetrato nell’Ordinee i Maestri secolari non mancaronodi approfittare del passo falsocompiuto da Gerardo. Per ammissionedello stesso Salimbene, sul finiredel 1255 il trattato polemico diGuglielmo di Saint-Amour De periculisnovissimorum temporum distolse«molti, tanto maestri quanto studenti,dall’entrare nei due Ordini, cioèdei Predicatori e dei Minori».Bonaventura da Bagnoregio assunsedunque la guida suprema dell’Ordinefrancescano in un momentoindubbiamente difficile (1257): tensioniaffioravano ormai evidenti tra


64 Il monacoi frati e il gioachimismo, penetratocon forza nell’Ordine, sembrava offrireun ulteriore supporto teoricoai fautori del riformismo. Il nuovoMinistro generale si trovò pertantocostretto ad agire contemporaneamentesu più fronti: giustificarel’operato dei Minori nei riguardidel clero secolare, tentando di stornareda essi anche l’accusa di radicalismogioachimita; ricompattarela famiglia francescana, fornendoai suoi frati strumenti concreti pervivere in maniera corretta la loroscelta religiosa e un modello di riferimentovalido per tutti. Nellasua vita del fondatore, la Legendamaior, Bonaventura mostrò tutto ilproprio talento teologico tracciandoun ritratto indubbiamente efficacedell’Assisiate, in grado di offrire lenecessarie risposte ai problemi cheturbavano l’Ordine.Recependo alcune idee-chiavedell’insegnamento pontificio edel gioachimismo francescano,Bonaventura assegna a Francesco edalla sua famiglia religiosa un ruolodi somma importanza nel quadrodella storia del sesto tempo dellaChiesa; tali idee ritornano nuovamentenella sua ultima opera, leCollationes in Hexaëmeron, nella qualeafferma che tutte le cose vengonorivelate nel Verbum inspiratum e nonvi può essere rivelazione se non permezzo di Lui.Bonaventura predicò le Collationesa Parigi, nella primavera del 1273.Sotto il generalato del suo successore,Girolamo d’Ascoli (1274-1279),sarebbero iniziate le persecuzionicontro Pietro di Giovanni Olivi e,nelle Marche, alcuni frati avrebberodato inizio ad una vera e propria ribellione.Per gli Spirituali (lo stessoPietro di Giovanni Olivi, Ubertinoda Casale, Angelo Clareno, da questopunto di vista in piena sintoniacon Bonaventura), Francesco era ilprotagonista di una svolta epocalenella storia della Chiesa: era l’angelodel sesto sigillo, un altro Cristovenuto in terra per insegnare agliuomini la via di Dio. Essi tendevanoperciò ad assegnare al santo diAssisi un ruolo d’importanza fondamentale,in quanto iniziatore diuna nuova epoca. L’influenza delpensiero di Gioacchino sulla lorodottrina si riduce, però, progressivamente:per questi Spirituali, Cristoè il centro del cosmo e della storia,né le loro opere prestano un’attenzioneparticolare alla persona delloSpirito Santo; piuttosto, furono tuttiimpegnati a magnificare le gesta diFrancesco, egualmente convinti chela sua «mirabil vita / meglio in gloriadel ciel si canterebbe» (ParadisoXI, 95-96).* Docente presso l’Università PontificiaGregoriana e studioso del francescanesimomedievaleJürgen Kuhlmann, Norimberga*ABBIAMOUN PAPAGIOACHIMITA?Dei teologi del Concilio Vat. II, nessuno ha compreso megliodi Joseph Ratzinger, con quanta luce la profezia dell’abateGioacchino da Fiore illumina la Chiesa. Nel suo lavoro scientificoper la libera docenza, nel 1959 aveva scritto a proposito di unvenerando dottore della Chiesa: «Bonaven tura crede in unasalvezza nuova nella storia, dentro i limiti di questo tempomondano». A nessuno fino a Gioacchino da Fiore potevavenire in mente una cosa simile. Nulla di essenzialmentenuovo sarebbe dovuto accadere tra l’incarnazione di Cristo eil suo ritorno nell’ultimo giudizio. L’abate di Fiore era il primoche intuiva l’importanza della fede trinitaria nella strutturadella storia: come Dio Padre rivelandosi ad Abramo elesse ilpopolo d’Israele e Dio Figlio in Gesù fondò la Chiesa, il nuovopopolo di Dio, così lo Spirito Santo rinnoverà con la sua forzadivina la Chiesa nella storia a venire.Già due anni prima del concilio il giovane professore Ratzingernon escludeva affatto che Gioacchino potesse avere ragione.In un articolo dell’ enciclopedia teologica tedesca lo chiamabeato e ortodosso. Queste le sue parole: “Il vero problemadi Gioacchino è che la Chiesa storica rimane indietro dellerichieste del Nuovo Testamento.“Di sicuro Ratzinger conosceva anche la pericolosa ambiguitàdella tesi di Gioacchino. Dopo la sua morte molti, interpretandomale, politicamente, il suo impulso spirituale, pensaronoche proclamasse la fine della Chiesa gerarchica. Sembravaun ragionamento logico: come con l’inizio dell’età del Figliocessava l’alleanza di Dio con gli Ebrei (questo la cristianità lopensava da secoli), così iniziando la nuova era dello Spiritoper la volontà divina sarebbe cessato il potere clericale.Comprensibilmente le autorità religiose contraddicevano.Nel 1255 una commissione di cardinali condannava la tesidei Gioachimiti radicali. Quando io, tedesco, nato nel 1936 ecoetaneo di tanti bambini ebrei ammazzati, leggevo le ragionidei cardinali, mi colpì come un fulmine: «Sicut a JohanneBaptista consumatis veteribus apparuerunt nova, ita et nuncvetera estimanda sunt que transiverunt usque modo respectunovorum, que faciet Dominus super terram. Igitur si jungaturhuic verbo istud, quod dicitur in fine viii. Capituli ad Hebreosin textu et in glosa, videtur quod cessare debeant ea, quehactenus habita sunt in novo testamento».Oggi la Chiesa sa: questa accusa era falsa. L’alleanza di Dio conIsraele non cessò nel venerdì santo, ma giunse fino a noi, arrivatialla fede dal paganesimo. Per i giudei che attendono il Messia,ma non credono in Gesù, la prima era della storia perduraancora. Lo stesso vale per l’altro passaggio. Per il fatto che nel


Il monaco 65Enzo GabrieliGiaocchino eBonaventura negli studidel giovane RatzingerNella seconda metà delXIII sec. i tentativi di connessionetra il pensare diGioacchino e quello deifrancescani spirituali danneggiaronoparzialmente l’immagine (la memoriae l’insegnamento) dell’Abate calabrese.Bonaventura si era confrontato minuziosamentecon Gioacchino 1 ed1 Cfr J. Ratzinger, San Bonaventura, la teologiadella storia, ed Porziuncola 2008, notadel curatore p. 5aveva “cercato di accogliere quantopoteva essere utile, ma integrandolonell’ordinamento della Chiesa” 2 finoa dare origine alla sua grande opera:l’Hexaemeron. Questo sostieneJoseph Ratzinger, sottolineando cheBonaventura intraprese una "discussione"con Gioacchino, straordinarioprofeta di quel periodo, cercando divalutare quanto il pensiero dell’aba-2 Ivi, p. 76te influì 3 anche sulla dottrina del settimosuccessore di S. Francesco.“Mi pare chiaro che Bonaventura nonpoteva tacere su Gioacchino essendoEgli Ministro Generale di un Ordineche era quasi giunto al suo punto di rotturaa causa della questione gioachimita.L’Hexaemeron è la risposta che eglidiede a questo problema in qualità diGenerale dell’Ordine; è una discussio-3 Ivi, cfr p.11nostro tempo è iniziata l’era dell’ interpretazione spirituale, nonper questo cessa l’importanza della lettera, che perde però (peri credenti chiamati alla maturità di spirito) il suo rigore inflessibile.“Questo concilio era una rivoluzione”, disse Karol Woityla,tornato a Cracovia. Tre i punti principali: 1) Relazionecristiani e giudei: fino al Concilio Vaticano II la Chiesa (noncredeva ma) pensava che a partire dall’incarnazione Dio avevarescisso l’alleanza con l’ Israele reale. Oggi ritiene il contrario.2) Libertà di coscienza: Nel 1832 papa Gregorio XVI chiamòquest’idea "deliramento" – oggi è dottrina cattolica. 3) Cristounito con tutti: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito incerto modo ad ogni uomo” (GS 22).Sono convinto che l’“enigma Ratzinger” si scioglie usandocome chiave il suo incontro giovanile con Gioacchino. Se togliela scomunica dei tradizionalisti è perché non vuole ripetereil fatale errore antico. Per quasi 2000 anni c’è stato odio edisprezzo fra ebrei e cristiani; così non deve essere fra cristianidella seconda e terza era trinitaria. Se a un vescovo anglicanosi permette di celebrare in una basilica romana, perché non puòfarlo anche una comunità che per ignoranza (oppure volontàdivina?) combatte la rivoluzione spirituale portata dal Concilio?D’altra parte Benedetto XVI durante il suo viaggio in Portogallocon stupenda chiarezza sottolineò lo spirito della nuova era.A Belem disse: “La convivenza della Chiesa, nella sua fermaadesione al carattere perenne della verità, con il rispetto peraltre «verità», o con la verità degli altri, è un apprendistatoche la Chiesa stessa sta facendo”. E a Lisbona: “Si è messauna fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmiecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosaaccadrà se il sale diventa insipido?” A Porto, infine, richiamòla profonda tensione trinitaria che anima la Chiesa, “opera diCristo e del suo Spirito”. A ragione la famosa rivista cattolicaTABLET commenta (22 May 2010, p.2): “This is not quite theJoseph Ratzinger we are familiar with. This is more an openmindedman on a journey into unknown territory, a journeyfrom confrontation to dialogue. Nobody can be sure of thedestination, but it is certainly not back to the past.”[Per chiudere si potrebbe citare il commentario bellissimo diGioacchino spiegando l’Apocalissi, del Salmo 77,20 (“Nel maresono i tuoi cammini”), citato dal Centro Internazionale di StudiGioachimiti (San Giovanni in Fiore 1998), 39].* Studioso gioachimita


66 Il monacone critica con l’Abate calabrese ed i suoiseguaci. Senza Gioacchino quest’operasarebbe incomprensibile. Ma la discussioneè portata avanti in modotale che Gioacchino viene interpretatoall’interno della tradizione, mentre igioachimiti lo interpretarono contro latradizione. Bonaventura non rifiuta totalmenteGioacchino (come aveva fattoTommaso): Egli lo interpreta piuttostoin modo ecclesiale, creando così una alternativaai gioachimiti radicali. Sullabase di questa alternativa Egli cerca diconservare l’unità dell’Ordine” 4 .Una congiuntura, che trovò, sempresecondo Ratzinger, spazio favorevoleanche per il sorgere dell’Ordineminore di Francesco d’Assisi che abbisognavadi una “nuova profezia sullastoria” e che mise in discussione laprecedente immagine medievale dellastoria stessa 5 .C’era stata una presa di posizionetroppo evidente a favore delle idee4 Ivi, p.11-12 Prefazione all’edizione americanadel 19695 Ivi, cfr p.16 Introduzionegioachimite nell’Ordine francescanosoprattutto da parte del suo predecessore,il generale Giovanni daParma 6 , che lo portò alle dimissioni"forzate". Ecco perché Bonaventuradovette intervenire, in maniera potremmodire "aggressiva", sulle posizionigioachimita-spiritualistiche,senza però contrastare o denigrarel’Abate di Fiore e il suo pensiero.Bonaventura, ad esempio, “fa pro-6 Venerato nella Chiesa come beato nonostantefosse stato fatto arrestare da Bonaventura.


Il monaco 67pria quell’interpretazione della Scritturache Gioacchino da Fiore aveva sviluppatonella sua Concordia veteris et novitestamenti” 7 utilizzando finanche questopensiero fino a farlo diventare determinantenella sua “theoriae” sulloschema della teologia della storia 8 .“In realtà Bonaventura contrappone alloschema settenario semplice di Agostino loschema settenario doppio di Gioacchino,scegliendo quest’ultimo” 9 . Ratzingerprosegue affermando che è finanche"inesatta" la diffusa opinione cheBonaventura contrapponga la teoriadelle sette età di Agostino alle tre etàdi Gioacchino da Fiore 10 .Egli stesso sposa diverse profeziedell’Abate calabrese che collegano lafigura di Francesco d’Assisi all’angeloche sale dall’Oriente e quella diun nuovo ordine religioso della societàcon una visione escatologica sudi essa come chiaramente espressadall’Abate.Posizione diversa invece quella sullavisione della storia da parte diBonaventura. Mentre Ruperto diDeutz (1070-1135) aveva dato unprimo impulso ad una visione completamentenuova, anche se restavaancorato alla concezione patristica,Gioacchino da Fiore aveva imboccatoun percorso per un completorinnovamento della teologia dellastoria ed una nuova "coscienza" deltempo della fine.Il futuro Benedetto XVI evidenzianella sua fatica culturale che “la dipendenzadi Bonaventura dall’abatecalabrese è rilevata nei singoli casi”: 11adozione della duplice interpretazionedell’A.T e del N. T. ed adozionedello schema settenario; adozionedell’idea del “novus ordo” e dell’attesadi un tempo salvifico interno allastoria per una sua piena redenzione.7 J. Ratzinger, San Bonaventura…, p. 298 Ivi, vedi p.32-349 Ivi, p. 3910 Ivi, p. 3811 Ivi, 149Viene invece rifiutata da Bonaventura,sempre secondo Ratzinger, la limitazionedel Nuovo Testamento e deltempo di Cristo come secondà età insenso stretto. La suddivisione trinitariadella storia viene accettata in misuramolto limitata.Gioacchino, da parte sua, rende manifestae concreta l’idea di Ruperto sulparallelismo dei testamenti e Cristone è il centro e Ratzinger chiarisce chenon è nemmeno vera l’affermazione diun cristocentrismo debole dell’Abate.“Non è pertanto completamenteesatto ciò che Kamlah dice a questoriguardo, e cioè che in GioacchinoCristo, non è più, come ancora inRuperto, l’asse della vicenda terrena,ma “un punto di articolazioneaccanto ad un altro”. Infatti l’ideadi considerare Cristo come l’assedei tempi è estranea a Ruperto esattamenteper come lo era stata pertutto il primo millennio cristiano.Per questo millennio Cristo non è ilperno della storia con cui un mondomutato e redento ha inizio eduna storia irredenta, durata sino aquel momento, viene abbandonata;per esso Cristo è piuttosto il principiodella fine. Egli è “redenzione”nella misura in cui con lui la “fine”comincia a risplendere nella storia.La redenzione consiste (da un puntodi vista storico) in questa fine iniziatamentre la storia, per così dire,procede “per nefas” ancora per uncerto tempo, conducendo l’anticoevo di questo mondo alla sua fine.L’idea di vedere in Cristo l’asse dellavicenda del mondo emerge invecepropriamente (in seguito a ciò cheRuperto, Onorio, Anselmo avevanopreparato) solo in Gioacchino, dove,a dire il vero, essa viene dapprimadissimulata, visto che la storia terrenanon ha uno ma due assi, e nonconsiste in due ma in tre ampi periodi.L’esclusione di quest’ultimaidea si verificò tuttavia obbligatoriamentecon la vittoria della dogmaticaortodossa; restò l’altra idea; eGioacchino divenne in questo modoproprio nella Chiesa stessa, l’antesignanodi una nuova comprensionedella storia che oggi ci appare esserela comprensione cristiana in modocosì ovvio da renderci difficile credereche in qualche momento nonsia stato così. In questo punto consistepertanto il vero significato diGioacchino davanti al quale la suapeculiare storia postuma all’internodel gioachimismo francescano deveindietreggiare nonostante la sua incontestataimportanza”. 12Gioacchino è un realista a pareredello studioso Ratzinger, è uno chevede che la storia continua con il suocarico di inadeguatezze e scelleratezzeed è per questo che sostieneche “una storia veramente buona e redentasia ancora di là da venire”.Bonaventura, nonostante le necessarieprese di posizione, si era apertoalle idee di Gioacchino ma nonostanteciò la “differenza che li separa è piùgrande di quanto potrebbe sembrare” ese ne allontanerà gradualmente nellosviluppo dell’idea di Cristo asse dellastoria, avvicinandosi molto di piùa quella di Tommaso che respinge intoto le speculazioni dell’Abate calabresesul terreno teologico avanzandoindirettamente il sostegno ad unagraduale soppressione dell’età delloSpirito che Gioacchino aveva invece"profetizzato".Oggi più che mai, afferma Ratzinger,Gioacchino è tornato d’attualità 13 ,non solo per gli ampi studi di DeLubac 14 e per un impegno a comprenderela storia nell’ambito di unariflessione più ampia: “Bonaventuraha assunto riguardo alla storia una posizionefortemente differenziata e non hain alcun modo condannato nella sua globalitàil pensiero di Gioacchino”. 1512 Ivi, p. 151-15213 Ivi, p. 714 H. De Lubac, La posterità spirituale diGioacchino da Fiore, Jaca Book 1981-198415 J. Ratzinger, San Bonaventura,… p.8


68 Il monacoLe allegorie gioachimite nella città di FrancescoIl Duomo di San Rufinoin AssisiL'Abate calabrese e i suoi primi compagni scolpiti nella pietraIn un recente volume pubblicatoda Franco Prosperi sulla facciatadel Duomo di San Rufino inAssisi, che analizza il suo magnificoportale, appare una immaginedi Gioacchino nel suo "rifugio"di Pietralata. Lo studioso cerca dileggere nei simboli e nella pietra lastoria delle prime ore del francescanesimo,nelle quali è preponderantela figura ed il messaggio dell’Abatecalabrese.Al di là delle finalità del ricercatoreche avanza alcune ipotesi, possiamocogliere, come scrive lui stesso che“le bellissime sculture ad altorilievo edanche a basso rilievo del portale e dell’archivolto,in particolare del lunotto e delledue fasce, interna ed esterna, che lo contornano,fatte di diverso materiale lapideoe di diverso colore (rispettivamenteil rosso di Verona, il pomato rossastrodi Assisi e un marmo bianco antico,riciclato, in blocchi di colore tra loroleggermente diverso, che contornanoall’esterno gli altorilievi mediani), corrispondanoin effetti ad una allegoria gioachimita,e più precisamente al DecemSalpterium Chordarum”.Si tratterebbe, cioè, delle tre diverseepoche religiose, che secondo ilprofeta calabrese caratterizzerebberola storia dell’umanità: quellabiblica del Padre, quella evangelicadi Cristo e quella finale dello SpiritoSanto, secondo la lettura dell’autore.In ogni caso Gioacchino da Fioreè rappresentato in uno specifico eminuscolo particolare che si situa asinistra della base di appoggio dellostipite dell’archivolto, all’internodella nicchia del suo primo eremodi Pietralata, con a lato i suoi dueallievi Luca da Cosenza e Raniero"de Pontio", uno dei quali è sedutointento a suonare una cetra.A questa conclusione era già pervenuto,nel 1968, lo studioso ed artistaassisiate prof. Franco Prosperi,figlio del noto scultore FrancescoProsperi, 19 con una pubblicazione suquesta meravigliosa facciata romanicache seguiva di circa un secoloun precedente lavoro del canonicodel Duomo Giuseppe Elisei, risalenteal 1893.Nel 1999, in conseguenza dei complessilavori di restauro causa il terremotodistruttivo del 1997, è statopubblicato un organico e pregevolissimovolume sulla chiesa di SanRufino, a cura di Aldo Brunacci (canonicodella chiesa stessa) e dell’AccademiaProperziana del Subasio.La chiesa di San Rufino è citata intutte le principali storie dell’artecome esempio di romanico umbro.


Il teologo 69Antonio Staglianò *Gioacchino da Fioreil teologoNutrì la sua ricerca con la lettura della parola di DioGioacchino da Fiore rifiutò espressamente l’appellativodi profeta, per evitare interpretazioniequivoche della sua missione. La famosaepigrafe del Paradiso di Dante – “lucemi dallato il calavrese abate Giovacchino di spirito profeticodotato” (XII, vv. 139-141), resta però significativa: la suaprofezia è interpretabile come “visione”, un “sogno adocchi aperti”, compiuto nella forza divina della Parola diDio, scoperta sempre più quale azione vivificante di Dionella storia degli uomini. Profezia come “apocalisse”,dunque, cioè come manifestazione di un progetto cheè rottura delle attuali condizioni, la fine delle bardaturedel presente.Il nutrimento profetico di Gioacchino è l’intelligenza delleScritture, meditate instancabilmente, alla scoperta di sensiinediti e puntualmente riferiti al rinnovamento dellastoria umana. Non è un caso che Ernst Bloch, padre delpiù sistematico pensiero utopico del ventesimo secolo,abbia dato grande attenzione alla sua opera, ritenendo lavisione dell’Abate calabrese come «l’utopia sociale piùinfluente del medioevo» 1 . La lettura blochiana è troppoideologizzata, coglie tuttavia un aspetto essenziale dellalettura gioachimita della storia quale progressiva e gradualeattuazione del regno di Dio: egli «esercitò il coerentecompleto dislocamento del regno della luce dall’aldilà edalla consolazione dell’aldilà, nella storia, anche se in un suostadio finale». Diversamente da Moro e Campanella – iquali posero in una isola remota la loro comunità ideale-, o anche in Agostino - che trasferì l’ideale nella trascendenza-, «in Gioacchino invece l’utopia appare, come neiprofeti, esclusivamente nel modo e come stato di un futurostorico», sicché «il regno di Cristo in Gioacchino ècosì radicalmente di questo mondo come in nessun altroluogo a partire dal cristianesimo delle origini» 2 .Quello cristiano è il Dio della vita, la cui vicinanza all’uo-1 E. Bloch, Il principio speranza, 3 voll., Garzanti, Milano 1994, volII, p. 583.2 Ivi, p. 585.mo non è il frutto del bisogno umano di dilatarsi all’infinito,ma l’esito della sua decisione eterna di amare finoa immedesimarsi con l’uomo, diventando uomo eglistesso nel Figlio e donandosi all’uomo nello Spirito perla realizzazione del suo disegno d’amore che si compiràalla fine, oltre questa storia, benché abbia in questa storiadelle sue reali anticipazioni.Lettura sabatica dei processi temporaliPensiero del Dio trinitario e pensiero della storia non siconfondono in Gioacchino, ma s’intersecano sempre. LaTrinità non è solo la dottrina difficile che il concetto sisforza di elaborare, ma è soprattutto la verità semplicissimadella compagnia divina, fedele, costante, al camminostorico dell’uomo. L’economia divina, trascrittae codificata nelle Scritture, non è imbalsamata in esse:continua invece nella storia dell’umanità, il cui compiutosignificato è simbolicamente anticipato nei testi sacri,dove tutto è figura della salvezza che va realizzandosinel travaglio storico. È l’indiscusso merito di Gioacchinoaver saputo pensare storicamente la Trinità e trinitariamentela storia 3 .Per questa via, la fede nella Trinità, diventa “pensiero criticoe sovversivo”, denuncia dell’irredenzione del mondopieno di conflitti e di insuperabili fratture: è, però, ancheprofezia dell’avvenire, orientamento verso la meta di unacomunione universale, annuncio della pace garantita dalmanifestarsi del Dio vicino e anelito di una spiritualizza-3 Il merito di aver sviluppato una «concezione storica della Trinità»è riconosciuto a Gioacchino da J. Moltmann, per il quale la visioneescatologica gioachimita avrebbe connotato la stessa nostraconcezione occidentale (specie quella moderna) della storia (cf.J. Moltmann, Lo Spirito della vita. Per una pneumatologia integrale,Queriniana, Brescia 1994, p. 335).


70 Il teologozione della società che già progredisce.Il tentativo dell’Abate calabrese fu quello di aprire gliocchi dei suoi contemporanei su questa verità cristiana,non smentita dalla crudezza e da alcuni orribili avvenimentidel tempo, a cavallo tra il XII e il XIII: egli nascea Celico nel 1130/5 e muore il 30 Marzo 1202 nel piccolomonastero di S. Martino di Canale, vicino Cosenza.Mentre si consolida il Regno normanno-svevo di EnricoVI Hohenstaufen nelle terre meridionali e Costanza d’Altavillasta per dare i natali a Federico II (stupor mundi),che ne allargherà i confini geografici, interminabili siprofilavano le lotte sanguinose per la libertà dei Comuni,i continui conflitti tra il Papato e l’Impero, le crociateper la liberazione del santo sepolcro (e il loro fallimento).Costante era la diffusione delle eresie e inarrestabilisembravano alcuni processi di mondanizzazione dellaChiesa. Coinvolgendosi personalmente negli avvenimentidel suo tempo, Gioacchino denuncia, stigmatizza,manifesta apertamente il suo zelo per la causa cristianaed ecclesiale.Dentro queste vicende, e a partire dalle difficoltà del suotempo, egli mantiene un sano “ottimismo storico” circa lepossibilità di una rinascita spirituale e umana della società:se Dio è coinvolto nella storia - poiché Dio stesso, nellasua vita trinitaria, ne costituisce l’inizio, la compagnia el’orizzonte futuro, oltre che a caratterizzarne i ritmi epocali- è allora possibile una lettura sabatica e giubilare deiprocessi temporali. Innervato d’escatologia, il mondotende al suo “magnum iubileum”, quando potrà accederedefinitivamente al riposo e alla pace promessi, già inatto, benché non ancora pienamente realizzati 4 .I drammi delle sconfitte storiche dell’uomo non potevanoscoraggiare: occorreva intravedere uno sbocco positivoe così prospettare una avventura nuova di progressivaspiritualizzazione, l’età dello Spirito in una sua pienamanifestazione, la crescita del tempo dello Spirito santo,già iniziato con S. Benedetto. Oltre alla conversione deigiudei, si attende anche quella dei greci dissidenti e quelladel mondo dei pagani, tutti prodromi - insieme a unapersecuzione violenta contro la Chiesa da parte dell’im-4 Opportunamente nota il Terracciano: «La figura del “sabbatum”appare qui dominante rispetto ad altre possibili evocazionidi flagelli e paura che la tipologia della settimana ha così spessoprestato alla visione medievale della storia. Nella lectio historiaedi Gioacchino da Fiore, infatti, il riferimento all’istituzione sabatica(“requiem sabbati”) acquista forza ermeneutica a partire dallameditazione di Is 66,23 (dove il “sabbatum ex sabbato” viene evocatonel contesto escatologico dei “cieli nuovi e terra nuova”), masoprattutto dalla significativa elaborazione teologica che di talefigura propone Eb 3,7ss attraverso il motivo dell’”ingresso nelriposo di Dio”, che culmina in Eb 4,9: «itaque relinquitur sabbatismuspopulo Dei» (A. Terracciano, «Teologia della storia e teologiatrinitaria in Gioacchino da Fiore», in A. Ascione e M. Gioia,Sicut flumen pax tua, M.D’Auria, Napoli 1997, p.450).pero svevo -, dell’avvento definitivo della nova aetas, chele leggi cronologiche della “Concordia” ipotizzano per il1260 (l’arrischio dell’improbabile datazione potrebbe nasceredall’esigenza di Gioacchino di dare concretezza efigura storica alla meditazione del simbolismo biblico).Rinnovata dalle lotte della nuova Babilonia, la Chiesa romanaavrebbe mostrato lo splendore del suo volto, realizzandoin terra la vocazione conferitale dal suo Maestro,quella di incarnare la “nuova Gerusalemme”, permettendola creazione di una società umana governata secondoi principi evangelici e le virtù più nobili, in un rinnovamentodi costumi, di idee e di mentalità che soltanto unanuova manifestazione dello Spirito poteva realizzare. Ilsogno di giustizia, di amore, di libertà e di pace che animaval’ardente speranza del riformatore calabrese innervala propria esperienza di santità e trova nella contemplazionedel mistero trinitario il suo grembo fecondo e lasua più vera espressione. L’età dello Spirito è la meta versocui avanza tutta la storia del mondo, già inoltrata nella suaultima epoca o stato, “dopo” le altre due: quella del Padree quella del Figlio.


Il teologo 71sopraLiber Figurarum - Tavola La Spirale LiturgicaVisione trinitaria della storiaTutta la riflessione di Gioacchino sulla storia è innervatadal tema trinitario. La sua peculiare interpretazione delprocesso storico non si darebbe per nulla senza il puntualeriferimento ermeneutico alla dottrina sulla Trinità.Questa investe l’intera sua produzione letteraria, dall’inizioalla fine. Le tre opere principali ne sono un’icastica testimonianza.In sé costituiscono come una trilogia dedicataalle tre persone divine: la Concordia Novi ac Veteris Testamenti,in cinque libri, formula la teoria esegetica e si pone sottol’emblema del Padre; l’Expositio in Apocalypsim, in ottolibri (più il Liber introductorius che riprende, variandoloin alcuni punti lo scritto giovanile Enchiridion superApocalypsim), svolge il grande disegno escatologico e puòessere rapportata al Figlio; lo Psalterium decem chordarum,in tre libri, organizza la visione trinitaria dell’Abate ed èespressamente dedicata allo Spirito 5 .Per Di Napoli: «nel pensiero di Gioacchino la teologia trinitariaè il fondo-fonte assoluto di tutta la sua teologiadella storia; questa è teologia, e non filosofia, appuntoperché suo criterio ispiratore e suo modello è la teologiatrinitaria: Gioacchino legge il triadismo della storia perchélegge o scopre la Trinità nella storia» 6 . La distinzionenella storia di tre epoche è palesemente comandata dalmistero trinitario di Dio che in queste scansioni storichetrova come un riflesso vivo nel tempo. La Trinità è nellastoria, senza perdere la propria trascendenza. La Trinitàha così una storia, l’unica possibile, quella stessa degliuomini.La pagina gioachimita è interessante, frutto di un’immaginazionecreativa difficilmente sintetizzabile per l’abbondanzadi un simbolismo ricercatissimo, alla scopertad’inediti parallelismi, di illuminanti simmetrie. Essa vaaccolta così come è, con l’avvertenza a non perdersi neltentativo di dominare, attraverso la memoria, tutte le suesignificative sottolineature volte a fondere elementi storicie cosmici, nel tentativo di inglobare l’intero universo inun ritmo tripartito che da stadio a stadio manifesta l’elevazionecui tende l’umanità, come al proprio inesorabiledestino di perfezione. Il graduale rinnovamento del mondoè descritto con stilistica insistenza ternaria in un movimentoascensionale verso una manifestazione semprepiù piena e perfetta. Si realizza una profonda interiorizzazioneche riguarda le relazioni umane (schiavi, uominiliberi, amici), il guadagno progressivo dell’intelligenza deldisegno divino (scienza, sapienza, pienezza di intelligenza),tocca i prodotti della terra e le stagioni, ma anche il firmamento,segnala un progresso qualitativo dell’esperienzareligiosa (timore, fede, carità) e non dimentica gli stessiritmi liturgici e le economie salvifiche (legge, grazia e grazia5 La dedica dello Psalterium allo Spirito Santo non significa chel’opera riguardi solo la terza persona divina: nulla delle cose createè infatti attribuibile a una sola persona tanto da essere estraneoalle altre due. Perciò Gioacchino annota nella prefazione che intutta l’opera “rifulge il mistero della Trinità” e spiega: «mentreil primo libro, in cui si parla d’un vaso musicale, per proprietàd’un alto mistero è attribuito al Padre dal quale tutte le cose sonocreate, il secondo libro, in cui si parla del numero dei salmi, è attribuitoalla Sapienza divina per mezzo della quale tutte le cose sonostate create, e il terzo libro, in cui si discute del modo di salmodiae dell’ammaestramento dei salmodianti, è attribuito alla stessasacra Unzione nella quale tutte le cose sono state create» (Gioacchinoda Fiore, Psalterium Decem Chordarum, a cura di E. Russo,Ursini, Catanzaro 1983, p. 90).6 G. Di Napoli, «Teologia e storia in Gioacchino da Fiore», in Storiae messaggio in Giaocchino da Fiore, Atti del I Congresso internazionaledi studi gioachimiti, Centro di Studi gioachimiti, S. Giovanniin Fiore 1980, pp.96-97. Così si obietta da subito al fraintendimenodi Buonaiuti, secondo cui, «Gioacchino subordina la sua raffigurazionedel dogma trinitario alla sua tripartizione delle epochestoriche dell’umanità» (E. Buonaiuti, Gioacchino da Fiore. I tempi, lavita, il messaggio, Roma 1931, p.207).


72 Il teologoancora maggiore).Sempre restando in un orizzonte figurale e simbolico,Gioacchino può addirittura osare la periodizzazione dei tretempi della storia e procedere alla loro attribuzione trinitaria.Lo schema ternario rende possibile indicare con puntualitàlo sviluppo dei tre stati del mondo nelle loro fasidi inizio, crescita e compimento: così il primo inizia conAdamo, matura con Abramo e si consuma con Cristo; ilsecondo comincia con Ozia fruttifica nel padre di GiovanniBattista (Zaccaria) e sta per essere inverato nel terzo tempo,il cui avvento – cominciato già con S. Benedetto – sta oraper attuarsi in modo pieno e definitivo. Il primo tempocopre tutto l’Antico Testamento ed è “tempo del Padre”,il secondo riguarda il Nuovo Testamento ed è “tempo delFiglio”, il terzo rimanda all’interiorizzazione dell’esperienzacristiana nel mondo, ed è “tempo dello Spirito”,caratterizzato dall’ordine dei monaci (come il primo loera da quello dei coniugati e il secondo dai chierici).Rispetto a questa schematizzazione due osservazionisono importanti per evitare di proiettare sul pensiero diGioacchino questioni non pertinenti. Anzitutto, la sottolineaturadella interconnessione tra le diverse epoche. I tempisono tre, ma i Testamenti sono due: il tempo del Figliocopre il NT, ma ha le sue radici anche nell’AT (cominciacon Ozia), così il tempo dello Spirito è riferito all’epocapost-apostolica, ma non ha altro contenuto se non quelloespresso dal NT, dal tempo del Figlio, poiché lo Spiritointeriorizza, personalizza Cristo e lo universalizza. Poi,l’annotazione che gli ultimi due stati iniziano nella fasedel “compimento” dello stato precedente, sicché il precedentenon è abolito, ma inverato (proprio nella linea dellaaufhebung). Perciò il primo tempo, l’AT, non è affatto dimenticato,ma vivente negli altri due.Dalla storia trinitaria dell’uomo alladottrina trinitaria su DioQuesta interconnessione rimanda alla circuminsessio trinitaria(la reciproca in-abitazione delle tre persone divine),e rende ragione del fatto che l’attribuzione dei tretempi - rispettivamente al Padre, al Figlio e alla SpiritoSanto - non legittima una loro divisione/separazione, masolo una loro distinzione, secondo l’intelligenza che “ladottrina guida” della appropriazione consente: si puòinfatti dire per appropriazione che il Padre è potenza, ilFiglio sapienza e lo Spirito amore, senza per questo misconoscereche tutti è tre sono potenza, sapienza e amore.Tuttavia, per motivi analogici, anche biblicamente fondati,si attribuisce al Padre la potenza, la sapienza al Figlio el’amore allo Spirito.La Trinità non è uno schema, è vita divina, comunionevivente tra persone che ex-sistono in un “sistema di relazioni”.È proprio quest’incessante relazionalità d’amoread intra del mistero del Dio triuno a suggerire una piùarticolata configurazione del tempo umano. La differentiatemporum, all’interno delle tre età della storia, ha anch’essaun riferimento stretto con la Trinità e il suo relazionarsicon il mondo. Il corso del mondo, nella sua totalità, puòallora essere letto trinitariamente – come presenza e azionedella Trinità -, non tanto con lo schema lineare dellasuccessione delle Persone (trinitarismo evolutivo), néattraverso la funzione simbolica delle ipostasi (esemplarismoastratto), ma nel porsi della Trinità in molteplicerelazione con il mondo: entro questo orizzonte, la storiasi sviluppa secondo un modello quinario, in cinque tempidirettamente collegati alle cinque relazioni mediantele quali ciascuna persona della Trinità si distingue dallealtre.M. Reeves ha posto l’accento sulla teologia delle relazionitrinitarie ad intra e ad extra per un’ermeneutica adeguatadella teologia della storia di Gioacchino 7 . L’importanzateologica di questa nuova prospettiva si coglie dal fattoche essa avvalora una lettura della storia incentrata sull’eventodi Cristo, il tempo in cui la “verità delle relazioni intratrinitarie”viene conosciuta. La distensione temporaledella storia parte da un inizio e va verso una fine, registraun passato, un presente e un futuro. La sua conoscenzaprofonda, però, richiede di guardare al passato con l’occhiodell’avvenuto compimento della Rivelazione, all’ATcon la luce del NT. Le lettere di Ap 1,8 che annuncianoCristo come Alfa e Omega, riassumono simbolicamentenelle loro forme, [A]-[w], il dinamismo delle relazioni trinitariee imprimono alla vicenda della storia salvifica – dicui le relazioni intratrinitarie sono causa e forma - un fortedinamismo escatologico.L’Alfa [A] significa l’inizio assoluto del tutto, l’originarsicreaturale di ogni cosa da Dio, nella sua forma triangolarerappresenta bene la fontalità del Padre e il derivarsi processionaleeterno del Figlio e dello Spirito dal Padre, sorgentedella divinità. Le missioni del Figlio e dello Spiritocomunicano e realizzano nel mondo la volontà salvificadel Padre e inaugurano una relazione nuova con l’uomo,quella per cui Dio è personalmente coinvolto nelle vicendedella storia. L’Omega [w] quale figura convergente al7 Cfr. M. Reeves, «Originalità della teologia della storia di Gioacchino»,in Storia e messaggio in Giaocchino da Fiore. Atti del ICongresso Internazionale di Studi Gioachimiti, Centro di StudiGioachimiti, San Giovanni in Fiore 1980, pp. 52-53. È un tema importanteper superare la tendenziosa interpretazione secondo laquale l’Abate calabrese avrebbe previsto l’avvento di un tempodello Spirito “separato” e assolutamente discontinuo rispetto aquello del Figlio.


Il teologo 73centro si presta bene a simbolizzare la processione delloSpirito dal Padre e dal Figlio che compie il dinamismointratrinitario, mentre in sé significa la pienezza dellastoria e la fine del suo processo, nella sua figura maiuscola[W] rappresenta l’unità dell’essenza divina. Lo Spirito– secondo la dottrina latina del Filioque, che qui risultaconfermata e giustificata – è mandato dal Padre e dalFiglio per ricondurre l’umanità all’unica patria trinitaria.A queste due si aggiunge un’ulteriore figura, quella della[O], che nella sua perfetta forma circolare esprime lacircuminsessio trinitaria e il ritorno delle creature in Dio,quando il Figlio consegnerà tutto al Padre e Dio sarà tuttoin tutti: allora il processo storico giungerà alla sua completaconsumazione. Si hanno perciò tre forme - l’inizio[A], il compimento [w] e la pienezza [O] -, nelle quali eattraverso le quali l’economia della salvezza si manifestaper due volte, nell’AT in figura e in spe e nel NT in re.Nella sua dottrina delle relazioni Gioacchino sintetizzale diverse prospettive trinitarie d’Oriente e d’Occidente:egli sottolinea l’individualità distinta delle personeo ipostasi, salvaguardandone la loro unità nel derivarsidel Figlio e dello Spirito dal Padre. Per evitare questo rischiodi pensare la Trinità come tre agenti indipendenti,impegnati in cose diverse tra loro, si insiste molto sulladottrina della “mutua compenetrazione” tra le persone(perichoresis) e sulla quarta relazione (Spiritus Sancti, idestRaffaele SciontiINVITOALLALETTURAGioacchino da Fiore (Celico 1135ca –Pietrafitta 30 marzo 1202) continua ademergere nella storia e nel pensiero,nella ricerca teologica e nel simbolismomedievale. Una figura la cui fama sanctitatisnon si è spenta, arde come fuoco,brilla come stella nel cielo. È quantoemerge nel volume di Enzo Gabrieli, chesegue da un decennio le vicende legatealla Causa di Canonizzazione e dal 2008ne è stato nominato Postulatore.In questo ampio lavoro vengono raccoltii dati storici e numerosi inediti, cuciticon una certosina pazienza. Nella primaparte emerge il personaggio incastonatonella storia, la sua santa vita, le sue operecanoniche, l'attenzione che gli è statariservata dopo la sua morte.Anche una sorta di "venerazione" sianell’Ordine sia fra i credenti, tanto dadover indurre gli abati alla traslazionedel corpo nella nuova Chiesa abbaziale.Una nuova prospettiva, incastonata nellaprassi del tempo, ci viene offerta percogliere lo stesso titolo di beato che gliviene attribuito da immemorabile, maanche quanto la sua spiritualità abbia influito(e a volte sostenuto) il genio italicoe i grandi spiriti che hanno fatto la storiadell'arte, della letteratura e anche dellaricerca di nuove frontiere.Da Dante a Colombo a Michelangelo aigrandi spiriti del francescanesimo e dellaspiritualità medievale, fino alla teologiamoderna e contemporanea.La seconda parte del volume raccogliein maniera cronologica i documenti autorevolidei Papi che lo ebbero in grandestima in vita ed in morte e ne difeserol'ortodossia, la santità di vita e lo stessoOrdine florense. Nemmeno il Concilio lateranenseIV che ne condannò un libellotrinitario (post mortem ed oggi scomparso)lese l'autorevolezza dell'uomodi Dio, "innamorato di Cristo, sacerdotepio e zelante" che ha esercitato "autenticamentele virtù cristiane", come si leggenel messaggio del papa Giovanni PaoloII per l'ottavo centenario della morte.Un’ampia finestra del volume è dedicataagli studi di Joseph Ratzinger che nellasua giovinezza ha incrociato i passidell'abate nel suo ampio studio sullafigura di San Bonaventura; emergono"influenze" e distanze tra i due grandiuomini spirituali ma mai nessun giudizionegativo. L'ambito teologico è un ambitodi ricerca nel quale il credente si devesaper muovere senza mai "perdere lafede" o allontanarsi dalla Madre Chiesa.Cosa che non è avvenuta per l'abateGioacchino, che anzi nel suo Testamentotutto ha rimesso all'autorità del RomanoPontefice.Un percorso di conoscenza dell’abateche culmina con una sezione di scrittiper “un approccio diretto” al personaggioe un ampio apparato fotografico.Mentre l'Ordine florense, dopo avercompiuto il suo servizio è scomparso,non è scomparso invece il messaggiodell'abate: ci sarà un nuovo tempo, saràil tempo di Dio, mentre nel nostro camminosiamo accompagnati dallo Spiritoche segna le tappe della storia grazie aqueste grandi figure spirituali.L’abate di Fiore ed i suoi scritti, nonostantetentativi di persecuzione e di riduzionedella portata del suo messaggio, ciha raggiunti, e come scrive l’autore nellapresentazione del volume “forse proprioquesto travaglio culturale lo ha portatofino a noi, senza relegarlo nelle Raccoltedei Santi, o peggio, lasciandolo impolveratonelle biblioteche o in qualche sagrestia”.Enzo Gabrieli,Una fiamma che brilla ancora. Lafama sanctitatis dell’Abate Gioacchino,Comet editor Press,Settembre 2010p. 256 + 40 pagine a colori


74 Il teologoProcessio a Patre Filioque) che connota la spirazione passivadello Spirito legata al processo con cui il Figlio – il qualericevendo tutto dal Padre (=generazione attiva = paternità)ritorna al Padre (=generazione passiva = filiazione) 8 .Identificati secondo il criterio del riferimento alle cinquerelazioni trinitarie (quattro ad intra e una ad extra), i cinquetempi, si trovano con dettaglio esposti nel Psalterium 9 . Aquesto criterio Gioacchino subordina l’altro – più classico,di derivazione agostiniana – delle sette età del mondoche pur utilizza. Lo schema settenario viene accolto, macon una variante peculiare: la collocazione della settima età– in Agostino, trascendente e fuori della storia – all’internodel corso storico 10 . Quest’originalità è funzionale (ma, èovvio, ne deriva) al suo pensiero storico della Trinità che– diversamente dalla prospettiva essenzialista diffusa inOccidente – guarda con grande attenzione al rapporto trala vita immanente di Dio e lo sviluppo della storia.Teologia trinitaria figuraleLa teologia della storia di Gioacchino trascrive nel tempola melodia dell’Eterno e consente di cogliere nellavita divina le misteriose profondità degli eventi storicie dello svolgimento della natura: è l’ascesa dell’umanitàverso una più intesa umanizzazione e spiritualizzazioneche bisognava riconoscere dentro i drammi delle esistenzee delle epoche, le quali – all’occhio penetrante di chiscruta i dinamismi storici alla luce della rivelazione diDio – diventano figure cariche di significati enigmatici, dainterpretare trinitariamente e da comunicare, allo scopodi orientare l’avventura umana verso mete di armonia, digiustizia, di nuova fratellanza.La sua teologia trinitaria è fondata nell’esperienza orantee mistica, ancorata alla vita liturgica e tutta orientata a8 Così, come annota E. Russo: «la quarta relazione mette in lucel’esigenza gioachimita di esplicitare il concetto di “proprietà-funzione”,perché si scorga bene il significato di mediazione immediatadel Padre e di quella mediata del Figlio rispetto allo SpiritoSanto» (E. Russo, «Due chiarimenti sul pensiero di Gioacchino: lecinque relazioni trinitarie e i cinque tempi essenziali dello “Psalterium”»,in Storia e messaggio in Gioacchino da Fiore, pp. 479-480).9 Gioacchino da Fiore, Psalterium Decem Chordarum, pp. 342-353.10 Secondo F. D’Elia: «egli infatti colloca la “settima età” – contutti i suoi caratteri extrastorici già determinati da Agostino, e cioèil raggiungimento della pace vera, della perfetta giustizia, della pienezzadella verità e della pienezza della libertà – all’interno del corsostorico […]. Con questa “retrocessione” della settima età dall’eternoal tempo, Gioacchino introduceva nel pensiero cristiano-medievaleuna nuova “figura escatologica”; l’età finale dello Spiritoo della “piena manifestazione (clarificatio) dello Spirito Santo» (F.D’Elia, Gioacchino da Fiore. Un maestro della civiltà europea, Rubettino,Soveria Mannelli 1991, p. 126).valorizzare il registro del simbolico del vissuto cristiano,a combinare l’esercizio argomentante della ratio con lacreatività (non arbitraria, ma anche logica) della immaginazionefigurale: potenti intuizioni visivi orientano lo sviluppodel suo pensiero teologico. Così la sua ricerca è,in atto, una presa di posizione chiara rispetto al dibattitoche in quell’epoca di “rinascimento razionale” opponeva i teologiai dialettici: mentre la razionalità speculativa traballadi fronte al mistero inaccessibile della vita immanente diDio e della sua autocomunicazione storica, la sua “conoscenzavera” si dischiude, con docilità, alle possibilitàevocanti del simbolismo figurale del salterio. Tutta la suateologia è simbolico-figurale, subordina e funzionalizzail logos discorsivo alla contemplatio adorante, pensa correttamenteanzitutto perché sa guardare; perlomeno mantienein un circolo virtuoso speculazione e sguardo estetico: ragionamentre raffigura e descrive figure mentre elaboraconcettualmente.Il Liber figurarum, nel quale un discepolo raccoglie – dopoqualche anno dalla morte del maestro 11 – ben ventisei tavoleminiate, è decisivo per la comprensione del pensierogioachimita e molto utile per la piena identificazionedel suo metodo teologico: in particolare la tavola dei trecerchi è di grande importanza per entrare nel cuore dellasintesi trinitaria del profeta calabrese. Da qui attinseDante quando descrisse l’augusta Trinità nel celebre cantoXXXIII del Paradiso: «tre giri /di tre colori e d’una contenenza»,di cui «il terzo parea di foco».Dalla disposizione delle lettere del tetragramma IEUE,Gioacchino ricava le relazioni eterne tra le persone divine.Le lettere sono ben visibili nel centro dei tre cerchi edistribuite in modo tale da coprire orizzontalmente tuttolo spazio della figura: esse vengono riferite alle personedivine, sicché [I] indica il Padre, [E] lo Spirito Santo, [U]il Figlio. Ne consegue che il tetragramma simbolicamenteesprime; in sé l’unico Dio, nelle sue lettere la distinzionedel Padre, del Figlio e dello Spirito, ma anche la relazione11 Rileviamo che «il Liber figurarum va considerato pienamente“gioachimita”. I suoi stessi manoscritti più antichi rivelano unpreciso rapporto con le prime fondazioni florensi e con gli ambienticalabresi ai quali era stato diretto all’origine il messaggio diGioacchino. I due codici più antichi del testo sono infatti, a nostrogiudizio, frutto di scriptoria calabresi strettamente legati al centrodi irradiazione del messaggio di Gioacchino» (F. Troncarelli, «IlLiber figurarum tra “gioachimiti” e “gioachimisti”», in Gioacchinoda Fiore tra Bernardo di Clairvaux e Innocenzo III, p. 268). Le immaginioriginali, accompagnate da didascalie in parte attribuibili aGioacchino, erano fruite con correttezza all’interno del movimentoflorense; successivamente esse si diffusero autonomamente espesso separatamente tra gruppi eterogenei (movimenti “gioachimisti”)che con-fusero il suo messaggio con «un coacervo di ideee immagini desunte da altre tradizioni» avviando un processointerpretativo degenerante che, tuttavia, tenne «vivo nei secoli loslancio ideale verso il futuro del grande teologi di Celico» (Ivi,p.281).


Il teologo 75tra le persone; il nome consiste di tre lettere, ma di quattrosegni, poiché una lettera ricorre due volte; si noti chein IEUE la [E], riferita allo Spirito è ripetuta due volte,proprio perché lo Spirito procede dal Padre [IE], ma filioque,cioè anche dal Figlio [UE]. Il cuore ovale dell’immagineesprime l’unità della essenza divina che è comune atutti e tre i cerchi, mentre la loro intersecazione manifestal’unità operativa della Trinità nella storia, la loro simultaneapresenza in ogni tempo del suo decorso e la certezza“pericoretica” che nulla è del Padre che non sia del Figlioe viceversa e così anche dello Spirito, in virtù dell’eternacomunione d’amore nell’unica sostanza divina.Il Salterio dalle dieci cordeIl simbolismo trinitario dell’Abate calabrese trova però lasua più alta espressione nel Salterio dedacorde, la “figuradella visione”: è la figura del triangolo mozzato in alto, lacui vis evocativa rappresenta, meglio delle parole, la stessaforma, semplice e indivisa, una e trina della trinità beata.Tra l’apofatismo radicale dei mistici – che senza proferireparola alcuna, adorano il mistero, proclamandonel’assoluta inaccessibilità – e l’apofantismo dei teologi – chesi impegnano a tradurre in linguaggio (talvolta troppo co-Don Antonio PompiliARALDICANello stemma episcopaledi mons. Staglianò,Vescovo di Noto, i cerchitrinitariBlasone: Di cielo, alla marina d’azzurro,sormontata a destra da un pellicanocon la sua pietà, in maestà, d’oro estillante tre gocce di sangue; e sostenentea sinistra una scala di tre piolisu di un ramoscello d’ulivo ricurvo,sormontata da una stella di sei punte,il tutto d’oro, la stella caricata di unaH minuscola d’azzurro; al capo d’argento,caricato dei Cerchi Trinitari diGioacchino da Fiore inframmezzanti leloro lettere, dei rispettivi colori, e conun rivolo di sangue movente dal cerchiomediano, attraversante sulla partizione,ondeggiante in palo e riversatonel mare.Lo scudo accollato ad una croce astiletrifogliata d’oro, gemmata di cinquepezzi di rosso, e timbrato da un cappelloprelatizio a sei nappe per lato, iltutto di verde.Motto: Misericordia Et Veritas In Caritate.Spiegazionesimbolico-teologicaLo stemma di Mons. Antonio Staglianòsi propone come una interessantesintesi teologico-pastorale, oltre checome una originalissima composizionedal punto di vista araldico.Il capo è d’argento. Nella sua chiarabrillantezza esso è stato scelto comerichiamo della Verità, cioè della Rivelazioneche Dio offre di se stessoall’uomo. Centro di tutta la Rivelazioneè l’amore trinitario di Dio, richiamatocon grande immediatezza daitre cerchi che si trovano ad illustrarela quarta delle 23 tavole dell’abate eteologo calabrese Gioacchino da Fiore(Celico, ca. 1135 - Pietrafitta, 1202)raccolte nel Liber Figurarum, operanotevole per ricchezza e simbolismo.Questa figura, detta dei Cerchi Trinitari,rappresenta il mistero della Trinitànel suo manifestarsi nella storiadell’umanità, suddivisa in tre “Età” o“Ere”. Il primo cerchio, di colore verde,rappresenta il Padre; il cerchiomediano, di colore azzurro, è rappresentativodel Figlio; mentre in colorerosso, sulla sinistra, si trova il cerchiodello Spirito Santo, la terza era di cuiGioacchino predicava prossimo l’avvento.L’Unità della Sostanza Divinasi identifica nella porzione centrale dicerchio comune ai tre anelli, in formadi mandorla mistica. Le relazioni tra lepersone divine sono simboleggiate,oltre che dal dinamismo dell’intersezionetra le figure, dal susseguirsiall’interno dei cerchi delle quattro letteredel divino Tetragramma, trascrittoin lettere latine: IEUE. “I” indica ilPadre, “U” il Figlio ed “E” lo SpiritoSanto. Lo Spirito è indicato due volteperché procede sia dal Padre (IE) chedal Figlio (UE). Dante Alighieri segue eutilizza questa figura nel canto XXXIIIdel Paradiso per dire il mistero trinitariodi Dio: «Nella profonda e chiarasussistenza/ dell’alto lume parvemi tregiri/ di tre colori e d’una contenenza/e l’un dall’altro come Iri da Iri/ pareariflesso, e ‘l terzo parea foco/ chequinci e quindi igualmente si spiri». Ilcapo richiama così il piano del divinoche si innalza sul livello della storia edello spazio degli uomini, rimanendo adiretto contatto con esso. Dal Dio Unoe Trino viene la sapienza della vita perumanizzare il mondo. Quella sapienzache ha la sua traduzione esistenzialenella Misericordia, nella Verità e nellaCarità, parole scelte per la composizionedel motto.Il campo principale è di cielo, terminecaratteristico dell’araldica italiana cheblasona le combinazioni di smalti talida rendere il campo dello scudo nelletinte proprie della naturalità del cielo.Il cielo limpido vuole essere segno diun mondo più umano perché illuminatoe rinnovato dalla sapienza divina.Sul campo di cielo si stagliano unafigura di carattere cristologico, e unacomposizione simbolico-raffigurativadi carattere mariologico.


76 Il teologostringente) la realtà ineffabile di Dio, la “via media” praticatada Gioacchino punta sull’immediatezza comunicativadell’immagine, la quale dice in modo positivo, ma èanche rispettosa dell’indicibilità della Trinità trascendente,incatturabile e sfuggente a ogni presa del concetto.Il Salterio dedacorde è sacramentum fidei: nella sua forgiatriangolare permette di distinguere visivamente gli angoli(= le diverse persone divine) senza comprometterel’unità della figura (l’unità della sostanza divina).Tutta l’attenzione di Gioacchino è però rivolta all’angoloprincipale che non è acuto ed è più largo rispetto agli altridue 12 . Il significato di questo segno dirigerà tutta l’interpretazionetrinitaria, nei termini richiesti dalla tradizionecattolica: l’angolo superiore non acuto indica il Principioassoluto e va riferito al Padre, principio senza principio;gli altri due angoli acuti si rapportano al Figlio e alloSpirito per riferimento alla loro missione storica; ancheper questo sono angoli “inferiori”, non perché si debbapredicare qualche subordinazionismo o ineguaglianza inDio, ma solo perché le missioni del Figlio e dello Spiritosi dirigono “verso zone umili”, sono mandati nella storiaper la redenzione dell’uomo.Il fatto che l’angolo superiore sia dissimile dagli altri dueè un sacramentum importante, su cui vale la pena sostare.Gioacchino è testimone di una concezione genetica della dialetticatrinitaria: il Padre è «il» Principio da cui il Figlio e loSpirito derivano come acqua promanante dalla fonte. Perciònell’angolo superiore non acuto deve essere ravvisato «nonaltro che il Padre dal quale il Figlio e lo Spirito Santo, il primoinvero essendo generato e il secondo procedendo, hannoricevuto quell’essere che Egli stesso è» 13 . Solo il Padrenon è da alcuno, mentre il Figlio e lo Spirito sono dal Padre;lo Spirito, poi, in sé è “anche dal Figlio”. La prova biblica èche mai si parla di una missione del Padre, quando invecesi sa dell’incarnazione del Figlio e della venuta nel mondodello Spirito sotto forma di colomba e di fuoco.Questa esclusività “principiale” del Padre va mantenuta,la sua monarchia è infatti da sottolineare come un datodella fede cattolica. Non è peraltro smentita dall’insegnamentodei Padri cattolici, secondo i quali anche il Figlioè principio: «il Figlio insieme col Padre è principio delloSpirito Santo» 14 . Non è questo un problema, poiché«quantunque, quindi, il Figlio sia principio anche Luidello Spirito Santo, poiché tuttavia anche Lui è dal Padree dal Padre riceve la capacità d’essere principio delloSpirito Santo, non senza lo stesso Padre ma con Lui, e nonin modo che siano due principi ma un solo principio» 15 .sopraLiber Figurarum - Tavola Le ruote di EzechieleQuesta principialità mediata del Figlio rende inutile rappresentarel’angolo del Figlio in modo simile a quello delPadre (cioè non acuto e più largo) perché non sembri cheanche il Figlio sia “principio principiale”, il ché spetta alPadre e al Padre soltanto. Il principio è unico ed è il Padre– fons totius divinitatis; il Figlio ha dal Padre d’essere principio,in quanto tutto riceve da Lui, anche questo, d’esserefonte dello Spirito. Perché poi non si gettasse sospettosull’uguaglianza divina dello Spirito rispetto al Padre eal Figlio, Gioacchino afferma che anche lo Spirito è principio:«lo Spirito Santo è principio dell’uomo Gesù Cristo,il quale in quanto è Dio, è principio dello stesso SpiritoSanto, è col Padre un solo principio» 16 .12 Gioacchino da Fiore, Psalterium Decem Chordarum, pp.154-183.13 Ivi, p.156.14 Ivi, pp. 171-172.15 Ivi, p.160.16 B. Mc Ginn, L‘abate calabrese. Gioacchino da Fiore nella storia delpensiero occidentale, Marietti, Genova 1990.


Il teologo 77sopraLiber Figurarum - Tavola Il Salterio dalle Dieci CordeLa retta fede trinitariaLa figura del Salterio aiuta a superare alcune pericolosedeviazioni: gli errori del triteismo, del modalismo, ma anchedel quaternismo che introduce una certa divisione tra lepersone e la natura divina. Infatti, l’unica natura divina èle tre persone e non il solo Padre (come sosteneva il modalismo).Non esistono dunque tre sostanze (una è la sostanza),ma neanche una persona (tre sono le persone).Neppure esiste però una natura insieme alle tre persone,una quaternità (Dio è infatti trinità). Prescindendo dalletre persone trinitarie non si può ammettere una naturadivina, quasi come uno sfondo comune da cui le trepersone attingano la loro divinità. La verità dottrinaledell’identità della sostanza divina con le persone è negatadall’equivoco trinitario del quaternismo: una «nuova scoperta»giudicata da Gioacchino «più malvagia» del triteismo.Questa novità teologica «ha presunto di aggiungere, conuna fissazione, non so quali tre cose oltre la sostanza, inmodo che nell’una cosa sia dimostrata l’unità, nell’altrala trinità» 17 .Il simbolo del Salterio, quale figura privilegiata per nonsmarrirsi in così augusto mistero, non prevede l’indicazionedi “un quarto qualcosa”: «la stessa figura rotondache rimane media fra i tre angoli, non è da interpretarequasi sostanza, perché non lo è: è infatti sostanza tutto ilvaso; ma la rotondità è quasi espressione materiale chedichiara apertamente l’unità di tutto il vaso, cioè della sostanza:affinché qualcuno quando ode trino, non stimi lasostanza essere divisa» 18 .Per Gioacchino, tutte le eresie trinitarie sono riconducibiliad una lacunosa interpretazione delle Scritture. SeSabellio avesse interpretato in modo assennato quanto èdetto dal Figlio - «Io e il Padre siamo una cosa sola» - enell’AT - «Ascolta, o Israele il tuo Dio è un solo» -, nonsarebbe incorso nel suo errore. Allo stesso modo Ario, senon avesse compreso male quanto dice Giovanni - «Tresono che danno testimonianza sulla terra: lo Spirito, ilsangue e l’acqua; e tre sono quelli che danno testimonianzain cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo». Pernon aver colto il significato profondo e vero di questescritture, il primo ha negato la Trinità e il secondo l’unità.Così facendo, essi «parlavano secondo opinioni personalie perciò si allontanarono dalla fede». Diversamente, laverità trinitaria non s’istituisce a partire da ragionamentiparticolari, anzitutto si adora e si prega, salmodiando.Nella contemplazione orante del mistero trinitario si realizza,infatti, uno spazio d’esperienza che consente allarivelazione di Dio di far breccia nell’uomo e di dettare lecondizioni non solo dell’oggettività della verità comunicata,ma anche di quelle della sua possibile accoglienza.Così Gioacchino annota: «vale di più contemplare colcuore questa testimonianza di fede che proferirla con labocca. Se si cerca che sia discussa, se ne svigorisce il sensoe non è sufficiente la povera capacità per conservare nelladiscussione la purezza di questa parola» 19 .Bisogna tenere in gran considerazione questo principioermeneutico ed euristico quando si riflette sulle presuntedifficoltà dottrinali di Gioacchino, almeno in due aspetti significatividel suo pensiero credente: l’indipendenza/autonomiadel terzo tempo (lo Spirito) dal secondo (Figlio)e la questione dell’unità dei tre.Sul primo, la sua insistenza sul Filioque non lascia dubbicirca la “dipendenza pericoretica” dello Spirito dal Cristo.Secondo S. Tommaso, invece, Gioacchino avrebbe dichiaratola transitorietà della legge nuova di Cristo, sulla base di17 Ivi, p. 102.18 Ivi, p. 126.19 Ivi, p. 104


78 Il teologoa sopramanca didaa sopraLiber Figurarum - Tavola Roma Cristiana e Roma Paganaalcune testimonianze scritturistiche: anzitutto quella Paoloin 1Cor 13,10, «quando verrà ciò che è perfetto, quello cheè imperfetto scomparirà», perciò la legge nuova in quantoimperfetta andrà eliminata a favore di uno stato nuovo,più perfetto. Questa interpretazione che è stata seguitae resa contemporanea da H. De Lubac, è oggi contraddettada molti studiosi gioachimiti come Grundmann,Crocco, Mottu, Mc Gin, Di Napoli 20 : questi studi sono allabase dell’iniziale recezione delle prospettive gioachimitenel seno della teologia e, in particolare, di quelle teologietrinitarie più interessate al rapporto con la storia (J.Moltmann, ma anche, in Italia, B. Forte). Soprattutto efficaceappare l’opera d’approfondimento promosso dalCentro Internazionale di Studi Gioachimiti che ormai daanni convoca gli studiosi di tutto il mondo a Congresso,divulgandone le acquisizioni attraverso gli Atti. Il riferi-20 B. Mc Ginn, L‘abate calabrese. Gioacchino da Fiore nella storia delpensiero occidentale, Marietti, Genova 1990.mento a quest’immane letteratura – che si fa carico di unfaticoso lavorio specie a livello di critica testuale nell’accertarel’autentico pensiero dell’autore -, rende i passidello studioso più sicuri, nel portare a sintesi la dottrinatrinitaria di Gioacchino, nel valutarne la correttezza teologicae il suo ancoraggio alla tradizione cattolica, strenuamentedifesa contro le novità dei dialettici.Quanto al secondo aspetto, quello apparentemente piùcompromesso: i tre sono “unitas”. La Scrittura viene insoccorso e indica il modo di intendere quest’unità, comel’unione dei molti dei quali si afferma che sono «un cuoresolo e un'anima sola, cioè una volontà e un consenso» 21 .Sembra stare proprio qui, l’aspetto problematico del pensierotrinitario di Gioacchino. Il Concilio Lateranense IV(1215) riconosce la professione esplicita dell’unità dell’essenzatrinitaria da parte dell’Abate calabrese e però discutee non accetta il suo modo di intendere l’unità. Le21 Ivi, p. 114.


Il teologo 79sopraLana su teleaio verticalesopraLiber Figurarum - L'albero della Trinitàaffermazioni esplicative in merito non sarebbero sufficientiper far pensare a una unità reale, vera e propria, masolo a una unità collettiva e similitudinaria: così il Conciliogiudica il tentativo di Gioacchino, raccogliendo con puntualitàle citazioni bibliche alle quali egli si riferisce nellosforzo di immaginare l’unitas trinitaria.L’unità della Trinità è una «unità così grande, quanta innessun altra cosa simile si potrebbe riscontrare» e qualsiasiriferimento analogico dice «qualcosa secondo unsignificato imperfettamente somigliante e non in sensocausativo: perché altro è dare un’immagine, altro è esprimerela causa». Il linguaggio umano che cerca di abitare ilmistero per comunicarlo deve per forza ricorrere a modidi dire, deve usare espressioni quali “così”, “in qualchemodo” o “sì come”, quasi segnalando la propria inadeguatezzarelativamente al contenuto che deve esporre.Da qui un’osservazione ermeneutica rilevante, validaper qualunque interprete: se «non la cosa è soggetta aldiscorso, ma il discorso è dipendente dalla cosa», alloraè necessario che «il lettore discuta e discerna l’intenzionedi chi scrive e non confuti l’improprietà della parola, ilcui valore a stento, in sì alti argomenti, può essere salvatoa causa della povertà del linguaggio» 22 . L’unione dimolti uomini in un’unità o di diversi popoli in un’unitàpuò aiutare a comprendere l’essere uno e trino di Dio.Attenzione però, solo perché quest’unità d’uomini e dipopoli trova il suo fondamento nell’essere trinitario diDio: «poiché Egli stesso è trino nella sua unità, ha cercatosempre e cercherà che molti uomini e diversi popoli siriunissero e si riuniscano nell’unità» 23 .A questo punto non ci si può esimere da una osservazioneprecisa: l’unità a cui si fa riferimento non è una unitàsociologica di popoli, bensì una unità ecclesiale e sacramentale.È l’unità per la quale il Figlio prega il Padre: «in difesadei suoi eletti, che siano una unità a somiglianzadella sua unità e del Padre» 24 . Ma l’analogia preferita daGioacchino, anche per dire questa unità, resta semprequella del Salterio dalle dieci corde. È il rimando all’esperienzaliturgica. Questo non è superficiale dal punto divista teologico: è il richiamo al grembo esperienziale dacui ogni riflessione prende il volo per essere sicura nelriflettere sulla verità della fede. Perciò la preghiera liturgicarende ragione della correttezza formale della posizionegioachimita sulla Trinità: essa, in quanto è incontrocon il Dio vivente dentro una specifica tradizione credente,assicura e garantisce l’inevitabile debolezza o povertàdi ogni immaginazione o parola o espressione umana.22 Ivi, pp. 126-128.23 Ivi, pp. 132-133.24 Ivi, pp. 133.* Vescovo di Noto


80 Il teologoSalvatore Bartucci *Dinamicatrinitaria nelmessaggioprofetico diGioacchino daFioreGioacchino è uno dei personaggipiù complessi ma anche più rappresentatividell’epoca medioevale,che incarna ed esprime alcuni aspetticaratteristici e rilevanti dello spiritodel suo tempo: esaltato e veneratoda alcuni come santo e uomo di cultura,è da altri guardato con sospettoe considerato come eretico o rozzo eignorante, così come lo giudica, inmodo sorprendentemente severo,


Il teologo 81San Tommaso, mentre proprio tralui e San Bonaventura lo pone Dantenel canto XII del Paradiso, come luminaredel sapere, riconoscendoneed esaltandone lo spirito profetico.Egli è insieme asceta e mistico, profetae riformatore, esegeta e teologo.Non estraneo alle elevazioni mistiche,egli vive in intimo rapportocon il mistero del Dio vivente, masenza estraniarsi dalla realtà delmon do circostante, dalle vicendedel suo tempo che, proprio in forzadella sua esperienza interiore, è ancorpiù capace di interpretare e penetrarein profondità. Egli avvertecon particolare sensibilità e in mododram matico il difficile e tormentatomomento della Chiesa, sottopostaad un processo di eccessiva istituzionalizzazionee anche di diffusamondanizzazione. In reazione aduna tale situazione egli percepisce eproclama l’esigenza di una radicaleriforma e di rinnovamento evangelicoe matura la profonda convinzionedi una sua chiamata perso nalealla missione profetica: egli si senteil Battista e l’Elia dei tempi nuovi, dalui preconizzati.Profeta è Gioacchino, ma non nelsenso corrente di predizione del futuro(come largamente accreditatodalla storiografia gioachimita), manel senso di annuncio della Parola,che era precisamente il compito deiprofeti dell’Antico Testamento: unaParola contenente le promesse divineper il futuro, specialmente inriferimento all’età messianica, chesegnerà il loro pieno compimento.Nella chiara consapevolezza di questasua particolare vocazione profeticatrova la sua prima e fondamentaleorigine il suo messaggio,saldamente fondato nella meditazionedella Scrittura che egli interpretasecondo il metodo analogicoe simbo lico, spinto spesso alle piùsvariate ed arbitrarie esagerazioni.La riflessione che ne deriva circa ilcorso della storia del mondo e dellaChiesa culmina nella profeziadell’ultima età, l’età dello Spirito,prossima a giungere, che avrebbeportato ad una radicale riforma dellaChiesa secolarizzata. L’età delloSpirito segue a quella del Padre e aquella del Fi glio, secondo il ritmoascensionale del divenire storico,che va segnan do una progressivamanifestazione del progetto divinonel corso degli eventi umani ed èproiettato verso l’attesa di una nuovaetà, che doveva segnare un generalee profondo rinnovamento adopera dello Spirito Santo.Si profila così quella lettura trinitariadella storia che, a sua volta, rivela eriflette il movimento della vita intradivina,quella circolarità ine sauribiledell’amore che si esprime nelle mutuerelazioni fra le Persone divine.Trinità e storia sono i termini centralidella riflessione di Gioacchino,strettamente collegati fra loro in unasintesi che non cessa ancora di destaremeraviglia.La visione storicadella trinità e la visio netrinitaria della storiaGioacchino occupa un posto importantenella storia della teologia trinitaria:pensatore senza dubbio in anticiposul suo tempo, egli dà ad essaun apporto originale, che consiste inquello stretto rapporto fra Trinità estoria, che costituisce l’aspetto fondamentalee più caratteristico di tuttoil suo pensiero.“In un’epoca dominata dalla nascentescolastica che minacciava agliocchi del mistico di ridurre ed impoverireil mistero supremo della fede,nel quale è incentrata tutta la historiasalutis, in uno sterile paradigma diastratte nozioni metafisiche o in unarido teorema teologico, Gioacchinosi preoccupa soprattutto di reinserireil mistero trinitario nel circolostorico, nella vita dialettica del divenirestorico, considerando la Trinitàcome il prototipo trascendente eil centro supremo di convergenzadi tutta la storia umana” 1 , la quale,a sua volta, è riletta e interpretatacome figura temporale e manifestazioneprogressiva del mistero delDio uni – trino.Va comunque rifiutata l’idea diuna presunta subordinazione dellaTrinità alla storia, che taluni credonodi riscontrare nella esposizionedi Gioacchino: una visione parziale esoprattutto storicistica della Trinità.In questa prospettiva “il diveniretemporale assorbirebbe la Trinitàin una sorta di farsi storico: la storiarisulterebbe la verifica e l’interpretedel dogma: la Trinità sarebbe funzionalealla storia: se questo fossevero, però, verrebbe anche meno ilmotivo profondo che anima l’intuizionegioachimita: la speranza trascendente,fondata in ciò che è piùdella storia” 2 .È la tesi del Buonaiuti che scrive:“anche Gioacchino, come i vecchirappresentanti occidenta li della teologiaeconomica, subordina, senzarendersene conto, la sua raffigurazionedel dogma trinitario alla suaripartizione delle epoche sto richedell’umanità. La sua teologia trinitariaè condizionata direttamentedalla sua antropologia e dalla suafilosofia della storia; il dogma trinitarioallora appare rettamenteinterpretato, quando sia una trascrizionefe dele e felice del misterodella vita e della storia; il misterotrinitario si scompone e si disponenella sua mente come la trasposi-1 A. Crocco, Introduzione al libro di E.Buonaiuti, “Gioacchino da Fiore: i tempi–la vita- il messaggio”, Ed. Giordano, Cosenza1984, p. XXV;2 B. Forte, “Trinità come storia” Ed. S.Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1988, pp81-82;


82 Il teologozione trascen dentale della legge diprogresso che regge la storia degliuomini” 3 . Estremamente espliciti alriguardo alcuni testi di Gioacchino:“Tres status mundi propter tres personasdivinitatis assignare curavimus” 4 .“Quantenus Deus Trinitas est, ita ...sunt tria illa tempora, quae tres statusmundi nominanda credidimus” 5 .Come annota D. Mc Ginn, “perl’Abate di Fiore la Trinità ha sempreil primato. Non è che cosmo estoria in qualche maniera cambinoo condi zionino Dio; è piuttosto lastoria a dovere assumere la strutturache ha, esattamente perché Dio, suoCreatore, è tre persone” 6 .H. Mottu si domanda se sia giustodire che “il divenire in Dio diventa ildivenire di Dio: terribile capovolgimentoche si trova sullo sfondo deidibattiti di ieri e di oggi sull’ortodossiao eterodossia di Gioacchino” 7 .Questa interpretazione tende ad assimilareed avvicinare la concezionedell’Abate a quella di Hegel che concepisceDio come Spirito o SoggettoAssoluto e ne coglie l’autorealizzazionenel divenire del mondo, cosìda stabilire una perfetta corrispondenzatra il “curriculum vitae Dei”e la storia mondana, dissolvendo intal modo, oltre che l’alterità di Diodal mondo, anche la vera alteritàpersonale in Dio.È assurdo attribuire una simile posizioneall’Abate che, invece, “dalpunto di vista teologico mantiene laseparazione fra Trinità immanente3 E. Buonaiuti, op cit. pp. 180-183;4 Gioacchino, “Liber Concordiae”,11,6,9r e ;5 Gioacchino, Expositio in Apocalypsim,1,37 VL;6 B. Mc Ginn, “L’Abate Calabrese Gioacchinoda Fiore nella storia del pensierooccidentale”, Ed. Marietti, Genova, 1985,pg 175;7 H. Mottu, “Giocchino da Fiore ed Hegel– Apocalittica biblica e filosofia dellastoria” Atti del I° Congresso Internazionaledi studi gioachimiti, S. Giovanni inFiore (CS), 1979, pg 186;e Trinità economica. La storia dellasalvezza non è il processo di svolgimentodi un Dio che diventa mondo,ma è il combattimento storico, sebbenecontingente, sostenuto da Dioin favore del mondo. Dio e mondorestano antagonisti, proprio comenell’apocalittica biblica. 8In Gioacchino, quindi, la teologiatrinitaria costituisce il fondo staticoe dinamico della concezione dellastoria: “ma la storigrafia o, meglio,la storiosofia cristiana di Gioacchinonon subordina affatto a sè la teologiatrinitaria; piuttosto è la teologiatrinitaria a costituire in Gioacchinol’antecedens, valido in sè come ideae ideale, di quel consequens, che è lasua visione della storia: si può arrivarea dire che quella visione dellasto ria, pur sempre teologica, non èche un corollario della sua teologiatrinitaria” 9 .Trinità economica etrinità immanente: i trestati del mondoCosì, la Trinità com’è “in sé” oTrinità immanente si rivela nella storiao economia della salvezza, quindicome Trinità “per noi” o Trinitàeconomica; d’altra parte, di conseguenza,la “historia sautis”, diventail riflesso della vita intratrinitaria.“Pensando storicamente la Trinità,l’Abate pensa parimenti trinitariamentela storia; egli vede lo svolgersidel tempo ad immagine dellosvolgersi della vita intradivina”. 10Ci sono allora tre “status mundi”,inteso questo come storia o realtà indivenire: “tre stati del mondo a mo-8 Ibid. opp. Ivi, p...;9 G. Di Napoli, “La Teologia trinitaria diGioacchino da Fiore”, Divinitas anno XIII1979, pg. 281;10 B. Forte op. cit. pg. 83;tivo delle tre Persone della divinità;tre tempi a somiglianza delle trePersone”. 11Tre grandi periodi, attribuiti “proprietatemysterii” ad ognuna delletre Persone divine. “Il primo stato èquello in cui fummo sotto la legge,il secondo quello in cui fummo sottola grazia, il terzo, che attendiamoda vicino, quello sotto una maggioregrazia; il primo nella luce dellestelle, il secondo nell’aurora, il terzonel meriggio; il primo nell’inverno,il secondo nell’inizio della primavera,il terzo nell’estate; il primo statoappartiene al Padre, che è creatoredel tutto; il secondo al Figlio, che siè degnato di assumere il nostro fango;il terzo allo Spirito Santo di cuidice l’Apostolo: dov’è lo Spirito delSignore, ivi è la libertà”. 12 In questeimmagini risalta sempre chiaral’idea della spinta ascensionale dellastoria verso un punto di pienocompi mento. Il movimento intimodella vita intratrinitaria diventa ilsimbolo e il modello della vicendastorica. Perciò, se la prima età èquella che rispecchia i caratteri dellaprima Persona, il Padre, e la secondaquelli del Figlio, la terza deve esserenecessariamente quella dello Spiritoe sarà l’età perfetta e conclusiva, cosìcome lo Spirito Santo, procedendodal Padre e dal Figlio, chiude il circolotrinitario.Va comunque chiarito che “lo statodel mondo è tutto e insieme delPadre, del Figlio e dello SpiritoSanto” 13 .Secondo il simbolismo della figuradei tre cerchi intersecantisi e compenetrantisi,c’è un’intima connessionefra le tre età della storia, ognuna dellequali nasce da quella precedente,mentre, per quanto riguarda le rela-11 Gioacchino, “Liber Concordiae”,II,1,6,9 a ; IV,2,44 a ;12 Ivi; V,84, 112;13 Gioacchino, Expositio in Apocalypsim,5 VI;


Il teologo 83zioni intratrinitarie, si evidenzia l’intrecciodell’unità dell’essenza e dellatrinità delle Persone e insieme la loromutua compenetrazione o pericoresi,sia nella vita “ad intra” che inquella “ad extra”.‘’L’età dello Spirito non rappresentail superamento dell’economia delFiglio e del Nuovo Testamento, masolo il compimento e la pienezzadell’età di Cristo, il suo pleroma” 14 .Comunque si coglie nel pensiero diGioacchino una tensione utopicaverso un’età che segnasse un eventocarismatico che avrebbe portatoad una svolta radicale nella storia enella vita della Chiesa, ad una comprensionenuova e spirituale delmessaggio evangelico: perciò l’etàdello Spirito e dell’Evangelo eterno.L’annuncio di questa terza etàè particolarmente sottolineato nelmessaggio di Gioacchino, anzi nerappresenta il culmine.Con un grande e originale sforzo diimmaginazione, egli spostò in avanti,nel periodo del tempo avvenire, lapiena manifestazione dello Spirito;secondo l’Abate, questo eventoavrebbe dovuto avere inizio pochidecenni dopo la sua morte e, secondolo stile dell’apocalittica biblica,dopo una serie di terribili calamità edi gravi rivolgimenti che avrebberooperato una profonda trasformazioneanche all’interno della Chiesa.Gioacchino, dunque, afferma l’unità- unicità del Nuovo Testamento econsidera l’azione dello Spirito nelterzo stato non in contrapposizionema in continuità con quella delCristo, per il pieno compimento diquesta: unico è il tempo della grazia,ma nulla esclude, anzi tutto fa pensareche nell’unico “tempus gratiae”si abbia un tempo di maggiore o piùampia grazia (tempus maioris gratiae),che è appropriato appunto alloSpirito Santo.14 A. Crocco, “Gioacchino da Fiore ed ilgioachinismo”, Ed. Liguori, Napoli, 1976,pg. 76;“L’aspetto grandioso di questa concezioneè che essa salda la vicendaumana alle sue radici eterne e coglielo svolgersi dei tempi non come sospesonel nulla e perciò condannatoall’insensatezza, ma come fondatonel procedere delle stesse divinePersone, in un movimento di vitache viene da ciò che è più della storiae tende nella storia a ciò che lasupera. La Trinità diventa il senso ela forza della vicenda umana, l’origine,il luogo e la meta della storia.Nel pensiero dell’Abate calabresela circolarità ermeneutica è perfetta,sia pure nell’acerbità di una intuizioneanticipatrice: dall’economia egliva all’immanenza del mistero, pertornare dall’immanenza della vitadivina alla storia e leggerne il sensoprofondo, trinitariamente fondato.La storia di rivelazione rimanda cosìalla gloria e questa offre la chiavedi lettura della storia, di cui si ponecome origine e supremo compimento.In Gioacchino il ritorno alla storianel pensiero della Trinità ne fa riscoprirela forza esistenziale salvifica,la dinamica ultima di profezia nellasperanza: una speranza viva fondatanella maniera più radicale nel significatotrinitario della storia” 15 .La posterità spiritualedi Gioacchino da Fiore“È proprio del genio andare al dilà del proprio tempo; è proprio diGioacchino sentire interiormentee annunciare con molto anticipo ilmutamento dei tempi che si prepara,anche se la realtà storica, presentandosi,assume un volto assai diverso,anche se talune sue idee riappaionosolo dopo secoli. Sia che il profeta daFiore sia stato un eretico o un santo,un genio o un ispirato, che lo si pren-15 B. Forte op. cit. pg. 84-85;da come un autentico rinnovatoredi un cristianesimo originario o perl’iniziatore di una religione e di unasocietà completamente nuove, comecolui la cui dottrina avrebbe condottoil cristianesimo alla perfezione oavrebbe teso, al contrario, alla suaperversione, si avrebbe torto misconoscendonel’importanza. 16È questo il giudizio di H. De Lubac,che ha scritto due corposi volumidedicati alla ricerca degli influssidi Gioacchino sugli uomini delsuo tempo o anche dei tempi successivi:“La posterità spirituale diGioacchino da Fiore”. Egli si chiedese la sua visione teologica “era unasemplice dottrina fastidiosa, unacorrente marginale, un episodio effimeronella storia cristiana o, al contrario,un fenomeno di straordinariaportata, dal seguito incalcolabile” 17 .La risposta è affidata alla citazionedel giudizio di alcuni studiosi, comead esempio K. Lowith, che riconosceGioacchino come caposcuola deipiù potenti movimenti spirituali esociali degli ultimi secoli. Ma il suoinflusso vie ne rilevato già ai suoitempi. A lui si rifaceva quella correntedi spiritualismo estremista,sviluppatasi dalla grande ricchezzadi vita religiosa del medioevo, cheacquistò larga diffusione e importanzaanche nel mondo laico. L’ideadi un rinnovamento della Chiesa,da raggiungersi sopprimendone lapotenza terrena, dominò, frammistaad ideali politici di varia natura,per tutto il medioevo nella mente dimolti, fino al punto da dare origine avere e proprie sette, come quelle deifraticelli. Queste aspirazioni al rinnovamentotrovarono l’espressionemigliore in successivi movimentiortodossi, specie in quello francescano,che comunque non è dipendentedal messaggio gioachimita quanto16 H. De Lubac, “La posterità spirituale diGiacchino da Fiore” Ed. Jaca Book, Milano,1983, pp. 485-486;17 Ivi;


84 Il teologoall’ispirazione originaria. Influssigioachimiti diretti e indiretti sonostati ugualmente rilevati nel profetismosavonaroliano, nella filosofiadella storia di G. B. Vico, nelle aspirazionidi Cola Di Rienzo, e perfinoin Mazzini.Ma il gioachimismo non è solo riconoscibilein contesti completamentesecolarizzati. Esso ispira, come forzaancor viva, movimenti spiritualiche non vogliono uscire dai confinidel cristianesimo. Così, ad esempio,attraverso la penna di Leroy EdwinFroom, gli Avventisti del settimogiorno si sono sforzati di mostrareGioacchino come uno dei loro precursori.Anche la teologia cattolicacomincia a prendere molto sul serioil Calabrese” 18 .Influsso grande e profondo il pensierodi Gioacchino ha esercitato nell’ambitodella teologia trinitaria, alla qualeha indicato sentieri veramente nuovi,che oggi finalmente vengono percorsiin quel travaglio di rinnovamento,che si è andato man mano sviluppandonell’epoca successiva al ConcilioVaticano II e che ormai sta producendoconsistenti risultati in questo settoredel panorama teologico.18 Ivi, pp. 486-487;I nuovi orientamenti, superandol’impostazione astratta della manualisticatradizionale, si riaggancianosoprattutto al dato biblico ealla testimonianza della comunitàdelle origini. Così la Trinità, diventatacon la scolastica un mistero ontologico,ritorna a configurarsi comeun mistero soteriologico ed il Diocristiano viene ricercato soprattuttonell’evento del Cristo, culmine ditutta la storia della salvezza.Questa nuova tendenza è espressain lucida sintesi nell’assioma fondamentaleformulato da K. Rahner: laTrinità economica è la Trinità immanente.Esso vuol dire innanzitutto,sul piano della conoscenza di Dio,che l’unico luogo per un discorso fedelesul mistero di Dio è la storia dirivelazione, che comprende eventie parole intimamente connessi, attraversoi quali Dio ha narrato nellanostra storia la Sua storia: la Trinitàcom’è in sé (immanente) si dà a conoscerenella Trinità come è per noi(economica); uno e identico è il Dioin sé e il Dio che si rivela, il Padreper il Figlio nello Spirito Santo.Questa corrispondenza di economiae immanenza del mistero è palesenella figura di Gesù Cristo, il Figliodi Dio incarnato, trasparente immaginedel “Dio invisibile”(Col. 1,15).Il rapporto che lo unisce a Colui chelo ha inviato e allo Spirito, che egliriceve ed effonde, rivela una relazionecorrispondente nella profonditàdella vita divina.Oggi, è in atto lo sforzo di nutriremaggiormente la speculazione teologicadi dati biblici, in modo da riconoscerela Trinità immanente o insénella Trinità economica o per-noi,di attuare il recupero di una teologiatrinitaria più biblica e dunque piùlegata alla fondamentale categoriadella “storia della salvezza”: una teologiache consenta perciò al misterotrinitario di assumere un’autenticacentralità non solo nelle enunciazionidella fede ma anche nella fedeconcreta, nella vita morale e nellaspiritualità cristiana, come anchenella vita ecclesiale e sociale.Si riprende così dopo secoli l’intuizioneprofetica di Gioacchino che haavuto il merito di trasformare il misterotrinitario da teorema teologicoe da oggetto di prevalente speculazionemetafisica, quale era in generenei teologi scolastici, in una realtà,pur sempre trascendente e sacra, mapresente e operante nella storia.


Il teologo 85a fiancoLe finestre medioevali del primo nucleo delNuovo Monastero di San Giovanni in FioreL’immagine dellatrinità nell’uomo e nellacomunità degli uominiUn capitolo certamente nuovo, maanche più rilevante e interessante, neltrattato sulla Trinità, è proprio quellosulla Trinità vissuta. Un capitolo cheintenda mostrare come “la verità primordialedella fede cristiana sia fecondaanche di grandi conseguenze sulpiano esistenziale: la persona umanaconsiderata in se stessa e nella sua relazionefamiliare, sociale, ecclesiale, sipresenta come un’icona della Trinità,una sua immagine e una sua proiezionescolpita nella storia. La Trinitàè il nostro modello personale, familiare,sociale, ecclesiale. Oggi la teologiaè fermamente convinta che la dottrinadella Trinità è fondamentalmente unadottrina pratica dalle conseguenze radicaliper la vita cristiana” 19 .Già nel 200 d. C. così scriveva MinucioFelice: “non possiamo conoscere l’essenzadell’uomo se prima non abbiamoesaminato con cura l’essenza diDio” 20 . Nel mistero del Dio cristiano,19 G. Forsini, “La Trinità Mistero Primordiale”Ed. Dehoniane, Bologna 2000, p. 11;20 Minucio Felice, Oct. 10,3 (CSEL 2,14);unitrino, si trova la chiave per la conoscenzadell’uomo: emerge il significatoprofondo e determinante delladimensione trinitaria in Dio per lavita umana in tutti i suoi aspetti.Il Dio di Gesù Cristo si è rivelatocome amore, come intima comunionedi persone, nell’eterno dinamismodel reciproco dono e della reciprocaaccoglienza, nell’inesauribile vivacitàdi relazioni interpersonali. Ora, sel’uomo è creato a immagine di Dio,del Dio tripersonale, deve portarne insè i tratti essenziali: egli vive in questecoordinate trinitarie. Sull’immagine esomiglianza divina, che l’uomo portain sé, si fonda tutto l’ethos umano. L’uomo è persona per questo essenzialeriferirsi all’altro, per questa essenzialeapertura all’altro: la relazionalità èper la persona il tratto distintivo; essasi realizza innanzitutto nel modellodell’accoglienza e del dono. La dottrinasuIla Santa Trinità sta alla basedell’antropologia cristiana.Questa, a sua volta, sostiene anche ladimensione comunitaria della società,ispira un modello di società comeicona della Trinità, come comunità trinitariae quindi personalistica: una comunità,“in cui sia rispettata la dignitàdi ciascuno, la sua autonoma creatività,il suo essere originale e irripetibile,in cui queste differenti originalità sappianoconvergere in comunione; unacomunità autenticamente umana chesappia accogliere ognuno in forza nondei suoi meriti ma del suo sempliceesistere, nel rispetto di ciò che egli è,nell’accettazione della sua diversità, e,perfino, del suo niente. La Trinità nonè una formula che si lascia trasporreper semplice deduzione analogica:essa è molto più un orizzonte che citrascende, un luogo in cui porsi semprenuovamente, una storia d’amorein cui inserirsi e da narrare attraversoscelte di giustizia e di libertà nelle operee nei giorni degli uomini. L’eternocosì viene a raccontarsi nel tempo, attraversoi poveri gesti della solidarietà,della riconciliazione, della libertà donatae ricevuta, della passione per lagiustizia più forte di ogni sconfitta” 21 .È il messaggio più specifico che provienedalla teologia latino-americana,il cui punto più originale consiste nelvedere nella Trinità una fonte ispiratricedi critica sia della struttura socialeche ecclesiale e di un progettodi liberazione integrale, soprattuttoin favore dei poveri e degli oppressi.“La comunione trinitaria si oppone21 B. Forte op. cit. pg. 181-184;


86 Il teologoall’individualismo, all’isolazionismoe all’essere persona asociale; si opponetanto al capitalismo liberale quantoal socialismo: il primo spersonalizzale persone riducendole a mezzo diproduzione, il secondo ne annulla ledifferenze. La comunione trinitaria sioppone alle società chiuse: ad imitazionedella società delle Persone divine,che apre se stessa alla creazione,le società delle persone umane devonospalancare i loro confini. La comunionetrinitaria si oppone, infine,al gerarchismo nella chiesa” 22 .La Trinità, come storia da narrare,non è un astratto teorema celeste: nelsuo rivelarsi salvifico essa si presentacome l’origine, il presente e l’avveniredel mondo; il grembo adorabilmentetrascendente della storia.La storia divina dell’Amore, che è laTrinità, può essere proposta all’umanafatica del vivere come capace dirischiarare la strada, di sostenere lamarcia, di contagiare la speranza” 23 .In questo grembo trinitario va ripensatala condizione umana, la comunitàdegli uomini e la Chiesa, in cui si preparagià, attraverso i quotidiani gestid’amore e la celebrazione attualizzantedel mistero, la futura rivelazionedella gloria dell’amore, quando lastoria degli uomini si congiungerà persempre all’eterna storia di Dio. La teologiaviene così a pensare storicamenteDio e teologicamente l’uomo, storicamentela Trinità e trinitariamente lastoria, a partire dalla vita, dal concretofarsi odierno della storia, con i suoi poveriantichi e nuovi, con le sue cadutedi senso personali e collettive, con latentazione, così frequente soprattuttofra i giovani, delle fughe dalla storia,con le sue tante domande inevase e letante risposte insufficienti.* Vicario generale dell’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano e docente di Teologia dogmatica22 Mowry Lacugna, “Dio per noi. La Trinitàe la vita cristiana” Ed. Queriniana,Brescia, 1997, pg. 284;23 B. Forte op. cit. pg 7-8;


Il teologo 87Modello storico ternario e modellosettenario delle tribolazioniLa visionedella storiaGioacchino daFiore è celebreper la suaconcezione ternariadella storia. Comeattestano numerosi passi,i più celebri dei quali sononel capitolo 84 del V librodella Concordia e nel capitolo5 (De tribus statibusmundi) del Liber introductoriusdel grande Commentoall’Apocalisse, egli suddividela storia in tre grandiepoche (status), ciascunadelle quali improntata daun differente ordo e da undiverso rapporto con laRivelazione divina. Il primostatus, spettante all’ordodei coniugati e all’AnticoTestamento, è l’epoca delPadre, posta sotto la leggedi natura e la legge scritta.Il secondo, spettante all’ordodei chierici e al NuovoTestamento, è l’epocadel Figlio, posta sotto lagrazia. Il terzo, spettanteall’ordo dei monaci e all’interpretazionespiritualedell’Antico e del NuovoTestamento, è l’epoca delloSpirito santo, posta sottouna grazia più perfetta.Il primo status va dunqueda Adamo a Gesù Cristo.Il secondo fa la sua primacomparsa già al tempo delre Ozia e, passando attraversoGesù, giunge sinoal tempo di Gioacchino. Ilterzo si profila al tempo diS. Benedetto ed è destinatoa manifestarsi in pienaluce dopo la quarantaduesima(ovvero dopo la quarantesima)generazione apartire da Gesù Cristo.A questo schema si connettel’altro, ugualmentecelebre, della doppia seriedi tribolazioni, connessoalla visione apocalitticadei sette sigilli. Gioacchinoritiene che i sette sigilli dicui parla l’Apocalisse (5,1-8,1) si riferiscano alle settetribolazioni subite dal popoloebraico nel periodocompreso fra Mosè e Gesù,e che le relative “aperture”,rese possibili dallavenuta di Gesù Cristo, significhinole sette tribolazionisubite dalla Chiesanel tempo compreso tra lavenuta di Gesù Cristo e lafine del mondo, in perfettacorrispondenza con leprecedenti. Ogni aperturamanifesta il significatoprofondo della corrispondentetribolazione subitadal primo popolo.Il presupposto del dupliceLiber Figuram - TavolaAlberi Concordisticischema delle tribolazionirisiede nella concordia,cioè nella dottrina secondocui sarebbe possibileistituire una perfetta corrispondenzafra vicende,avvenimenti e personaggidel popolo ebraico evicende, avvenimenti epersonaggi del popolo cristiano.L’istituzione di talesistema di corrispondenzenon si fonda – così almenopretende Gioacchino – supresupposti arbitrari, bensìsu precisi computi aritmetici,capaci di correlarein modo incontrovertibilele generazioni dei due popoliposte alla medesima“altezza” lungo il decorsodelle rispettive storie.A questo proposito va rilevatoche un elementocostitutivo della visione diGioacchino è rappresentatodalla sua attitudine alcalcolo e dalla sua pretesadi conferire una razionalitàprofonda alle diverseparti del sistema. Tale razionalitàè per lui la razionalitàstessa dell’ordinedivino, della tassonomiache tutto ha stabilito in numero,pondere ac mensura.Proprio tale convinzionestimola l’Abate alla ricercadi soluzioni che possonoapparire ora fantasiose,ora ingenue, ora sottili, mache sempre rispondonoall’esigenza di coerenza edi esattezza che sostiene,regola e informa la sua visioneescatologica.


88 Il teologoSalvatore Oliverio *La Chiesa nell’età delloSpirito SantoUn modello ecclesiologico chenon comporta né la fine dell'episcopatoné della vita sacerdotale o religiosaIl problema della struttura e delleforme di vita religiosa dellaChiesa nell’età dello SpiritoSanto riguarda il futuro delleprincipali istituzioni della Chiesa:papato, episcopato, clero, sacramentied ordini monastici.L’ecclesiologia di Gioacchino ha unacostante inclinazione escatologica,nel senso che la Chiesa della terzaetà costituisce il modello ideale dicui egli cerca le radici e i tipi, i simbolie le profezie, in tutta la storiadella salvezza e nell’intero corpusdelle Scritture. L’avvento dell’etàdello Spirito Santo, che innoveràl’intera società cristiana, inaugurandoun breve e finale sabato terrenodi maggiore giustizia, pace e libertà,si realizzerà attraverso l’evoluzionespirituale della Chiesa, che assumeràforme di vita religiosa più pure,più contemplative, e proprio perquesto più attive dal punto di vistapastorale e più efficaci ai fini dellaevangelizzazione universale. La terzaetà della storia della salvezza nonsorgerà all’esterno della Chiesa istituzionaleo contro di essa, ma procederàdal suo interno e si instaureràgrazie ad essa.Il divino mistero della Chiesa si dispiegain forma organizzata all’internodella storia e pertanto la Chiesa ècoinvolta nel mutamento ed espostaai limiti, alla fragilità, agli errori ealle conflittualità della condizioneumana. Artefice e protagonista dellastoria della salvezza, drammaticamentein lotta contro le potenzedel male che la possono attraversare,scuotere e contaminare, ma chenon potranno prevalere su di essa 1 ,la Chiesa è orientata al compimentodel piano salvifico, che si realizzerànella conclusiva età dello SpiritoSanto prefigurata dal settimo giornodella creazione riservato alla ultimazionedelle opere e al riposo, dal regnosabbatico di Cristo e dei santi diAp. 20 e dal dominio che sarà datoai santi dell’Altissimo (Daniele 7,27),fra i quali continuerà ad essere sceltoil successore del sommo pontefice.Per Gioacchino il libro dell’Apocalissedi Giovanni contiene in formasimbolica il passato, il presente e ilfuturo della Chiesa: in parte è giàracconto, in parte rimane profezia.Preso dall’urgenza di una riformadella cristianità prostrata da mali ecorruzioni, impegnata in conflitti elacerata da divisioni, egli proclamala necessità del pentimento e del-1 Si vedano al riguardo le espressionidell’Aepistula prologalis o Testamento diGioacchino, "….le porte dell’inferno nonpossono prevalere nei suoi confronti (dellaChiesa), e, quand’anche momentaneamentesia sconvolta e colpita da tempeste,la sua fede non verrà meno sino alla finedei secoli ".C, p.6la conversione. Tra le sciagure deltempo (l’espansione minacciosa deiMusulmani, lo scisma della Chiesad’oriente, l’insorgere delle eresie edei falsi profeti, l’accanimento razionalisticodelle scuole di teologia,lo scontro con l’Impero che attentaalla libertà della Chiesa e attira il papatoin una contesa di potere mondano)Gioacchino include anchela corruzione della stessa Chiesa.Riferendosi al comportamento dimolti vescovi, egli scrive: "VerràCristo per espellere dalla sua casaquesti mercanti e far vendetta controi figli di Levi che si sono impinguatidella sostanza del crocifisso;si vendono e si comprano le chiese,si commette il sacrilegio di ammettereal chiericato tutti coloro cheambiscono ad esso per lucro; vengonorespinti quelli che vivono nelrinnegamento e nel nascondimento,mentre vengono associati al clero inmodo indifferente coloro che possiedonoastuzia" 2 . Altrettanto severo èl’attacco rivolto ai monaci: "In realtà,anche molti abati in occasione diprivilegi e per la cura dei beni ecclesiastici,immergendosi nelle faccendesecolari, hanno perduto del tuttoil dono di contemplare la realtà delcielo" 3 . E ancora: "Dal tempo di san2 T, 243-2483 C, f 94 b-d


Il teologo 89a fiancoCattedra Papale a San Giovanni inLaterano (Roma)Benedetto, sotto cui il popolo cristianofu confermato nella fede cattolica,è scomparsa dal mondo quellaperfezione della vita eremitica nelmomento in cui i monaci cominciaronoad avere fattorie e contadini ea non avere della gloria monasticaaltro che il nome" 4 . Altrove nota che"i monasteri hanno trascurato nonpoche regole di San Benedetto; hannovoluto essere ricchi sotto la regoladella povertà" 5 .Per Gioacchino da Fiore il conflittocon l’Impero costituisce un grave fattoredi crisi per la Chiesa. Come gliantichi re di Babilonia opprimevanoIsraele, così gli imperatori tedeschiopprimono la Chiesa, che ad essideve contrapporre non una superbadimostrazione di forza, ma una umilee purificatrice capacità di sopportazionelottando solo con armi spirituali:"Ritieni tu di poter difendere latua libertà, anche se giusta e in nomedella fede, con una legione di armati?Fa’ dunque ciò che ti è possibile,finché puoi, con la armi spirituali:se non puoi vincere con queste, fattida parte" 6 . Analogamente l’Abate4 C, 101 r25 E,80 V 1-26 Ioachim Abbas Florensis, Intelligentiasuper calathis, edizione critica di Pietro DeLeo, in Gioacchino da Fiore Aspetti ineditidella vita e delle opere,Rubbettino, SoveriaMannelli, 1988, pp. 143-144.si dimostra perplesso sulla crociataarmata per la riconquista dei luoghisanti e la propagazione della fede:"Forse avverrà che i Cristiani riuscirannoa prevalere più con la predicazioneche con le armi" 7 .L’avvento di una Chiesa più spiritualesi realizzerà nella terza età dopo lasconfitta dell’Anticristo ad opera diuomini spirituali, contemplativi e attivinello stesso tempo 8 , guidati da unpredicatore di verità, che Gioacchinovede preannunziato nell’angelo possentee luminoso di Apocalisse 10 9 .Questi uomini nuovi costituisconoun fattore inedito nell’orizzontedella Chiesa. Essi daranno inizio adun novus ordo inteso non come istituzionemonastica, ma come nuovoordine spirituale e nuova forma divita religiosa. La Chiesa della terzaetà non sarà pertanto caratterizzatadalla preminenza gerarchica dei monacisui chierici e sui coniugati, madalla diffusione universale dei preziosifrutti ereditati dalla spiritualitàmonastica: lo spirito di povertà, lacapacità di coniugare la vita attivacon la vita contemplativa e il lavorocon la preghiera, e inoltre l’esercizio7 E. 164 v2.8 Su questa duplice caratteristica dei ViriSpirituales cfr. M. Reeves, The influence ofProphecy in the Later Midle Ages. A Study inthe Joachimism, Oxford, 1969, p.141.9 E., III, 137 r.della fraternità e della solidarietà, larisolutezza nel darsi e nel rispettareregole comuni rinunciando ad ogniforma di privilegio. I viri spiritualesoperano nella fase terminale dell’etàdel Figlio e in quella iniziale delloSpirito Santo 10 , durante la quale laloro azione sarà riconosciuta, sostenutae incoraggiata da un papasanto che Gioacchino vede profetizzatonell’angelo che sale da Orientesegnato con il sigillo del Dio viventedi Apoc. 7,2, al quale "sarà data pienalibertà per innovare la religionecristiana e per predicare il verbo diDio" 11 . Ciò accadrà nella quarantaduesimagenerazione dall’incarnazione,che è simmetrica e specularealla quarantaduesima generazionedopo Giacobbe, nel corso della qualeZorobabel salì con molti seguaci daBabilonia a Gerusalemme dove ricostruìil tempio che era stato distrutto.La figura del papa angelico innovatore,contemplativo e predicatore,iniziatore della Ecclesia Spiritualis delterzo stato, dimostra che il papatoavrà una funzione attiva e maieuticanei confronti dell’atteso rinnovamento.Nell’età dello Spirito Santoil papato sarà esaltato: "Il successoredi Pietro, - scrive Gioacchino - chesarà in quell’epoca fedelissimo vi-10 Cfr. pp. 265-266.11 C, p 402


90 Il teologoa fiancoCittà del Vaticano.La Basilica di San Pietrocario di Cristo, si eleverà a sublimialtezze, perché si adempia la profeziadi Isaia: "Il monte della casadel Signore negli ultimi tempi saràstabilito sulla vetta dei monti e siinnalzerà al di sopra delle colline.Vi affluiranno tutte le genti e moltipopoli verranno e diranno: venite,ascendiamo al monte del Signore ealla casa del Dio di Giacobbe, egli ciinsegnerà le sue vie e noi cammineremoper i suoi sentieri" 12 . In un passodella Concordia l’abate dichiara:"Non verrà dunque meno, non siamai, la Chiesa di Pietro, che è il tronodi Cristo, ma rinnovata a maggioregloria rimarrà stabile in eterno". 13Nella terza età "il romano ponteficesarà privo della gloria e degli onoriconsueti" 14 e "il potere temporaledella Chiesa sarà diminuito" 15 ; ilpapa avrà proprio per questo prestigioe un maggiore potere spirituale.Alcuni studiosi hanno attribuito aGioacchino la prefigurazione di unaChiesa senza sacramenti, e addiritturasenza papato e senza gerarchia,una Chiesa di soli monaci ed eremiti.H. Grundmann, per esempio,cita una frase di Gioacchino, il qua-12 C, ff 22c13 C, V, 65, f 95v214 L.F.,tav. X15 L.F., tav. IVle, per indicare i 1260 anni dell’Etàdel Figlio, li definisce come quelli"in quibus consistunt novi testamentisacramenta (C,V,89,118a)" 16 . Egli nededuce che i sacramenti, intesi comeriti visibili ed efficaci della grazia divina,sono propri dell’età del Figlioe spariranno pertanto nell’età delloSpirito Santo. Ma il termine sacramentumsignifica anche mistero enel latino ecclesiastico medievaleviene usato in senso generale per indicare"le cose sante significate dallaScrittura" 17 In questo contesto, inpiena coerenza con la struttura concettualedel linguaggio e dell’esegesigioachimita, la parola sacramentasignifica i profondi significati spiritualirelativi all’insegnamento diCristo ed agli eventi della storia dellasalvezza durante l’epoca del nuovotestamento, cioè durante l’età delFiglio. I sacramenta sono gli enigmidel testo scritturistico e della storia.Scrive Gioacchino: "E’ necessarioche molti misteri, che finora sono rimastinascosti negli scritti dell’uno edell’altro testamento vengano svelatinel sesto tempo" 18 ; "Nel terzo stato16 Cfr. H Grundmann, Studi …., p11617 (Si veda Corpus Christianorum. LexiconLatinitatis Medii Aevi, Brepols, Turnholti,1986).18 E. 195 v2i misteri saranno chiari e aperti aifedeli, perché con l’evolversi dell’etàil sapere sarà moltiplicato" 19 . ScriveHenry Mottu: "Gioacchino non auspicòun’altra Chiesa; voleva semplicemente(niente di più, ma nientedi meno) la trasformazione di questamedesima Chiesa, la sua, alla qualeegli non aveva mai cessato di apparteneree dalla quale si aspettavail sostegno. Auspicava un vero pentimentonel senso pieno di questaparola, non solo delle persone maanche delle istituzioni" 20 . AntonioCrocco e Giovanni Di Napoli hannodimostrato ampiamente, con unalettura competente e aderente agliscritti di Gioacchino, che la Chiesadel Terzo Stato non comporta ladissoluzione della struttura e dellefigure della Chiesa istituzionale, mala loro esaltazione spirituale e la lororiforma in senso morale 21 .19 C 96v120 H. Mottu, La memoire……, p.27.21 Cfr. A. Crocco, Gioacchino da Fiore e ilGioachimismo, Liguori, Napoli, 1976, pp.91-114.Cfr. A. Crocco, Genesi e significato dell’etàdello Spirito nell’escatologia di Gioacchino daFiore, in Storia e messaggio in Gioacchino daFiore, Centro int. di studi gioachimiti, SanGiovanni in Fiore, 1986, pp. 197-224.Cfr. G. Di Napoli, Teologia e storia in Gioacchinoda Fiore, in Storia e messaggio…, cit.,pp. 127-138.


Il teologo 91a fiancoSan BenedettoLa successione del novus ordo non elimineràdunque i fondamenti istituzionalidella Chiesa, il papato e l’episcopato,ma ne cambierà la forma divita religiosa. La conversione invocatae prospettata da Gioacchino nonè né esteriore né superficiale, nonriguarda l’involucro ma la sostanza.Nei Tractatus super quatuor Evangelia,opera ultima rimasta incompiuta acausa della morte, Gioacchino scrive:"Dunque, quando si sarà manifestatonella Chiesa di Dio un talefanciullo (cioè il il novus ordo spiritualis)- che sia così contemplativo,giusto, sapiente, spirituale, e checosì possa succedere all’ordine deivescovi, stabilito dal Signore perchélo segua nella vita attiva, allo stessomodo in cui Salomone succedette alre Davide, e Giovanni Evangelista aPietro principe degli Apostoli, o megliocome lo stesso Cristo succedettea Giovanni Battista - lieto e confortatoin essi sosterrà in modo equanimee patirà i tormenti dell’Anticristo,sapendo quello che gli dice ilsuo Signore in Pietro: Quando saraivecchio un altro ti cingerà le vesti e tiporterà dove tu non vuoi (Giov. 21,18) 22 . La successione del pacificoSalomone al bellicoso re Davide avvieneall’interno e nella continuitàdel Regno inteso come istituzione.La successione non dissolve l’istituzione,ma ne presuppone sul pianostorico e ne esige sul piano logicola permanenza e la stabilità; anzi,quando è migliore la esalta, la rendepiù perfetta nella sua funzione. Allostesso modo Cristo, nel succedere alsuo precursore Giovanni Battista,non ne interrompe la missione, mal’assume e la compie in modo perfetto.Infine Giovanni evangelista,discepolo prediletto, più inclinealla vita contemplativa, succedettea Pietro, capo della Chiesa, più inclinealla vita attiva, non nel primato,ma per un diverso ordo, cioè peruna diversa qualità e proprietà dellaforma di vita religiosa e dell’azioneapostolica. Se infatti le cinque chiesefondate da Pietro rappresentanocinque virtù, le sette chiese fondateda Giovanni rappresentano i settedoni della Spirito Santo. 23 In questopasso dei Tractatus Gioacchino usail termine ordo proprio con questosignificato: "Sappiamo infatti che èla proprietà della forma della vitareligiosa e non la diversità di fedea far si che un ordine sia designatonel predecessore e un altro nel successore.Quando infatti un certo ordinecomincia ad essere consacrato,tanto a lungo conserva il medesimonome quanto a lungo non cessa diesservi una successione nella stessaforma. Se invece escono da esso alcunii quali, assunta una forma migliore,sono trasformati in meglio, aquel punto non si dice che appartengonoa quell’ordine ma ad un altroche procede da quello. Ma forse chivede che gli succede un tale frutto,può dolersi per il fatto che cessa diessere in lui una perfezione particolareove a questa ne succeda unauniversale?" 24 . Il fatto che un novusordo spiritualis, cioè una nuova formadi vita religiosa, succederà alla formadi vita religiosa in atto tra i vescovinon comporta la fine dell’episcopatocome funzione, ma significa, al di làdi ogni nominalismo, che l’istituzioneepiscopale svolgerà in modo piùperfetto il proprio ruolo attraversouna successione migliore. Parimentiil fatto che alla Chiesa di Pietrosuccederà la Chiesa di Giovanni,così come Salomone succedette aDavide nel regno, non significa cheverrà meno il papato, ma che allaforma di vita religiosa appropriataall’uomo Pietro, caratterizzata dallavita attiva, succederà nel papato laforma di vita religiosa appropriataall’uomo Giovanni, caratterizzata22 TT, p 8723 E, 79 rl24 T, p 87.


92 Il teologoa fiancoApocalisse degli Angeli, particolaredalla vita contemplativa. Dopo chesi è realizzato il significato di Pietro,si realizzerà nel papato il significatodi Giovanni: all’ordo Petri subentreràl’ordo Iohannis.Il tempo della Ecclesia spiritualissarà quello della piena esplicazionedel Verbo. La Chiesa nell’età delloSpirito Santo sarà ancora la Chiesadi Cristo. Essa sarà santificata dauna maggiore effusione della Graziadi Cristo attraverso una più abbondanteelargizione dei doni delloSpirito che nella Trinità procede dalPadre e dal Figlio e viene dal Padree dal Figlio inviato alla Chiesa inadempimento della promessa diCristo: "E io pregherò il Padre edegli darà a voi un altro Consolatore,perché rimanga con voi in eterno","ma il Consolatore, lo Spirito Santo,che il padre manderà in nome mio,vi insegnerà tutte le cose e vi ricorderàtutto ciò che io vi ho detto"(Giovanni XIV, 16 e 26), "...vi convieneche io vada; se infatti non mene andrò il Consolatore non verrà avoi. Ma se me ne andrò lo manderòa voi", "quando verrà quello Spiritodi verità, vi insegnerà tutta la verità;non parlerà da se stesso, madirà ciò che ascolta e vi annunceràle cose future" (Giovanni XVI, 7 e13). Gioacchino cita spesso nelle sueopere e soprattutto nei Tractatus superquatuor Evangelia questi passi delVangelo di Giovanni. Per lui "nonsi deve ritenere che in quel giorno(della Pentecoste) sia stato per tutticompiuto ciò che il Signore avevapromesso riguardo allo SpiritoSanto". 25 "Il Nuovo Testamento – affermaGioacchino - è gemello e quasiduplice" 26 . Lo stato dello SpiritoSanto è dunque interna all’economiadel Nuovo Testamento e costituisceil compimento o la piena manifestazionedell’età del Figlio. Lavisione della storia della Chiesa inGioacchino è assai più cristocentricadi quanto non si creda. Non c’è separazionedel Figlio dal suo Spirito,non c’è superamento dell’età delloSpirito rispetto a quella del Figlio,né subalternità dell’età del Figlio rispettoa quella dello Spirito, non c’èprocesso dialettico di tesi-antitesi,come ha temuto Henri De Lubac 27 .Henry Mottu, che nella sua tesi didottorato del 1977 aveva espressoal riguardo alcune sottili perplessità28 , in un suo maturo contributo del1986 dimostra di averle del tutto superatescrivendo tra l’altro: "La manifestazionedello Spirito è dunque,in ultima analisi, la piena manifesta-25 E. I, 57 v226 E 6 v127 Cfr. H. De Lubac, L’enigmatica attualitàdi Gioacchino da Fiore, in La posterità di Gioacchinoda Fiore, Jaca Book, Milano, 1983,vol. II, pp.531-532.28 Cfr. H. Mottu, La manifestazione …, cit.,pp. 289-291.zione spirituale dell’Età di Cristo,non di un’altra età" 29 . Poiché loSpirito Santo è continuamente inviatodal Figlio, dal quale eternamenteprocede all’interno della Trinità, nonè possibile che la sua azione sia sostitutivarispetto a quella del Figlio chelo invia 30 . Pertanto nel terzo stato delmondo operano a extra sia il Figlio inquanto inviante sia lo Spirito Santoin quanto inviato. Come dimostraBernard Mc Ginn: "per Gioacchinolo Spirito Santo non è sostitutivodella figura di Cristo né integra unaqualche insufficienza della sua operadi salvezza, per quanto la naturaprogressiva della comunicazioneche lo Spirito fa dell’opera di Cristoconferisce un aspetto particolare allaconcezione gioachimita delle missionidivine" 31 .Se con la resurrezione di Gesù inizial’intelligenza spirituale dell’AnticoTestamento, con l’invio delloSpirito comincia infatti la progressivaintelligenza spirituale del NuovoTestamento.* Già Presidente del Centro InternazionaleStudi Gioachimiti29 H. Mottu, La memoire…, cit., p.23-24.30 Cfr. Bernard Mc Ginn, L’Abate Calabrese,Genova, Marietti, pp. 187-191.31 B. Mc Ginn, L’Abate calabrese, cit., p. 191.


Cultura e attualità 93Liber figurarumnuova formadi comunicazioneUn nuovo simbolismo per parlare del Mistero agli uomini delsuo tempoIl Liber figurarum è forse l’espressionepiù affascinante della culturafigurativa gioachimita, che,in un elaborato gioco di simbolismiradicato nel complesso sistemadel simbolismo iconografico dell’artemedievale, traspone in immaginidi notevole bellezza formale e sottileingegnosità il pensiero e le ideedell’abate calabrese. L’opera occupa,pertanto, un rango centrale tra i testiattribuiti di Gioacchino da Fiore siaper la bellezza delle sue immaginisia per la sua intrinseca qualità disintesi di tematiche ardue e complesse,che ne fa un autentico compendiodelle principali teorie gioachimite.Gioacchino da Fiore assegnava alleimmagini un ruolo fondamentalenel processo di interpretazione delleSacre Scritture, come strumentoche permette di cogliere aspetti dellaVerità che sono celati alla mente edaddirittura sepolti sotto il velamendelle parole: l’immagine mostra ciòche si vede con l’intuizione interna.Nei suoi scritti Gioacchino fa ripetutamenteaccenno a queste intuizioni,vere e proprie folgorazioni chegli permettono di superare ostacoliconcettuali, penetrare il mistero ecogliere quasi misticamente l’oggettodella sua cogitatio, come un'esperienzapercettiva che emana da unprocesso interiore.Le figure che balzano vividamentedavanti agli occhi sono il risultatodi un rovello ansioso. Gioacchinocerca, pensa, si agita al cospetto diDio, e allo stesso tempo cerca, pensa,si agita al cospetto di immaginiviste di sfuggita durante studi rigorosie austeri, immagini dimenticateche appaiono all’improvviso le piùadatte per placare un tumulto interioreincarnando e circoscrivendoplasticamente ciò che il pensieronon riesce ad abbracciare con i suoiragionamenti.Quando i testi illustrati di Gioacchinopresero a circolare, nel primo periododel movimento gioachimita, eramolto viva l’opera di diffusione delleidee dell’abate di Fiore e tale attivitàassumeva spesso i toni di una propagandapiena di slancio e di calore,da farsi in qualunque momento e inqualunque ambiente, senza limitazionidi tempo e di spazio. Testi comeil Liber figurarum passavano di manoin mano tra i presenti e venivanocommentati ad alta voce da chi si facevaardente apostolo delle profeziedi Gioacchino. Le immagini potevanoessere rovesciate rispetto al testo,visto che sarebbero state compreseanche senza leggere le didascalie.La diffusione delle idee diGioacchino attraverso quella di immaginigioachimite iniziò subitodopo la sua morte. Il suo successore,l’abate Matteo, di concerto con Lucadi Cosenza si impegnò nell’opera ditrasmissione delle idee dell’Abate,rispettando il più possibile la lorooriginaria formulazione, e fu responsabile,se non dell’ideazione,almeno dell’esecuzione materialedel Liber figurarum, nel quale eranoraccolte immagini originali diGioacchino accompagnate da didascaliein parte attribuibili al teologoe in parte riadattate con una sostanzialefedeltà allo spirito delle sue teorie.Ben presto, tuttavia, all’internodel movimento florense, si generòun movimento autonomo, che siispirava alle idee di Gioacchino, mache non esitava ad integrarle conaltre teorie, solo in parte consonanticon il suo messaggio. Tale movimentoprodusse le Praemissiones,una sorta di edizione riveduta ecorretta del Liber figurarum, databileintorno alla metà del XIII secolo. Coltrascorrere del tempo le immagini diGioacchino e le sue stesse idee si diffuseroin modo autonomo, a volte,indipendentemente l’una dall’altra,vennero riprese da Ordini religiosi opiù semplicemente da gruppi di individuiassai eterogenei, che mescolaronoil messaggio di Gioacchino aun coacervo di idee e di immaginidesunte da altre tradizioni. Graziea questo trapianto, a questa rielaborazione,e perfino grazie ai fraintendimentie alle forzature, lo spirito diGioacchino sopravvisse all’internodi movimenti "gioachimiti", che tennerovivo nei secoli lo slancio ideale


94 Cultura e attualitàLiber Figurarum -Tavola delle sette etàverso il futuro dell’abate di Celico 1 .Gli studiosi si sono cimentati prevalentementenel compito di interpretarei significati delle circa ventifigurazioni, lasciando, tuttavia, perlunghi anni insolute questioni fondamentali,come quelle sulla paternitàe la datazione dell’opera 2 . Testopoliedrico e complesso, infatti, ilLiber figurarum, che per la sua stessacomposita natura richiederebbeun difficile studio di sintesi ispiratoa criteri multidisciplinari, capace1 Cf. F. Troncarelli, Il Liber figurarum tra“gioachimiti” e “gioachimisti”, in Gioacchinoda Fiore tra Bernardo di Clairvaux e InnocenzoIII, Atti del 5° Congresso internazionaledi Studi Gioachimiti. San Giovanni inFiore, 16-21 settembre 1999, a cura di R.Rusconi, Roma 2001, pp. 267-286, in partcolarep. 281.2 L. Tondelli – M. Reeves – B. Hirsch-Reich, Il Libro delle Figure dell’abate Gioacchinoda Fiore, II, Torino 1953, pp. 5-31.di spaziare oltre le trite polemichedel passato che hanno incapsulatoil dibattito e amputato le potenzialitàdelle scoperte impedendo il serenosvolgimento della ricerca, piùdi ogni altro scritto gioachimita harisentito su di sé le ripercussioni diuna certa resistenza dogmatica ditipo scientifico, che non ha permessodi valorizzare appieno le risorsedisponibili e di fare tesoro di alcuneacquisizioni mettendo d’accordole logiche di discipline diverse.Quando Leone Tondelli scoprì ilcodice reggiano del Liber figurarumsi scatenarono reazioni tutt’altro chepacifiche, motivate da pregiudiziideologici: studiosi come Russo oFoberti non potevano accettare cheGioacchino avesse composto testi ailimiti dell’ortodossia e contestaronola datazione del codice e la suapaternità, relegando l’opera nellamassa confusa di apocrifi prodottidai movimenti gioachimiti della secondametà del XIII secolo. La virulenzadi queste posizioni è stata taleche perfino chi, come la Reeves, harivendicato la paternità concettualedel Liber figurarum, non si è spintoal punto di affermare apertamenteche è stato composto dal teologo calabrese,invocando la presenza di unsegretario fidato che avrebbe raccoltoe organizzato materiale genuino.Appare, inoltre, ancora piuttosto insondatoil campo dello studio dellacultura figurativa di Gioacchino edei suoi seguaci, che ripensi al problemadelle fonti, delle illustrazionie del loro significato, seguendo la direzionedell’analisi delle componentilocali dell’iconografia gioachimita,le sue radici nelle tradizioni specificamentecalabresi, come quella rappresentatadalle immagini mnemo-


Cultura e attualità 95tecniche dei codici di Cassiodoro oquella delle illustrazioni circolantiin Italia meridionale con i suoi peculiarie specifici contatti con il mondobizantino, che risolverebbe aporieinsanabili per gli storici dell’arte edella miniatura, come quelle legateall’aspetto brillante e fiorito delleimmagini del manoscritto reggiano.Non risulta, invece, molto pertinenteun confronto analogico tra l’universo,la maniera figurativa gioachimitae le molte immagini affini presentinell’iconografia medievale, comead esempio l’Albero di Jesse dellopseudo-Ugo da San Vittore, dalmomento che la parentela è soltantogenerica e il paragone coglie unicamenteun'affinità d’epoca, spuntiin comune, tradizioni egualmentecondivise, ma non la specifica individualitàdelle singole esperienze: seè senza dubbio vero che Gioacchinoè un uomo del suo tempo e ne condividetendenze e cultura, altrettantoperò il teologo calabrese espressein sé una propria individualità,un’identità maturata nei lunghi annidi meditazione nell’ambiente calabresee nelle fondazioni cistercensi,su cui interviene un criterio del tuttoautonomo e originale di interpretazionedel rapporto tra immagine etesto, nonché tra immagine e concettoteologico.La figura va, così, ad assolvere inGioacchino una funzione spiccatamentedidattica. Per collocare nellastoria gli eventi futuri, Gioacchino,suddivide il tempo secondo un ordineche presenta antecedenti soprattuttonel metodo teologico-esegeticosviluppato, nel corso del XII secolo,dal pensiero di Ugo di San Vittore:il fine di pervenire alla conoscenzadel futuro si perseguiva medianteun procedimento – ampiamente radicatonella tradizione prescolasticadell’esegesi scritturistica e nel metodo«tipologico» – di concordanzadi fatti e personaggi dell’Antico edel Nuovo Testamento inseriti in uncomplesso ed articolato quadro diproporzioni e rapporti numerici, eperfino geometrici, che dà vita a unorganico sistema strutturale di concordanzetra tipi vetero-testamentarie antitipi della storia di Cristo, dicui il Liber figurarum rappresentauna sorta di «manuale» esemplificativo,un corollario didattico, cheillustra iconograficamente la concordanzadi volta in volta sviluppata.L’immagine dunque, non assume inGioacchino una ridondanza retoricache adombra la verità dietro un fittizioesempio figurato, ma divieneuna similitudo significans che si assumesolo a verità già percepita, ad usodi coloro che tardiores sunt ingenii.L’esegeta sfrutta, per così dire, l’immaginemateriale come via d’accessoa un significato spirituale che sidischiude non già nella dimensioneesteriore, ma all’anima. Gioacchinosi situa al riguardo nel ricco alveodella dottrina «psicologica» avviatada Agostino e ripresa, con nuoviapporti neoplatonici, da Ugo di SanVittore e dalla monastica bernardianae cistercense prima dell’avventodella scolastica e della sua caratteristicamaniera aristotelica.A tale collaudata didattica dell’immaginerispondono a pieno titologli alberi gioachimiti, che divengononell’esegeta un vero e propriostrumento concettuale irrinunciabile,con cui egli, a differenza deimodelli precedenti, senza terminarela linea delle generazioni con lefigure dei contemporanei – il Papae l’Imperatore – ma disponendo invecegli ordini monastici nello spaziotra l’Incarnazione e la secondavenuta di Cristo, illustra un motivocentrale della spiritualità monasticamedioevale, non proiettata verso ilsolo dominio astratto e intellettualedell’ascetica trascendente, ma autenticotramite che veicola l’umanitàverso quella età nuova di palingenesitotale della società cristiana, in cuil’attesa dello Spirito è posta sotto ilcontrassegno dell’ideale monasticopiù puro ed elevato incarnato dallatradizione cistercense. L’albero finisce,così, per costituire in Gioacchinoil motivo figurativo che meglio adattasul piano grafico il concetto disviluppo progressivo della storiacristiana attraverso l’insegnamentospirituale della Chiesa universale.Esso offriva, peraltro, il vantaggiodi richiamare un privilegiato legamecon la tradizione esegeticofigurativaantecedente, proiettandovisivamente in un ideale sviluppol’immagine dell’arca di Noè, giàampiamente in uso come emblemadella storia cristiana, dove la crocedel Logos, che divide la struttura,serviva a conferire all’insieme l’ideadella diversitas christianorum unificatadall’immutabilità dello Spirito.Gioacchino innova il motivo, partendodall’impiego del medesimosignificativo asse longitudinale, cheegli trasforma in albero, in cui l’ideadella storia come progressione e svilupposi mescola con buona evidenzaal concetto di continuità: il fustodell’albero, che è tipo dello SpiritoSanto, unisce ogni aspetto della storia,il cui andamento trova fondamentonelle radici, che raffiguranoil Padre, e si articola nei vari rami,dove è simboleggiato il Figlio chedal Padre stesso procede e a cui restasempre collegato.La figura viene, dunque, elevata daGioacchino a strumento didatticodeterminante, mezzo idoneo di unarappresentazione pittorica che intervienea completamento della parolae del testo laddove essi, alla ricercasoprattutto della significazione dellospirituale considerato come l’invisibilesenza materia, non trovano piùimmagini o metafore efficaci. Essafuoriesce così anche dall’arsenaleconvenzionale del repertorio simbolistaproprio dell’arte cristiana, cheaveva fino a quel momento rappresentatol’incorporeità con il ricorso astrumenti puramente allusivi come


96 Cultura e attualitàil fondo in oro o la mandorla.Nelle opere maggiori redatte negliultimi due decenni del XII secoloGioacchino sottolinea con insistenzala necessità della figurazione, senzalimitarsi a una semplice affermazionedi principio, ma fornendo puredelle istruzioni per la realizzazionegrafica delle figure che egli stessopoi commenta. Nella Expositio inApocalypsim e nello Psalterium decemchordarum le figure geometrichedel triangolo e del cerchio sono,così, al centro della sua riflessione,rispettivamente come strumentiper visualizzare la rivelazione progressivadella Trinità nella storia eper dimostrarne l’unità. Tali figureobbediscono a dei presupposti filosoficiplatonici e neoplatonici, siapure filtrati attraverso il vaglio dellaspeculazione cristiana: il numeroesiste ab aeterno nel pensiero divinoe struttura il mondo creato; in essoe per mezzo di esso si manifesta larazionalità divina; la figura geometricaè, pertanto, strumento concettualedi dimostrazione direaltà intelligibili. Le figuregeometriche di Gioacchinonon sono, dunque, meri prodottidi fantasia, ma obbedisconoa specifici presuppostifilosofici, scaturenti dalplatonismo agostiniano edei grammatici del XII secolo,di cui l’esegeta fa proprii termini tecnici della dialettica,assimilando le figuredel triangolo e del cerchio aisegni linguistici del discorsodivino: trovandosi all’incrociodei domini del sensibilee dell’intelligibile, le figuregeometriche esercitano unafunzione cognitiva e dimostrativaprivilegiata in rapportoalla Trinità delle personee all’unità della naturadivina.Se condivide con la teologiadel XII secolo l’opinioneche l’immagine è segno analogico direaltà spirituali, Gioacchino collocatuttavia le sue figure anche all’internodi un processo dinamico in cui ladimensione corporea dei segni diminuiscenella misura in cui appare illoro significato spirituale. Tale rivelazioneprogressiva trova conclusionealla fine dei tempi, quando la pienezzadelle scienze rende superfluoogni supporto corporeo di caratteresacramentale. In questa prospettivala scelta dell’esegeta si direziona,perciò, su segni ai quali il neoplatonismoaffidava uno statuto epistemologicodi semiomi naturali dallaconnotazione corporea minima: lefigure piane. Tra di esse Gioacchinosceglie quelle che sono delimitateda un numero minimo di linee, ilcerchio e il triangolo. L’impiego dellafigura geometrica in Gioacchinocostituisce, così, il punto d’apprododell’estetica romanica cistercense,in cui l’autore ha come sua specificafinalità quella di sottoporre deicontenuti spirituali a dei monaci permezzo di figure lineari e astratte.Qual era, dunque, il significatodell’opera prodotta dalla "bottega"di Gioacchino e concepita in lineadi massima fedelmente rispetto allasua "maniera"?Afferma in merito Marjorie Reeves,una delle massime studiose delle figuraegioachimite: «Il Liber figurarumrappresenta un sommario definitivoe rigoroso dei principali temi diGioacchino che erano lentamenteemersi nella labirintica esposizionedelle sue opere. Deve essere sembratonecessario ai suoi primi discepoli,davanti a quella che abbiamo definitoimmaginazione caleidoscopica delmaestro, fissare strutture portanti delsuo pensiero in una forma fissa».Tale opinione è avvalorata dal fattoche nelle figurae il Liber si presentavacome una sorta di appendice riassuntivadelle opere dell’Abate di Fiore,rispondente a un criterio di complementaritàrispetto alle opere maggioriche i primi discepoli di Gioacchinodovettero avere ben presente.Liber Figurarum - Tavola delDrago dalle Sette Teste


Cultura e attualità 97Marco Rainini *Il pensiero simbolicodell'Abate calabroLe Figurae per elaborare il suo complesso e profondo pensieroNella vasta opera dell’abateGioacchino da Fiore(†1202) lo scritto che, fraquelli databili con certezza,possiamo ritenere il più antico –la Genealogia antiquorum patrum, del1176 – è la descrizione di un albero.Siamo dunque agli albori della suaattività di scrittore: sono trascorsi,con ogni probabilità, dieci anni circadal suo ingresso nel monastero diCorazzo, in Calabria; cinque-sei annial massimo dalla sua elezione adabate. Tuttavia, il testo mostra già almenoalcuni elementi fondamentalidella sua speculazione e del suo metodo:in particolare, appunto, l’abatefa già riferimento a una figura, ea una figura di albero. L’immaginedescritta corrisponde a una delletavole raccolte nel cosiddetto «LiberFigurarum», la collezione di diagrammie disegni di Gioacchino testimoniatain alcuni manoscritti. Vaprecisato che, con ogni probabilità,le copie che possediamo non sonoautografe, ma copie degli originalistesi dall’abate, databili entro il secolosuccessivo alla sua morte.La storiografia suddivide – con qualcheapprossimazione – le immaginiattribuite o attribuibili a Gioacchinoin tre gruppi: «Liber Figurarum» esuoi «frammenti»; «Praemissiones»,ossia figure rielaborate dai discepolidopo la morte di Gioacchino, probabilmentesu schizzi originari, raccoltee in genere premesse allo scritto apocrifodell’Abate Super Esaiam; infine,«figure testuali», cioè figure integratenegli scritti e che in questi trovano riferimentiespliciti. A queste bisognaperò aggiungere altre immagini ancora,che testimoniano come tutta l’attivitàdi Gioacchino sia stata segnatadall’utilizzo di questi strumenti.La rilevanza delle «figurae» comeluogo di elaborazione del propriopensiero, prima ancora che comestrumento della sua comunicazione,è ben presente a Gioacchino, chespesso nelle sue opere si mostra coscientedi questa specificità: «organizziamouna figura, come è nostraabitudine», dice l’Abate proponendoun’immagine stilizzata, per mostrarei caratteri della sua dottrinatrinitaria. Le figurae sembrano quasiimplicate dal suo sistema: le simmetrie,i paralleli, le corrispondenze cheGioacchino stabilisce si comprendonoe si esprimono in maniera certamentepiù chiara e immediata nellelinee dei diagrammi, piuttosto chenella prosa e nella struttura, spessopoco chiare, delle sue opere scritte.Tramite la rappresentazione diagrammaticasi procede ad una sintesi,ad una sorta di condensazione deisignificati, che potrà essere soggettaad espansione da parte del lettore.Colui che si trova di fronte al diagrammadovrà insomma decodificarlo,e nel far questo potrà sceglierealcune fra le diverse piste di lettura,fra le diverse opzioni – i diversi percorsi– che le linee del diagrammaoffrono. Rispetto al testo scritto, infine,il diagramma presenta una capacitàsintetica che lo rende idoneoa rappresentare simultaneamenteciò che appartiene a ordini diversi, oche verrebbe introdotto in successionenel discorso.Le figurae di Gioacchino presentanodunque, almeno in genere, un assettomarcatamente diagrammatico; e tuttaviaquesto non basta a spiegarne néil carattere, né la specificità, e nemmenola potenza evocativa. Vi è unulteriore elemento, che rappresentauna componente qualificante dellateologia del XII secolo, e che tuttavia,ancora una volta, Gioacchino è ingrado di elaborare fino a esiti di notevoleimpatto. Si tratta dell’impiegodi elementi simbolici.Il problema di che cosa si debba intenderecon «elementi simbolici»,o con «simbolo», è evidentementemolto vasto. Limitiamoci qui a direche il simbolo è anzitutto un «segno»:con esso, quindi, secondo unadefinizione classica, «una cosa vienepresentata, e ne viene intesa un’altra».Tuttavia, a differenza di quantoavviene con un segno arbitrario,quale per esempio un segno matematico– una crocetta per l’addizione–, nel simbolo l’espressione riproducealcune proprietà di ciò a cui rinvia:vi è analogia; o piuttosto, vi è sempreun minimo di relazione naturale frasignificante e significato.Tutti questi caratteri li troviamo nellefigurae di Gioacchino. Facciamoun esempio, prendendo in consi-


98 Cultura e attualitàa fiancoLiber Figurarum - TavolaL'Aquila (Antico Testamento)derazione il diagramma dell’albero«dei due avventi», che per l’abate èimmagine dello sviluppo della storiadella salvezza. L’associazione non èarbitraria: l’albero rimanda a qualcosadi vivo, a qualcosa che si sviluppanel tempo, che cresce. E, d’altro canto,si tratta di una crescita che percorrediverse vie: il tronco si innalzalungo un solo ramo, fra i molti chesi allargano. Gioacchino sfrutta questacaratteristica mostrando comedei dodici rami che si dipartono dalnodo di Giacobbe, ossia delle dodicitribù di Israele, soltanto due, Giudae Beniamino, vadano a unirsi neltronco, mentre le altre dieci tribù siallontanano, per poi perdersi: nontorneranno dall’esilio di Babilonia.Uno sviluppo analogo lo conosconoi dodici rami delle chiese: solola Chiesa romana e quella di Efesorimangono a formare il tronco, laddovele rimanenti dieci, patriarcali edell’Asia Minore, erano lontano daesso. Altri elementi vengono chiamatiin causa dalla figura dell’Abate:all’altezza dello snodo fra il tempodell’Antico Testamento e quello delNuovo, troviamo l’immagine di uninnesto di una vite su un fico, comemostra la differenza di vegetazionefra i rami superiori, del tempo delNuovo Testamento, e quelli inferioridell’epoca veterotestamentaria. Perriassumere: l’idea di crescita; il diffondersidei rami, più o meno vicinial tronco, che si sviluppa anch’essoda altri rami; i frutti diversi; l’idea dicontinuità-discontinuità, ma anchedi un intervento in qualche modoviolento, implicata dall’innesto.Sono tutti elementi simbolici, che,lungi dall’esaurirsi nella spiegazioneche l’abate accenna nelle descrizioni,possono rinviare a ulterioririflessioni e chiavi interpretative.Tutti questi elementi contribuisconoa fare delle figurae di Gioacchino daFiore non solo degli oggetti di studiodi straordinario interesse, ma anchedelle immagini di grande fascino: unfascino che aumenta, man mano chese ne approfondisce la conoscenza.* Docente di Storia della Filosofiamedievale presso lo Studio FilosoficoDomenicano di Bologna


Cultura e attualità 99Marjorie Reeves *La terza età:il debito di Dante versoGioacchino da FioreIl Sommo poeta ha studiato sul Liber FigurarumLe denunce di Gioacchinosulla corruzione spiritualee la mondanità nella Chiesaerano convergenti con le invettivedi Dante contro i mali dellaChiesa e della società. Gioacchinoattendeva tra breve la tribolazionedel massimo Anticristo e l’apice delpeccato nelle alte gerarchie. Dantecredeva di essere già in quella crisi,poiché la Chiesa era stata trasformatanella meretrice e il gigantel’aveva portata via (Purg. XXXII,136-160). Tuttavia l’incrollabile fededi Gioacchino nell’opera della divinaTrinità nella storia lo condussesenza esitazione alla manifestazionefinale dello Spirito nella Terza Età.Per quanto riguarda Dante, sembraquasi impossibile che sia potutouscire dalla sua dura esperienzacome ottimista intorno al futuro. Lasua carriera a Firenze era stata brutalmentestroncata, le sue speranzepolitiche erano state distrutte con ilcrollo della spedizione dell’imperatoreEnrico VII; egli fu costretto adassaporare l’amaro pane dell’esilioper tutto il resto della vita. Tuttaviasembra che proprio alla fine egli attendevaun salvatore ed una rivoluzionespirituale. Nel Cielo StellatoSan Pietro diventa rosso dalla rabbiaper le malvagie azioni dei suoisuccessori e tutto il Paradiso arrossiscedalla vergogna. Allora Beatriceestende l’accusa alla società in generale:fede e innocenza si trovano solonei fanciulli prima che cominci lacorruzione; la cupidigia contaminaogni frutto sano. Tuttavia ella immediatamenteprorompe in una grandeaffermazione profetica: presto verràil tempo in cui le poppe delle naviinvertiranno la rotta e il buon fruttoverrà dopo il fiore (Parad. XXVII,28-148). Su che cosa Dante ha basatoquesta straordinaria affermazioneche sembrava andare contro tuttii fatti? La mia tesi è che la visionedi Dante traeva la sua forza da unalettura profetica della storia similea quella di Gioacchino, e che la suaNuova Età è la trasfigurazione politicadel Terzo Status di Gioacchino.Gioacchino e Dante aspettano l’unoun papato rigenerato, l’altro un imperorigenerato. E’ possibile che Danteabbia cambiato la profezia dell’unonell’altro? Qui giungo alla mia ipotesi.Nel quarto libro del Liber Concordiericorre una delle più sorprendenti epiù esplicite profezie di Gioacchinointorno alla leadership all’inizio dellaterza età. Essa si trova nel contestodelle concordie che egli stabilisce trale generazioni della vecchia economiae quelle della nuova. In questo simbolismonumerico la quarantaduesimagenerazione da Giacobbe, e, parallelamente,la quarantaduesima generazionedall’Incarnazione costituisconoi due grandi momenti culminanti.Nella quarantaduesima generazionedopo Giacobbe, Zorobabel, figliodi Salathiel, salì con molti seguaci daBabilonia a Gerusalemme e là ricostruìil tempio che era stato distrutto.Nella chiesa la quarantaduesima generazionedall’Incarnazione inizierànell’anno che solo Dio conosce. Inquesta generazione, quando sarà statasostenuta la tribolazione generale ed ilbuon grano sarà stato liberato da ognierbaccia, uno, quasi novus dux, saliràdalla nuova Babilonia, cioè il ponteficeuniversale della nuova Gerusalemmeche è la Chiesa. Anche Gioacchinotrova questo novus dux simboleggiatodall’angelo dell’Apocalisse che ascendedall’Oriente con il segno del Dio vivente.A lui sarà data piena libertà perinnovare la religione cristiana.Per Dante il Veltro troverà il suo sostentamentonon nella terra e nel denaro,ma nella sapienza, nell’amoree nella virtù, e riporterà la lupa dellacupidigia nell’Inferno (Inf. I, 103-111).Quando verrà – si chiede Dante – coluiper mezzo del quale la lupa andràvia? (Purg., XX, 13-15). Alla fine delPurgatorio Beatrice profetizza l’avventodi quel misterioso messaggerodi Dio, il Cinquecento dieci e cinque,che sarà erede dell’aquila romana edistruggerà il potere corrotto nellostato (il gigante) e nella Chiesa (la meretrice)(Purg. XXXIII, 37-45). Infine


100 Cultura e attualitàabbiamo nel Paradiso la profezia citata:le navi verranno affidate ad untimoniere, cosicché navigherannonella giusta direzione (Parad. XXVII,145-148). Molti studiosi hanno cercatoil significato dell’enigmatica profeziadi Beatrice alla fine del Purgatorioriguardante il Cinquecento dieci e cinquenelle cifre romane DXU (Purg.XXXIII, 43-45). E’ stato da lungo temporilevato che scambiando le cifre romanesi può formare DUX. Ed io stessaho creduto per molto tempo nellaconnessione tra il nuovo Zorobabel diGioacchino ed il futuro condottiero diDante. Un fatto singolare ha trasformatola mia opinione in un’ipotesiseria. Sapete la data in cui Zorobabelfinì il secondo tempio? Era l’anno 515a.C., Cinquecento dieci e cinque avantiCristo. La coincidenza numerica è sorprendente.La concordia gioachimitatra il vecchio e il nuovo Zorobabel sisarebbe armonizzata con la lettura diDante dei segni provvidenziali dellastoria. È possibile che egli abbia presoquesta profezia dal Liber Concordie,l’abbia trasformata in quella di unaguida politica e l’abbia celata nelladuplice traccia del dux e della data.Copie del Liber Concordie erano disponibiliin varie parti. Sappiamoche Dante ha letto opere di Ubertinoda Casale e di Pietro Giovanni Olivi.Appare verosimile che egli sia statoattratto dal Liber Concordie per il suometodo di concordanze.In breve: sembra esservi una ragionevolemotivazione per avanzarel’ipotesi che la profezia di Dante sulfuturo dux era basata sulla profeziagioachimita del novus dux, il qualein concordanza con lo Zorobabel del515 a. C. sarebbe apparso nel prossimofuturo per ricostruire la societàcristiana. Se così fosse, ciò implicherebbeuna relazione ancora più strettadi quanto già assodato tra il grandecalabrese ed il grande fiorentino.Testo desunto e tradotto da AA. VV.,L’età dello Spirito e la fine dei tempi inGioacchino da Fiore e nel gioachimismomedievale, Centro Internazionale distudi gioachimiti, San Giovanni inFiore, 1986.* Già docente di Storia medievale pressola Columbia University e studiosa delpensiero gioachimita


Cultura e attualità 101Maria Cristina Parise Martirano *Il calavreseabate Giovacchinodi spirito profetico dotatoGuardando nel suo Figlio con l’Amoreche l’uno e l’altro etternalmente spira,lo primo e ineffabile ValoreGià nell’esordio del canto Xdel Paradiso ( il primo deicanti dedicati al cielo delSole) si preannuncia, conl’allusione alla SS.Trinità, la presenzadell’abate Gioacchino che troveremoinfatti tra gli spiriti sapienti verso lafine del canto XII. È così che a Danteviene presentato da San Bonaventura,tra gli altri spiriti sapienti che compongonola seconda corona di beati, il nostroGioacchino da Fiore. In un’otticamondana, potrebbe apparire incomprensibileil fatto che Gioacchino stiaproprio "dallato" a S. Bonaventura,che, in vita, non solo aveva avversatolui stesso, considerandolo falso profetama anche i suoi seguaci combattendoaspramente gli spirituali gioachiniani.Allo stesso modo, nel canto X,tra i beati della prima corona, Sigieridi Brabante lo avevamo trovato allasinistra di S. Tommaso che, pure, avevaimpugnato fortemente le sue dottrine.Qui, siamo nel Paradiso e nelParadiso regna la pace... assoluta!Queste due presenze come beati,Gioacchino da Fiore e Sigieri diBrabante, per certi versi, al suo tempo,quasi in odore di eresia, dimostranoanche la larghezza di pensiero di Dantee la sua indipendenza di giudizio.Per quanto riguarda Gioacchino daFiore non bisogna credere che il riferimentoa lui si risolva nella breve citazioneriportata: un verso e mezzo!In fondo, la Divina Commedia è ispirataed animata dalla tensione innovatricee profetica dell’Abate, di cuiDante, come è apparso più evidentedopo la scoperta del Liber figurarumdi Gioacchino, riprende e rilancia figuree simboli, connessi con le attesedi rinnovamento morale e spiritualedella cristianità. Infatti, come è statoevidenziato più o meno da tutti glistudiosi dell’opera dantesca, forte è,se non proprio l’influenza, almenol’affinità col pensiero gioachimita cheaffiora già fin dal primo canto dell’Inferno,nella profezia del Veltro/DUX.Importanza centrale per Dante comeper Gioacchino da Fiore, riveste lamissione militante e salvifica dellaChiesa nell’opera di redenzione religiosae politica della società cosìcome ugualmente importante è, perentrambi, la responsabilità dellaChiesa stessa nell’allora attuale situazionedi generale degrado e corruzione.Entrambi denunciano chele forze del male si annidano spessonel seno stesso della Chiesa e inciò sono evidenti i richiami al testodell’Apocalisse, cui Gioacchino dedicavarie opere, il cui influsso si avvertenella Commedia, dove costituisconocome l’ordito su cui è tessuta la


102 Cultura e attualitànella pagina precedenteIncisione raffigurante ParadisoDantesco di G. DorèsottoDipinto raffigurante Dante Alighieri,particolaretrama di più di uno dei grandi temidel poema, nella sua dimensionestorica ed escatologica, universale epersonale. La figurazione apocalitticadella Chiesa come meretrice (la“puttana sciolta” della processionedel Purgatorio) è ricorrente nei gioachimitispirituali e in Ubertino daCasale, con cui Dante aveva in comunesia l’odio per Bonifacio VIII, “principedei nuovi farisei”, sia la certezzadell’avvento di un messo di Dio cheriporterà la Chiesa alla primitivapovertà ed all’uccisione del mostrodell’Apocalisse. In fondo Dante attribuiscealla cupidigia umana e, comeGioacchino da Fiore, della Chiesain particolare l’origine di ogni male,tanto che nel canto undicesimo, attraversola figura di S. Francesco esaltaMadonna Povertà, ad imitazione dellapovertà di Cristo e degli apostoli,secondo la tesi principale sostenuta,appunto, dagli spirituali. Ma trovomolto significativo il fatto che perDante Gioacchino da Fiore sia giàsanto, come oggi, grazie alla causadi beatificazione ripresa su richiestadell’Arcivescovo emerito di Cosenza,monsignor Agostino, si tenta di ottenere.Sono passati otto secoli dallamorte di Gioacchino da Fiore ed ancoral’istanza di beatificazione, inviatasubito alla Santa Sede dai seguaciflorensi con la documentazione deimiracoli a lui attribuiti, non ha ancorasoluzione. Eppure Gioacchinoè considerato beato e santo immediatamentedopo la sua morte dallavox populi; è spesso rappresentatocon l’aureola, e nel rituale dei florensiveniva celebrata una messa il30 marzo e il 29 maggio in suo onorecome “beato”, così come è ricordatoanche nei Sancta Santorum. Inoltreun’antifona nei vespri lo diceva dotatodi spirito profetico, frase ripresaappunto da Dante, che lo pone comeabbiamo detto tra i beati prescelticome paradigmi della Sapienza. Equi ci sarebbe ancora da dissertare sucome Dante intendesse la sapienza,ma il discorso ci porterebbe lontano.Ritornando all’inizio del canto X concui ho aperto, abbiamo detto che giàl’allusione alla Trinità, nella primacitata terzina, evoca la presenza diGioacchino, e l’evocazione continuaanche nella strofa immediatamentesuccessiva, dove si esalta l’ordineperfetto dell’Universo retto dallaineffabile Sapienza di Dio, versi chevengono dopo l’aspra invettiva concui si chiude il canto IX contro la corruzionedella Curia romana. Questocontrasto esprime, dopo la violentadenuncia, quel raptus visionario cheaccomuna Dante all’Abate calabresee che, attraverso la contemplazionedi Dio trinitario, si fa visione profeticae missionaria. E che dire dei successivicanti XI e XII (rispettivamentedi S. Francesco e di S. Domenico)che, si può dire, nascono proprio dauna profezia di Gioacchino? Secondouna profezia attribuita a Gioacchino,infatti, presto sarebbero venuti dueuomini "duo viri" che avrebbero sorrettola Chiesa pericolante uno da unlato, l’altro dall’altro "unus hinc, aliusinde", a cui corrisponde perfettamentela rappresentazione dei “dueprincipi”, la cui missione per la salvezzadella Chiesa Dante attribuiscealla Provvidenza, che "due principiordinò in suo favore, /che quinci equindi le fosser per guida". E con taleprofezia si avviano i due canti "gemelli"l’XI e il XII, con l’implicito riconoscimentodella veridicità di questae quindi anche delle altre profezie diGioacchino, che tra l’altro sarà esplicitamenteconfermata nel verso 141del canto XII con l’espressione: di spiritoprofetico dotato.E siamo così ritornati alla presentazionedel nostro con cui mi fermo,non senza sottolineare alla mia edall’attenzione di tutti l'estrema somiglianzadella situazione storica attualea quella del suo tempo e... di Dante!* Presidente dell’Associazione “DanteAlighieri” di Cosenza


Cultura e attualità 103Raffaele IariaGioacchino non ha nulladel ribelle o dell'ereticoIntervista al Professor Franco Cardini, storico del Medioevo“Rabano è qui, e lucemi dallato / il calavreseabate Giovacchino / di spirito profeticodotato”.Nel XII libro del Paradiso così DanteAlighieri parla del monaco calabreseGioacchino da Fiore. Una figuraabbastanza nota: di lui si è scritto edetto. Tutti sanno della gran mole diproduzione scritta attribuitagli: Liberde concordia, Psalterium, Commentodell’Apocalisse, Liber Figurarum, operequeste che si propongono di dareuno sguardo profondo e “diverso”su alcune problematiche teologichecome il dualismo religioso tra il benee il male, l’interpretazione dei libridell’Apocalisse, la valenza semanticadi alcune immagini bibliche, la funzionee relativa collocazione gerarchicadegli ordini religiosi. Un punto,questo, che creò i primi dissaporitra la Chiesa ufficiale e Gioacchino,frate tutt’altro che remissivo e ligiopienamente al dovere.Di questa grande figura abbiamoparlato, in questa intervista, con ilprof. Franco Cardini.Prof. Cardini, nella storia dellaChiesa Gioacchino da Fiore si ponea cavallo tra l’esperienza (conclusiva)del grande monachesimo e primadella nuova esperienza di Francesco.È l’epoca dei nuovi Ordini…Come sicolloca la sua figura?L’esperienza monastica viene attraversatada Gioacchino da Fiorein modo totale, ed egli ne affronta ilimiti e finisce con il dimostrarseneinsofferente, approdando a una dimensioneascetico-mistica ed escatologica,segnata da una vocazionepropriamente profetica, che senzadubbio non si può sostenere siaestranea all’Ordine cistercense (cuiGioacchino originariamente appartiene)nelle sue espressioni più alte,ma che va al di là di esso in quantol’imminenza di una nuova e conclusivafase dell’avventura umana(l’Età dello Spirito Santo) obbligaa una visione nuova del mondo edella storia anche dal punto di vistastrettamente spirituale.La proposta del monaco calabresedi una Chiesa spirituale che trova inun Nuovo Ordine il suo riferimentonon è antipapale, anzi si colloca inobbedienza stretta alla sede apostolica.È così?Gioacchino non ha proprio nulladel ribelle o dell’eretico. Se avverteil bisogno di distaccarsi dallaCongregazione cistercense dell’ordinebenedettino (così dovremmodire, anziché parlare di un “Ordinecistercense”) per fondare, con l’abbaziadi San Giovanni in Fiore, unanuova Congregazione, ciò dipendeappunto dalla necessità, ch’egliprofondamente avverte, d’indirizzarein senso profetico-escatologicola vita spirituale di monaci che sitrovano alla vigilia dell’Avventodell’Età dello Spirito Santo. Il quadrodi riferimento resta senza dubbiola Chiesa latina e l’auctoritas pontificia,anche se l’esperienza calabrae il periodo storico (l’età della terzacrociata) obbligano l’Ordine forensea una considerazione intensa anchedelle esperienze cristiano-orientali.Prof. Cardini, l’Abate fu una personalitàdel suo tempo? Qualcunosostiene che fra i suoi estimatorici fosse lo stesso Innocenzo III.Corrisponde al vero?Papa Innocenzo III conosce un’esperienzaecclesiale, giuridica e spiritualesegnata da una fortissima dinamica:convinto della necessità dicondurre a definitivo termine l’iterdella Riforma ecclesiastica avviatanell’XI secolo – di risolvere quindii grandi problemi dei rapporti traSacerdotium e Regnum, della crociatae della questione ereticale - conil Concilio Lateranense IV dimostradi essere approdato a una visioneprofondamente apocalittico-escatologica.Ciò lo pone in rapporto conla dimensione caratteristica dellaspiritualità di Gioacchino. Ma non sideve dimenticare che la teologia trinitariadi Gioacchino fu condannatadal Concilio Lateranense IV.Il modo di comunicare la fede per figure(Liber figurarum) è un tentativodi nuova evangelizzazione?Lo definirei piuttosto l’espressionediretta del rapporto tra la concezionetrinitaria di Gioacchino e la sua concezionedella storia espressa attraversoforme che per un verso risentono


104 Cultura e attualitàa fiancoLo studioso Franco Cardinidel metodo scolastico, per un altromostrano di volerlo superare. Ma vatenuto presente che l’autentica paternitàgioachimita del Liber figurarum èoggetto di discussione.Quale il contesto storico dell’Europadei tempi dell’Abate calabrese?La crisi del rapporto tra Sacerdotiume Imperium, caratterizzata dalla labilitàdel faticoso equilibrio raggiuntodopo il duro scontro dell’erabarbarossiana; l’incipiente imporsidelle grandi monarchie feudali cheprendono a disgregare le auctoritatesuniversalistiche; l’ormai sicuro affermarsidell’egemonia socioeconomicadelle città mercantili e marinared’Italia nel mondo mediterraneo; lacrisi del regno di Gerusalemme e lanuova stagione crociata; le avvisagliedella caduta dell’Impero bizantino.Gioacchino parla di crociata ma conle armi spirituali….Egli vive e conosce due crociate,quella del 1147-48 e quella del 1189-92, e sappiamo che il re d’InghilterraRiccardo I, di passaggio per Messinadiretto oltremare, gli rende visita:prova questa della sua raggiuntafama. Tuttavia le due grandi crociatedel sec.XII, guidate dai principali sovranieuropei, sono state altrettantismacchi segnalati e sofferti in modospeciale proprio in quell’ambientecistercense dal quale Gioacchino daFiore proviene. La reazione dellaChiesa al fallimento di quelle impresee alla perdita del controllo diGerusalemme da parte dei cristianioccidentali è stata duplice: da unaparte l’esigenza che quelle spedizionipassino sotto il diretto controllodel Pontefice (la linea di InnocenzoIII), dall’altra quella della necessitàdi porre il problema del rapportocon il Cristo e la Terrasanta su basinuove (la mistica del Graal da unaparte, l’esperienza dell’alter Christusfrancescano dall’altra).Possiamo parlare di un monachesimoponte fra l’esperienza orientale equella occidentale di Benedetto?Senza dubbio Gioacchino resta fedeleall’esperienza di Benedetto, mad’altronde non si sottrae a influenzeorientali che in terra calabra sono epermangono forti. La mistica florensesi presenta ricchissima d’istanzedesunte dalla mistica greco-orientale,fino all’esicasmo e, appunto, alculto centrale dello Spirito Santo.Gioacchino, secondo Lei, ha influenzatoil movimento di pensierosuccessivo: francescani spirituali,teologi, lo stesso Dante... (non soloper la citazione ma anche per diverseimmagini che si ritrovano nellaDivina Commedia).Ciò è stato appurato e approfonditoin varie ricerche relative appunto aquel movimento che si designa ordinariamentecome “gioachimismo”, riguardoal quale è tuttavia necessarioribadire due cose: primo, la distanzaobiettiva di Gioacchino rispetto almetodo abelardiano, quindi alla scolastica(non dimentichiamo che il suocommento alle Sententiae di PietroLombardo è stato condannato dallaChiesa); secondo, il gioachimismodue-trecentesco parte sì da opere diGioacchino – peraltro in molti casispurie e/o sospette - ma si articolasoprattutto al contatto con le vicendestoriche e filosofiche del movimentominoritico e della sua componentespirituale, quindi in una direzione cherisente senza dubbio del magistero diGioacchino ma che ne rappresentauno sviluppo nuovo e inatteso (specienelle sue componenti antipontificie,antigerarchiche e in alcuni casi moltoprossime a posizioni ereticali).


Cultura e attualità 105Enzo GabrieliGioacchino,Michelangeloe la SistinaNel vasto campo dell’arte,che nell’allegoria e nelsimbolismo offre numerosevie di ispirazione,c’è la non trascurabile influenza diGioacchino da Fiore in uno dei capolavoridell’umanità: la CappellaSistina.Condotti per mano da “La SistinaSvelata” prezioso lavoro di HeinrichW. Pfeiffer, sacerdote gesuita e indiscussaautorità scientifica nel campodell’arte cristiana, ci è dato scoprirecome la simbologia gioachimita hacontribuito, in maniera davvero determinante,al programma iconograficodel grande capolavoro.Tra letture degli autori, forte committenzae consulenze teologiche,Pfeiffer ha svelato quanto hanno pesato,fra le altre, le idee gioachimiteche erano penetrate negli ambienticulturali e spirituali dell’epoca.Una vera e propria mediazione culturalequella di Gioacchino che, nellinguaggio allegorico e simbolico, ha“tradotto” ed interpretato gli arcanidella Parola e il rivelarsi del DioTrino ed unico nella storia degli uomini.Una vera mediazione non fermal’annuncio, non lo completa, anzilo spalanca permettendo all’altro diandare oltre, di andare verso l’Oltre,facendo sua quella interpretazionee traducendola, a sua volta, con unnuovo linguaggio.Dire Dio nell’oggi della storia, diogni storia, è stata ed è l’ansia di ciascunteologo o uomo dello spirito;dirlo con l’arte significa far proprioun messaggio ed offrire una pista dicontemplazione, così come ci svela,in questa recente pubblicazione, ilgesuita Pfeiffer.


106 Cultura e attualitànella pagina precedenteLa Cappella Sistinaa fiancoJacopino del Conte, ritratto diMichelangelo, 1530-40, NY MetropolitanMuseum of Art (particolare)nella pagina successivaCiclo pittorico della volta della Sistina,opera di MichelangeloNella lettura del testo emerge in proporzionedavvero significativa la figuradi Gioacchino nel tentativo diuna “lettura nuova” degli affreschidella Sistina, una lettura approfondita.Per completezza introduttiva, rimandandosempre e comunque alprezioso volume, in cui alcune imprecisionirelativamente alle opere eall’abate calabrese sono dovute forsesolo ad una conoscenza parzialedel personaggio va detto che, perla verità è lo stesso autore, nell’epilogo,ad affermare relativamente alprogramma pittorico, ad esempio,che “non da ultimo, poi, da nuove interpretazionidei dipinti ci ha messo incontatto con l’opera del grande abate calabrese,Gioacchino da Fiore, che meriterebbeforse una rivalutazione da partedella teologia contemporanea”.L’autore, questo è certo, ci stimolaad un percorso di lettura dei ciclipittorici, oltre che storico-biblici, anchedi natura spirituale e di naturasimbolica, vie che sono state utilizzatenei secoli per mediare lo stessoannuncio della salvezza.Per tornare al rapporto, ancora tuttoda indagare, tra il messaggio gioachimitae la Sistina cogliamo alcunispunti dall’innovativo contributodel padre gesuita che mostra, immagineper immagine, la “soggiacentestruttura simbolica che ordina coerentementel’intera opera”.C’è in sostanza un programma filosofico-teologico,non solo storicotipologico,che tocca le tematichetrinitarie, riprendendo ad esempio iCerchi di chiara matrice gioachimitao la Genealogia di Gesù a cui l’Abatecalabrese ha dedicato l’intera opera.L’autore del volume dedica un interocapitolo alla costante relazioneche appare per la prima volta nellaConcordia Novi ac Veteris Testamentidell’abate di Fiore.Secondo Pfeiffer il programma iconograficoesposto nella CappellaSistina risale ad un antico sermone diFrancesco Della Rovere (1448) scrittoper il vescovo di Padova FantinoDandolo. Il Sermone tenuto l’ottodicembre di quell’anno può esseremesso in relazione con gli affreschimichelangioleschi (1508/1512), realizzatisotto il pontificato di GiulioII, dove emergono numerosi dettaglifino a farci concludere che “l’Orazionedella Immacolata ha costituito ilpunto di partenza per il programma diquesti dipinti”.Maria diventa nella tradizione teologicaSposa-Immacolata in quantomodello della Chiesa e trova la suaforza nella considerazione paolinadi Cristo-Sposo della stessa Chiesa.“Questa relazione sposa-sposo può averein sé, per l’uomo moderno, qualcosadi sorprendente. Fu infatti Gioacchinoda Fiore che già poco prima del duecentopose la questione nella sua operaConcordia Novi ac Veteris Testamenti”.A supporto di questa tesi l’autore,proponendo un’ampia citazionedella Concordia, così prosegue “nellarelazione sposa-sposo che trova un’ecoin tutti gli affreschi della volta dellaSistina, è possibile, dunque, scorgereuno dei principi integrativi applicatonella strutturazione del programma degliaffreschi stessi. Abbiamo qui, perciò,un’ulteriore dimostrazione dell’influssodeterminante che Gioacchino da Fioreesercitò sul programma degli affreschidella Cappella Sistina con la sua operaConcordia novi ac veteris testamenti”.Nel cuore di questa bellissima sinfoniasulla Sistina, che eleva la figuradell’abate e ne evidenzia l’influenteportata del suo linguaggio simbolico,Pfeiffer cade nel luogo comune“dell’eresia di Gioacchino” e della nonortodossia del suo insegnamento, affermandofinanche che la Concordiasarebbe stata condannata dalConcilio Lateranense IV ed è operadell’“abate cistercense calabrese”.La documentazione offerta in questolavoro chiarisce ampiamente l’ortodossiadi Gioacchino e del suo insegnamento,apre nuove prospettivee vie di dialogo, partendo propriodal fatto che l’Abate non ha ricevutomai nessuna condanna dal ConcilioLateranense; anzi, proprio perché


Cultura e attualità 107tenuto in grande considerazione, iPadri sono stati ben attenti ad utilizzareil termine “errore” e non quellodi eresia o quello di condanna. Eccoperché la sua predicazione, il suomessaggio, veniva esposto in lungoed in largo, anche nella Roma deipapi, senza paure per l’ortodossia.La Concordia è stata fonte di ispirazionedell’affresco della TemptatioMoisi del Botticelli sostiene Pfeiffer;basterebbe guardare l’affresco rappresentanteMosè che rifugiatosi neldeserto diventa figura di Cristo e rileggerecontestualmente il passo dellaConcordia, parte 2 foglio 31, “Nonrimane che concludere che Botticelli o,per lo meno, il suo consulente di teologiaconosceva la Concordia” aggiungePfeiffer.Il nesso tra il programma pittoricodella Sistina e l’Abate è stato fatto notareanche alcuni anni fa dall’americanoMalcom Bull, ma se è vero che soloun buon conoscitore della Concordiapoteva ispirare Michelangelo è anchevero che solo un buon conoscitoredello stesso libro può leggerne tuttele particolarità.È un dato assodato che “l’artista stessoaveva molta familiarità con il patrimoniodi idee di Gioacchino da Fiore”eciò rivela un lato completamentenuovo e sconosciuto della personalitàdi Michelangelo; ma va anchedetto che fra i teologi che avrebberodiretto la sua ispirazione verso leidee di Gioacchino spicca, ad esempio,Pietro Colonna.Nel ciclo pittorico della Sistina vengonosviluppate le nuove concezionitrinitarie che Michelangelo ebbemodo di conoscere con molta probabilitàanche attraverso le predichedel Savonarola a Firenze e a Romadal francescano Pietro Galatino.In ogni caso c’è da aggiungere chenei primi decenni del XVI secolo aRoma la riflessione psicologica trinitariaera portata avanti anche daEgidio da Viterbo che influenzò nonpoco la teologia dell’epoca.“Gioacchino suddivide la storia in seiepoche e ripartisce gli antenati di Gesùin base alla loro relazione, da lui immaginatacon queste sei epoche. Così gli antenatidi Gesù sono stati dipinti nei seispicchi delle arcate della volta e nelle arcatedella volta ad esse relative. Come nelVangelo di Matteo, nel programma degliaffreschi non figurano nella sequenzadelle generazioni Acazia, Ioas e Amasia.Inoltre, nella Concordia, sei antenati diGesù vengono messi in relazione, di voltain volta con l’apertura di uno dei settesigilli dell’Apocalisse di Giovanni. Sidelineano così per Gioacchino sette età.Nelle sei arcate della Cappella Sistina sitrovano, invece, ripartite con sequenzaregolare, sei antenati di Gesù, che rappresentanole prime sei epoche”.All’analisi di ciascuna lunetta sonodedicate ampie pagine del volumeche abbiamo citato, con costante riferimentoall’Abate di Fiore.Ad esempio, nell’affresco diZorobabel sono messe in luce, attraversol’allegoria, le processioni trinitariesecondo la dottrina agostiniana esuccessivamente gioachimita.Nell’affresco di Davide e Salomone,invece, proprio l’immagine diBetsabea diventa richiamo simbolismodel vetusto ordine benedettino.Michelangelo non rappresentala moglie di Uria nella sua bellezzagiovanile, ma nell’età avanzata, evidenziandocosì un decadimento dellostesso ordine, di cui lei è figura,ed in generale del monachesimo,che dal compito della preghiera edel silenzio si era trasformato in unservizio pseudo militare di combattimentoper il Regno.Nello stesso affresco sono evidentisia nei colori che nelle forme l’Ordoclericorum, l’Ordo monachorum equello coniugatorum.Nel capitolo sui nuovi quadri dellavolta con le scene tratte dalla Genesi,che rappresentano dal punto di vistateologico la parte più significativadel programma iconografico, l’autorecita l’Expositio super septem visioneslibri Apocalypsis, un tempo attribuitaad Ambrogio, le cui idee, in manieraevidente, si ritrovano nella suddivisionetrinitaria della storia della sal-


108 Cultura e attualitàvezza espressa da Gioacchino in treere: ante legem, sub lege e sub grazia.“La ripulitura degli affreschi diMichelangelo nella Cappella Sistina èstata definita il restauro del ventesimosecolo. Rendere di dominio pubblico gliaffreschi nei loro sfarzosi colori permetteuno studio sul loro significato primad’ora inimmaginabile. Con il raffrontodelle composizioni e i testi letterari chehanno costituito la fonte originaria diispirazione, la Concordia Novi ac Veteristestamenti di Gioacchino da Fiore in primoluogo se ne è potuto appurare il verocontenuto. Solo così si sono apprezzatesotto questo nuovo aspetto le reali capacitàartistiche di Michelangelo”.Pfeiffer, che arriva a queste conclusioni,evidenzia però cheMichelangelo, anche se da solo avesseavuto una buona conoscenza delleopere dell’Abate calabrese e dellasua simbologia, non sarebbe statocapace di concepire da solo tutto ilprogramma teologico senza l’aiutodi qualche consulente.Le idee dell’Abate calabrese si diffuseroampiamente nei diversi ambienticulturali, grazie alle predicazioni eallo studio di quelli che furono i suoidiscepoli spirituali, parte di quellalunga posterità a cui De Lubac hadedicato una sua preziosa opera eche ancora oggi gradualmente s’accresceconoscendo l’Abate calabrese,che continua ad esercitare quel “profondofascino” per la sua capacità disognare, grande “di questi sogni grandiosinon tutto era chimera”.GIOACCHINO ÈL'UOMO DELLOGOSIn una breve ma incisiva lettera aMons. Agostino il Cardinale Ruiniha indicato un percorso interessante diriscoperta teologica dell'abateIl 12 ottobre del 2001 il cardinale Camillo Ruini, segretario diStato e vicario del Papa, faceva pervenire una lettera auguralea monsignor Giuseppe Agostino, arcivescovo di Cosenza-Bisignano.Evidenziando che la Carità doveva sempre caratterizzarsicome "esigenza di emancipazione dell'uomo integrale" enon si deve mai ridurre "a sterile prassi assistenzialistica oa solidarismo deresponsabilizzante cosicché la promozioneculturale dell'uomo è la via per superare il nichilismo postmoderno"ha inteso affermare con forza che anche l'aspettodella promozione culturale è un'alta forma di solidarietà.“La cultura non si esaurisce – scriveva ancora – negli aspetticognitivi e informativi, ma a partire da questi investe anche irapporti umani e sociali e tutta la vita degli uomini. È questacircolarità tra agape e logos che ci consente di superare lacultura del dominio, per trasformare le coscienze e costruireuna intelligente volontà di solidarietà a livello planetario".Concludendo il presule ha voluto indicare alcuni testimonidel Sud Italia che nella vita hanno incarnato concretamentequesti concetti: “Mi piace ricordare questa dialettica tra fede,spiritualità, cultura e carità nell'opera di testimoni e santi calabresi.Infatti, le idee sono da ricondurre agli uomini concreti,alle loro vicende e alla storia che in parte hanno trovato ein parte hanno cambiato. In particolare si pensi a Gioacchinoda Fiore e a san Francesco di Paola. Il primo rappresental'impegno costante e indefesso del logos, che ricerca nuovisentieri per indagare la Rivelazione; il secondo, invece, testimoniala centralità dell'agape come senso e fine ultimo dellogos e della vita comune degli uomini.Lungi dal ritenere alternative queste due differenti testimonianzedi vita e di pensiero, ciascuna deve mettere in lucel'urgenza di coniugare le istanze, affinchè la promozione dellaCalabria e del Meridione divenga effettiva e radicata nelladialettica tra "pensiero" e "carità".


Cultura e attualità 109Enzo GabrieliCade il velodella Cappella SistinaIntervista a Padre Heinrich Pfeiffer. Una nuova chiave di letturadel programma iconografico unitario dei codici gioachimitiL’autore ha dedicato la suavita a "decodificata" i linguaggi,lo stile, i colorie soprattutto il percorsostorico-teologico degli affreschi, pertogliere ‘‘il velo” ad una delle piùgrandi opere realizzate dall’ingegnoumano.Pfeiffer sostiene che i teologi romanidell’epoca dell’esecuzionedei dipinti, lettori ed estimatori diGioacchino da Fiore, guidarono ilgenio pittorico di Michelangelo (edegli altri artisti che lavorarono nellaCappella dei Papi) tenendo presentequanto l’Abate aveva scrittonel Liber Concordia Novi Veteris acTestamenti, lasciandosi ispirare ampiamentedal profeta calabrese.Gioacchino, come tutti i profeti,non è stato mai in vendita.È questa la sintesi della sua fortunae della sua sfortuna nella storia dellaChiesa, secondo padre Pfeiffer,autore dell’autorevolissimo volume“La Sistina svelata”.Lo abbiamo incontrato a SanGiovanni in Fiore, sui luoghidell'Abate, dove si è fatto "pellegrino"con la passione e l'amore peruno dei più grandi uomini del medioevo,con la fede del credente, ilpiglio dello studioso, la competenzadel ricercatore. "Uno spirito libero,un cercatore di Dio ed un mistico",queste le prime parole del gesuitache insegna da anni Storia dell'ArteCristiana alla Pontificia UniversitàGregoriana.Nato a Tubingen nel 1939, è entratonella Compagnia di Gesù nel1963 ed è stato ordinato sacerdotenel 1969. Si è specializzato in storiadell'arte cristiana ed ha diretto perquasi un decennio il corso superioredei Beni culturali. Per cinque anniè stato membro della CommissionePontificia per i Beni culturali.Padre Pfeiffer lei ha parlato di unosvelamento della Sistina nel suovolume facendo riferimento al simbolismomedievale e alle costantiinfluenze del gioachimismo?Chi vuole capire la Sistina deve partiredal fatto che essa ha un unicociclo pittorico-teologico. Artisti tantograndi ma tanto diversi non potevanolavorare ad un unico progettosenza una forte committenza e senzaun programma teologico ed iconograficoalle spalle.Il suo volume è denso di citazionie di riferimenti all'Abate calabrese.Cosa c'entra Gioacchino da Fiorecon la Sistina?La Concordia è stata una delle importantifonti di ispirazioni deiteologi vissuti a Roma all'epocadell'esecuzione dei dipinti, questolo sappiamo con certezza. Furonoloro a guidare gli artisti, il Botticelli,lo stesso Michelangelo. Nel caso diquest'ultimo potrebbe essere statoPietro Colonna, molto interessatoalle idee di Gioacchino, tanto che neisuoi scritti lo richiama tantissimo.Ma nel suo volume parla di ispirazionedel programma iconografico?Nella relazione sposo-sposa, chetrova un eco molteplice in tutti gliaffreschi della volta della Sistina èpossibile scorgere uno dei principiintegrativi applicato nella strutturazionedel programma. Su questoè evidente l'influsso della Concordia.Nessuno come Michelangelo ha rappresentatoin maniera così ampiae particolareggiata gli antenati diGesù, stirpe per stirpe. Ma c'è ancheda dire, ad esempio, che in nessuntesto della letteratura cristiana lasuccessione Genealogica ha giocatoun ruolo così importante come nelLibro dell'Abate.Una integrazione tra letteratura te-


110 Cultura e attualitàologica ed arte?Si, anche se è un percorso di ricercaancora tutto aperto. Molto c'è daapprofondire. Per quanto riguardaGioacchino e il ciclo pittorico dellaSistina ci sono numerosi temi chepossono essere associati.Gioacchino usa molto il simbolo,l’allegoria, come nel caso del LiberFigurarum...Quella grande opera è una sorta dilavagna del professore. Gioacchinonon dice precisamente quelle cose.Utilizza i simboli, le immagini, glischemi... come fa un docente allalavagna, per spiegarsi meglio. Unamediazione culturale attraversol'immagine di un concetto profondo,mistico, profetico... Ecco perchéanche le tavole vanno colte in questadirezione, così come il suo parlare.Gioacchino ha attraversato i secoli,ha toccato la letteratura, la pittura,la spiritualità, ma...Ma è guardato ancora con sospetto.È la sfortuna delle persone intelligenti.Pochi lo hanno mai letto,altrettanto pochi sono quelli che loconoscono. Si parla per sentito dire...è quanto gli è capitato anche dopo lasua morte, anche se la Chiesa è stataben attenta a salvaguardare lui e ilsuo Ordine.Un legame, quello dell’Abate, chesupera i confini della nostra terra edanche del suo tempo?È uno spirito di dimensione universale,un grande uomo ed un grandecredente. Come ho scritto alla fine dellibro, la nuova interpretazione dei dipintidella Sistina ci ha messo in contattocon l’opera del grande Abatecalabrese, Gioacchino da Fiore, chemeriterebbe una rivalutazione daparte della teologia contemporanea.Cosa si propone con questa nuovalettura, questo svelamento dellaSistina?Vorrei suscitare da un lato l’interessedei teologi per i valori spiritualidegli affreschi della Cappella,dall’altro vorrei invitare gli studiosinella fotoIl Gesuita padre Heinrich Pfeifferdi storia dell’arte ad affinare e integrarei loro metodi, spesso basati, inmodo troppo unilaterale, esclusivamentesullo studio delle tecniche edei materiali e sul linguaggio stilisticoe formale.In Gioacchino questo aspetto si puòritrovare nel Liber Figurarum e nellastruttura architettonica degli edificiflorensi?Sicuramente. Anche perché nel medioevoquesta sintesi è evidente intantissime grandi personalità maanche in tante opere architettoniche,pittoriche, letterarie.Come ha trovato i luoghi diGioacchino?Sono affascinanti, come è affascinantela Calabria. Io la conoscevo, ma citorno sempre con grande entusiasmo.Gli uomini di Dio hanno saputotrovare sempre luoghi particolaridove lo Spirito si rende presente ancheattraverso la bellezza del creato.Padre Pfeiffer ritorna a Roma con unbagaglio carico di libri sull'Abate cheleggerà tutto d'un fiato. Gioacchinocontinua ad attraversare il tempo,a raggiungere uomini ispiriti, toccale corde dell'anima di quanti si pongonosulla strada della ricerca perpenetrare, affacciarsi sul mistero diDio, per contemplare la sua operache si "svela" nel manifestarsi dellastoria stessa dell'uomo.Il linguaggio dell'incarnazione, usatoda Dio per farsi "vicino" all'uomo,è la grammatica che i teologi, e piùin generale i credenti, devono riprenderein mano per ricominciare adire Dio "oggi".


Cultura e attualità 111Salvatore Angelo OliverioGioacchino e Jung: l'eraCristiana e l'AnticristoL’interpretazione junghianadi Gioacchino da Fiorecoincide con l’analisi deldramma etico-politico delNovecento. Jung tratta più diffusamentedi Gioacchino da Fiore inAion, opera pubblicata nel 1951, neicapitoli VI, X, XIV e nella lettera apadre Victor White di Oxford Sulproblema del simbolo di Cristo pubblicatanel 1953. Per Jung l’umanitàdel Novecento stava subendo ladevastante eruzione del male chesi era accampato nella storia ed eralacerata dall’antagonismo tra Dioe Satana, tra Cristo e Anticristo.Bisognava trovare la consapevolezzae la forza necessarie per compensareil male e fondare nello SpiritoSanto un nuovo Status di verità e dipace. C’è un tratto in cui la prospezionestorica del grande psicanalistacoincide con quello dell’Abatecalabrese: per tutti e due il tempodell’Anticristo inizia nello stessoperiodo, agli inizi del secondo millenniodell’era cristiana. Gioacchinosente di vivere nell’imminenza dellasua venuta. Jung è convinto chel’umanità del suo tempo ne stiasubendo il violento ed incontrollatoassalto. "Siamo ancora nell’Eonecristiano – egli scrive – e cominciamoad attuare l’epoca delle tenebre,in cui avremo il massimo bisognodelle virtù cristiane". E’ un errorefatale svalutare Cristo. Ma un errorealtrettanto fatale è non riconoscereo sottovalutare l’Anticristo e la suasequela. Secondo Jung Gioacchino"ha inaugurato un nuovo Status spiritualeed un nuovo atteggiamentoreligioso destinati a colmare il tremendoabisso apertosi con l’undicesimosecolo tra Cristo e Anticristo".Bisogna guardare in faccia l’ombra,far emergere ed assimilare razionalmentele verità e le esperienze sepoltenell’inconscio collettivo, snidaree combattere il male che è dentro efuori di noi, persuadere al sacrificiodell’io, convertirsi attraverso larifondazione catartica del propriorapporto con la divinità, affinché sirealizzino nella psiche quella purezza,quella coscienza, quella integritàe quell’armonia che si traducono, sulpiano storico, nell’unità e nella pacedel nuovo Eone dello Spirito Santo.Lo stato dello Spirito Santo, perGioacchino come per Jung, nell’uomocome nella storia, non sorge dalreflusso dell’energia dell’anima, nonè solo un dono calato dall’alto pergarantire la quiete. Esso è soffio divinovivificante che attraversa l’uomoe lo impegna nelle responsabilità delsuo tempo. E’ un processo continuodi equIlibrio dinamico e di controllatapotenza in cui il male è dominato,non eliminato. Durante il millenniosabbatico del regno di Cristo e deisanti dell’Apocalisse di Giovanni,in cui Gioacchino vede prefiguratolo stato dello Spirito Santo, Satana èincatenato, ma rimane nei sotterraneidella storia dai quali si scateneràper l’ultimo devastante e disperatoassalto finale insieme con Gog eMagog, figura collettiva del secondoAnticristo. Questo atteggiamentoper Jung risponde sia alle esigenzedella terapia dello psicotico che alleurgenze del dramma etico e moraledel proprio tempo. "Quando oggi unpaziente –nota Jung- emerge dal suostato inconscio, gli accade di essereconfrontato con la sua ombra, edegli deve decidersi per il bene, se noè perduto." Per Gioacchino come perJung, l’Età dello Spirito Santo sorgeproprio dal risveglio contro l’Anticristo.Il senso e l’insistenza degliappelli di Gioacchino e dello stessoJung sono inequivocabili e sonoquasi sovrapponibili. Per Jung bisognaritrovare "l’esperienza originaledello spirito vivente, la cui fiammafu, malgrado tutti i fraintendimentideterminati dall’epoca, alimentata etrasmessa da Gioacchino da Fiore".Per lui l’appello profetico dell’Abatedi Fiore è più attuale e necessariodi quanto non lo fosse al tempo incui fu pronunciato, all’inizio dellagrande divaricazione che ha condottoalla svalutazione di Cristo eall’incursione dell’Anticristo. Jungritiene che Gioacchino ha già vissutoin sé lo stato futuro dello SpiritoSanto. Egli ha anticipato, oltre chepreannunziato, l’Età dello SpiritoSanto. Gioacchino sta ancora avanti,come un esempio e come una meta.All’anticipazione di Gioacchino ealla promessa di Cristo sul ParaclitoJung aggiunge l’ammonimento el’aspettativa che gli rivengono dallasua interpretazione psicologica dellastoria cristiana. Il modello apocalitticogioachimita, nella sua sequenzadi Età di Cristo - Tempo dell’Anticristo- Età dello Spirito Santo, gli dà lapossibilità di capire, e di sperare, nelgorgo profondo del suo tempo.


Il messaggio di Giovanni Paolo II per la VIII Centenario della morte


116 L'uomo di DioMonsignor Giuseppe Agostino *Nella Chiesa nessunopassa invanoMessaggio per l'introduzione della causa di canonizzazioneNella Chiesa nessuno passainvano.Soprattutto le personeilluminate dallo Spiritodi Dio, testimoni di Lui nella vita efecondi nelle opere, rimangono nellacoscienza del popolo di Dio, nonostanteil passare dei secoli. Così è delServo di Dio Gioacchino da Fiore.C'è, infatti, una fama della sua santitàche si è conservata nel tempo,tanto che il popolo di Dio lo ha chiamatosempre e lo chiama ancora il"beato Gioacchino".Tuttavia Gioacchino da Fiore, figuraeccelsa, non sempre capita, nonha avuto il comune processo di verificadelle sue virtù eroicamenteesercitate. Ed è questo che la ChiesaCosentina, attraverso la sollecitazionedel mio ministero, vuole oraavviare, per scoprire in questo suofiglio un volto della sua storia religiosa,specchiandosi in Lui, chepuò essere definito: uomo dell'oltre,del futuro, pellegrino per le vie diDio che mentre era proiettato versol'eterno era immerso, con l'identitàe la forza della fede, nella attualitàdella sua vicenda storica ed ecclesiale.Nell'annunziare che abbiamo avviatoquanto è premessa per un processodi canonizzazione ho il doveredi presentarvi la figura del grandeAbate, figlio di questa Chiesa, edesortarvi ad inserirvi in questo iterche è occasione di grazia per tuttinoi.Gioacchino da Fiore nacque a Celico(Arcidiocesi di Cosenza) verso il 1135ca da Mauro, notaio, e da Gemma,famiglia della media borghesia locale.Avviatosi agli studi, non eraancora sacerdote che, nell'occasionedella crociata del 1148-49, quindiall"età di 18 anni, si recò in Orientee nella terra di Gesù, raccogliendoampio materiale per la sua formazioneascetica e scritturistica.Incomincia così a rivelarsi uomoitinerante ma appassionato delleScritture.La grandezza di Gioacchino non è riducibilead un eccelso studioso e ricercatorema ad un impianto di fedeintensa ed espressa asceticamente.Nel suddetto viaggio salì sul monteTabor e vi rimase un'intera quaresimain preghiera e digiuno. Si rivelòcosì cercatore di Dio, uomo di grandeprofondità spirituale.Rientrando in Calabria nel 1150, abbandonòtutto per il Signore.Tutta la sua vita fu di rottura con ilmondo.Entrò nell'ordine dei Cistercensipresso la nostra Sambucina. Si rivelò,subito, non ancora sacerdote,validissimo predicatore, itineranteannunziatore della Parola di Dio.Ordinato prete continuò questamissione con un afflato di ardoremistico e rompendo ogni stereotipodi allora con ispirate aperture, nellospiegare le S. Scritture.Nel 1177 fu eletto Abate, ma seppesaldare il governo della comunitàcon lo studio delle Scritture. I.a I regolacistercense vietava in quel tempo,di scrivere. Egli nel 1182 si recòa Casamari, e di là a Veroli, dove sitrovava la corte papale ed ottennel'autorizzazione a scrivere.Fu, così, scrittore profondo, antesignanodi una esegesi spiritualee riferita vitalmeme alla storia.Compose, allora, la Concordia


L'uomo di Dio 117nella pagina precedenteMonsignor Giuseppe Agostinoa fiancoIl Palazzo Arcivescovile di CosenzaUtriusque Testamenti, l'Expositioin Apocalypsim e diede inizio alloPsalterium Decem Chordarum, completato,poi, in Calabria.Espose le sue idee esegetiche di frontea Lucio III che lo esortò a continuarecome fecero successivamenteUrbano III e Clemente IlI.Nel 1189 si ritirò in Sila, dove fondòla Congregazione Florense. Il protocenobiosorse a S. Giovanni in Fiore.Celestino III approvò la regola florensecon bolla del 25 Aprile 1196. Imonasteri si moltiplicarono.Fu uomo di verità, nella chiarezza enella fortezza così come quando fuconsultato a Messina, nel 1190-91 daRiccardo Cuor di Leone, sull'esitodella crociata.L'imperatrice Costanza lo fece chiamarea Palermo per confessarsi edegli, andatovi, le impose di scenderedal trono e di inginocchiarsi comegli altri penitenti.Morì il 30 marzo del 1202 per avervoluto affrontare i rigori della Sila,malgrado l'età avanzata, mettendosiin movimento verso la localitàCanale, dove era in costruzioneun suo monastero. Il suo corpo nel1240 fu trasferito nel protocenobiodi San Giovanni in Fiore. Fu veneratoda sempre come figura eccelsa diSantità, gli si attribuirono miracoli,diligentemente annotati.Già nel 1346 si voleva avviare il processodi beatificazione che non si saperché si arenò.Sono molti i gesti di carità eroica, dipovertà essenziale, di contemplazioneorante del Crocifisso. Gioacchinofu uomo di fede, speranza e carità,virtù teologali sostenute nel suo vissutodalla prudenza, dalla fortezza,dalla giustizia e dalla temperanza.Fu grande ed umile, orante e penitente.Scrisse molto e fu antesignano diquella che oggi si chi ama la mediazioneculturale per esprimere lafede. Usò, infatti, molto la figurazionein modo profondo e catechetico.Ebbe una lucida visione della storia,intuendo le vie da battere all'iniziodel millennio scorso.Fu precursore di grandi spiriti, qualeS. Francesco d'Assisi.Fu fedele alla Chiesa, con ortodossiaammirevole. Annota P. Russo(Biblioteca Sanctorum, p. 473): "Unsuo opuscolo "De essentia Trinitatis",perduto, composto in polemica aPier Lombardo, conteneva una proposizioneerronea, che fu condannatadal IV Concilio Lateranense nel1215. Ma, Onorio III, in due bolle del1216 e del 1221 ebbe a dichiarare checiò non derogava alla santità ed allaortodossia di Gioacchino, che è da ritenere"uomo cattolico" e tanto menoalla posizione dell'Ordine Florense,in cui fioriva la santità e l'osservanzaregolare. E ciò perché Gioacchino,poco prima di morire, aveva compostoil suo testamento spirituale, conil quale sottometteva le sue opereall'insindacabile giudizio della SedeApostolica".Nell'avviare·il processo di beatificazione,ne sono certo, si chiarirannomolte cose spesso confuse, infondatimalintesi, o per non chiara presentazionedella sua dottrina da inconsideratisuoi discepoli.Gioacchino è figura di grande aperturaculturale, profetica ed aperta aduna visione della storia trinitariamenteilluminata.Chiedo a tutti voi, fedeli di questagloriosa Chiesa Cosentina, di pregareperché la contemplazione di questofiglio della nostra Chiesa sia pernoi e per tutta la Santa Chiesa un riferimentospirituale, uno specchio divita cristiana ed un modello di saldaturatra fede e cultura, tra Paroladi Dio e vicenda umana.Con animo orante e benedicente viesorto a condividere con il cuorequesto cammino procedurale per lagloria di Dio e la continua edificazionedella Santa Chiesa, della nostraChiesa.Dal Palazzo Arcivescovile, il25 giugno - Anniversario dellaDedicazione della Cattedrale -dell'anno 2001.* Arcivescovo emerito diCosenza-Bisignano


118 L'uomo di DioBruce Atherton,immagineufficiale per lacanonizzazione(2001)


L'uomo di Dio 119Il beato Gioacchinocantato nella Liturgiadelle Ore dai florensiper la sua intelligenzaspiritualeL'officiatura propria all'origine della Terzina DantescaPresso l'archivio della Congregazione per la Dottrina dellafede (ex Sant'Uffizio) è stata rinvenuta una Informativanella quale l'Arcivescovo di Cosenza Gennaro Sanfelice il 1Maggio del 1680 testimoniava un culto immemorabile e l'esistenzadi un officiatura risalente al XIII secolo. Dell'officiaturapropria cantata dai monaci sono giunte fino a noi l'Antifonaalle Lodi e ai Vespri e un'Orazione che esprime chiaramenteil senso dell'illuminazione spirituale dell'Abate come esperienzadi trasfigurazione interiore. Emerge con chiarezza chel’Antifona dei Vespri udita e letta dal sommo poeta sia statatrasformata nella terzina dantesca (Paradiso, XII 139-141).Testo latinoAd Laudes AnthiphonaBeatus Joachim primus Abbas Florensis humilis, et amabilis,claruit miris, per quem fuit admirabilis.V/ Implevit eum Dominus Spiritu Sapientiae, et intellectusR/ Stolam gloriae induit eumAd Vesperas AnthiphonaBeatus Joachim Spiritu dotatus prophetico, decoratusIntelligentia, errore procul haeretico, dixit futura praesentia.V/ Implevit eum Dominus Spiritu Sapientiae, et intellectusR/ Stolam gloriae induit eumOratioDeus, qui gloriam tuam tribus Apostolis in Monte Thabormanifestasti, et in eodem loco Beato Joachim veritatem scripturarumrevelasti, tribue quaesimus, ut eius meritis, et intercessione,ad eum, qui via, veritas et vita est, ascendamus. PerChristum Dominum nostrum. Amen.Di un antico Inno è giunto a noi solo il primo versetto:Questi è l'abate di celeste rugiada dispensatoreTesto italianoAntifona alle LodiBeato Gioacchino, primo Abate florense, umile ed amabile, fuammirato per cose meravigliose.V/Il Signore lo ha ricolmato dello Spirito di SapienzaR/ E lo ha rivestito di una stola di gloriaAntifona ai VespriIl beato Gioacchino di Spirito profetico dotato, decorato di intelligenza,lonano dali errori di eresia, predisse gli eventi futuri.V/Il Signore lo ha ricolmato dello Spirito di SapienzaR/ E lo ha rivestito di una stola di gloriaOrazioneO Dio, che sul monte Tabor hai manifestato la tua gloria ai treApostoli, e nello stesso luogo hai rivelato al beato Gioacchinola verità della Scrittura, ti preghiamo, per i suoi meriti e la suaintercessione, fa che ascendiamo a Colui che è via, verità e vita.Per Cristo nostro Signore.PREGHIERAPER LABEATIFICAZIONEDio Onnipotente ed eterno, ti preghiamo di glorificare il tuo Servo Gioacchinoda Fiore, abate florense, che meditando le Scritture ha saputoparlare alla Tua amorevole presenza Trinitaria nella storia degli uomini.Umilmente ti invochiamo, concedici per sua intercessione, di contemplaregià su questa terra il tuo mistero, per godere in cielo la beatitudine chelui ha profeticamente annunciato.Te lo chiediamo per Cristo nostro SignoreAmen


120 L'uomo di Dionell'immagineGioacchino aureolato,parziale dell'affresco dellaCattedrale di Santa Severina (Crotone)(XVI sec.)PostulazioneLa FamaSanctitatisdell’Abate diFioreGioacchino abate di Fiore(nato a Celico (CS) versoil 1135, morto a SanMartino di Canale pressoPietrafitta il 30 Marzo 1202), giàin vita riscosse una certa fama disantità, tanto che era stimato e convocatodai potenti come confessoree consigliere.All’uomo di Dio nulla si precludevafino al punto che si chiedeva unaParola di Dio profetica sulla storia ele vicende contemporanee.La fama della sua santità si diffuseimmediatamente dopo la sua mortee i suoi figli spirituali, i florensi, loricordarono sempre con grande venerazione.Per il fondatore del loro Nuovo ordineessi celebrarono solennementel’anniversario della morte commemorandolonell’Ufficio con una antifonaalle Lodi e ai Vespri ed una


L'uomo di Dio 121apposita orazione 1 che riecheggiaronoin maniera particolarmente suggestivanel famoso verso di DanteAlighieri , “...e lucemi da lato il calavreseabate Giovacchino di spirito pro-1 L. Intrieri, Il Culto di Gioacchino da Fiorenelle testimonianze del 1680, in Rogerius a.9, n. 2, Soriano Calabro 2008fetico dotato” 2 .Nella Chiesa “nessuno passa invano” 3scriveva l’arcivescovo di Cosenzamonsignor Agostino all’iniziodel Terzo millennio, a propositodell’abate, in un suo Messaggioalla diocesi dove evidenziava frale altre cose che la "fama di santità"di Gioacchino “si è conservata neltempo” 4 .A testimonianza di questa fama, sindall’epoca più antica, sta senza dubbiola raccolta dei miracoli dell’Abate,conservata in duplice redazionead opera di Cornelio Pelusio (mortoprima del 1601) e Giacomo Greco(morto nel 1612).Nonostante la mancanza di un vero eproprio processo di Canonizzazionenegli Acta Sanctorum dei Bollandistiegli appare con il titolo di Beato 5 .Una realtà confermata anche nellanota Bibliotheca Sanctorum doveGioacchino vi compare – ancora unavolta – con il titolo di beato 6 .Con le giuste cautele sono da accreditarecome fondamentali, perla nostra riflessione, anche le affermazioniiniziali di uno degli episodidella raccolta dei miracoli dell’Abate,il Mirabile XVIII, nel quale si attestache, dopo la morte avvenutaa S. Martino di Canale, la salma diGioacchino rimase “ivi per alcuni2 D. Alighieri, Paradiso XII, 139 - 1413 G. Agostino, Messaggio per l’introduzionedella Causa di Canonizzazione del Servo diDio Gioacchino da Fiore, 25 giugno 2001, p.34 Ivi, 35 Acta Sanctorum, Maii 7, 87-89. «Deus,qui gloriam tuam tribus apostolis in monteThabor manifestasti, et in eodem loco beato Joachimveritatem Scripturarum revelasti, tribuequaesumus, ut ejus meritis et intercessione adeum, qui via, veritas et vita est, ascendamus…solent ecclesiae de suis singulis Patronis subfinem officii non solennis quotidie decantare».6 Cfr Bibliotheca Sanctorum VI, Roma 1965,471-475: la voce è stata redatta da FrancescoRusso, anche se parzialmente superatadagli studi degli ultimi decenni.anni oggetto di venerazione generale” 7 .La fama di santità portò nel dicembredel 1346 i suoi monaci a perorare,tramite il loro Abate, che fosseistituita presso la Curia cosentinauna Commissione per esaminarnei miracoli; questa richiesta è avvaloratadalla “solenne traslazione“ deisuoi resti mortali nella nuova abbaziadi San Giovanni in Fiore intornoal 1226 8 .Il rito non fu solo lo spostamentodel corpo ma, come era la prassidell’epoca, una sorta di canonizzazionevescovile. Il passaggio dallacanonizzazione vescovile a quellapapale infatti agli inizi fu quasi impercettibilea livello locale e periferico.Il Papa si riservò questo compito dal1234 in poi, anche se i vescovi hannocontinuato ad approvare almeno indirettamentedei culti popolari finoal pontificato di Urbano VIII, quandocon i decreti del 1625 e del 1634egli deliberò che mai, in avvenireuno poteva essere dichiarato Santose c’era stato un culto pubblico tollerato9 .A questo proposito si rafforza la tesisostenuta dall’Intrieri che l’interventodell’Arcivescovo di Cosenza,monsignor Gennaro Sanfelice (1maggio del 1680) durante la VisitaPastorale a San Giovanni in Fiore,si colloca più nel riordino del cultoche in un abuso dei monaci chenel monastero ab immemorabile tenevanouna lampada accesa davantial tumulo che custodiva il corpodell’Abate.L’intervento del Sant’Uffizio, chericevette l’informativa dall’Arcive-7 A. M. Adorisio, I miracoli dell’Abate. I fattimiracolosi compiuti da Gioacchino da Fioretradotte in lingua italiana, Manziana 19938 E. Gabrieli, Una Vita di Gioacchino daFiore, 85; E. Gabrieli, Le spoglie mortali delServo di Dio. Sepolture e traslazioni, in AbateGioacchino a. I, n. 1, Cosenza 2003, 88-939 Cfr, Y. Beaudoin, La canonizzazione vescovile,Corso formativo per istruire le causedei Santi, Roma 2005


122 L'uomo di Dioa fiancoGioacchino. Vaticani (1589)scovo cosentino, certamente “eliminòogni manifestazione di culto pubblicoverso Gioacchino da Fiore, tuttaviail suo archivio conservò queste preziosetestimonianze e, aldilà delle sue intenzioni,fornì una prova inconfutabiledella fama di santità da lui goduta neltempo” 10 .“Dal VI al XVII sec. la canonizzazionevescovile è stata la normale e legittimaforma di canonizzazione in uso nellaChiesa… è l’epoca dei grandi vescovie monaci missionari, dei primi Re convertiti,dei grandi eremiti e pellegrini10 L. Intrieri, Il Culto di Gioacchino da Fiorenelle testimonianze del 1680, 50che furono ammirati e venerati in vitae dopo morte. In questo periodo, oltread una rifioritura del culto dei martirinasce ovunque il culto di nuovi Santiconfessori” 11 .Ma con fioritura di tanti nuovi modellidi santità da additare al popolocristiano non mancarono abusi e fuper questo che i Vescovi cominciaronoa regolamentare e regolarizzare(insieme alle autorità civili e religiose)le devozioni per renderli più sicuree dignitose.Ad esempio, nell’ 813 il Concilio di11 Cfr,Y. Beaudoin, La canonizzazione vescovile,12Magonza decretava che non si potevapiù fare una elevatio o translazio(canonizzazione) senza il parer delprincipe (imperatore o papa e il permessodei Vescovi e dei Sinodi).Qualche anno prima il Concilio diFrancoforte (794) ordinava che bisognavavenerare soltanto i santi sceltisecondo il valore della vita reale ol’autorità della loro biografia.La procedura seguita per autorizzareun nuovo culto consisteva nellaraccolta della vox populi, la composizionedi una Vita (passio), uno studiodella Vita e dei Miracoli fatto dalVescovo, che con Decreto (atto giuridico)permetteva la elevatio o translaziocorporis (atto liturgico).Per il corpo si prevedeva una elevatiodal fondo della terra per un sepolcropiù degno in una cappella o in unachiesa costruita sulla tomba.La translazio dalla prima tomba adun luogo diverso, Chiesa o Abbazìa,permetteva la celebrazione di unafesta liturgica e i pellegrinaggi.Cosa che è avvenuta per l’AbateGioacchino da Fiore!L’Arcivescovo di Cosenza monsignorLuca Campano, che resse lacattedra bruzia dopo la morte diGioacchino, ne compose la primaVita, e sicuramente durante il suoepiscopato ne permise la traslazionenella nuova abbazìa la cui fondazionerisale al 1213/15 quando papaInnocenzo III concesse ai florensil’autorizzazione di trasferire la casamadre da Iure Vetere in una zona


123L'uomo di Dio 123“Accorsero a questa traslazione – si leggenel Mirabile XVIII – per rendere onore,devozione, dignità, insieme a moltissimimonaci, tre abati di santa fama.Accese, poi, le lampade e indossati i sacriparamenti si procedette a disseppellire etoccare la salma: il Signore, allora, perconfermare che quell’anima gli era stataed era gradita, e, ancora, che quel corpoera stato tempio dello Spirito Santo,si degnò di onorare quella traslazionecon un fatto meraviglioso e spettacolaafiancoRiproduzione dell'incisione della lastratombale, Cronologia di Greco (1612)nuova e più sicura dato che il primoinsediamento era strutturalmentecollassato 12 .Secondo gli storici la Vita di Luca èla più affidabile testimonianza biografica,scritta per confermare lasantità e i miracoli di Gioacchino 13 ;essa fu raccolta dal primo anonimocompilatore della Leggenda.Solo una condotta di vita eroica,insieme alle qualità intellettuali espirituali, illuminate dallo SpiritoSanto, diedero vita alla fama di santitàin vita ed in morte dell’Abate, esolo alla luce di questa fama che sicomprendono gli atti e i fatti narratinella Leggenda.L’Adorisio nel suo ampio esamedei miracoli dell’Abate fa cogliere,ad esempio, anche il valore del loroverificarsi in maniera progressiva,sempre più lontano dal luogo di sepolturadel beato anche se mediatodal contatto diretto con le sue reliquie.Un fenomeno che dopo il 1300 evidenziala tendenza ad attribuireal potere di intercessione dei Santi“una portata universale” 14 e non piùlegata ad un unico luogo.I miracoli attribuiti all’Abate, secondol’ampio studio di Adorisio,rientrano nelle regole della tabella12 P. Lopetrone, La Chiesa abbazìale di Cosenza,San Giovanni in Fiore, Librare, 1713 Cfr, A.M. Adorisio, I Miracoli dell’Abate,1114 A. Vauchez, La santità nel medioevo, IlMulino, 1989che caratterizza i miracoli medievaliindagati dal Vauchez.Il nuovo sepolcro situato nella cappelladella Vergine dove furono traslatii resti mortali dell’abate fu contrassegnatoda una lastra di pietracon su raffigurata l’immagine scolpitae/o incisa del primo abate conle fattezze iconografiche tramandatedal 1612 da Giacomo Greco che fumonaco e priore dell’abbazìa e latraslazione solenne fu accompagnatada eventi straordinari sia per ilcontatto con il corpo sia per la successivaraccolta di reliquie.Cornelio Pelusio sposta leggermentepiù avanti la data della traslazionedei resti mortali, e cioè al 1249(alla presenza di tre abati) dallaGrancia di Canale verso il monasterodi Fiore:


124 L'uomo di Dioa fiancoIl Battistero di Parmare. Uno appunto dei detti abati, di nomeGuglielmo e sofferente di quartana, eraestremamente debilitato, tuttavia per devozionedel santo Padre procurò di esserelà condotto sollecitamente. Toccando,quindi, l’abate Guglielmo con moltadevozione il corpo del beato Gioacchino,guarì lì per lì non solo della quartana, maanche di una malattia dello stomaco”. 15Sulla lastra era anche scolpita l’effigiedi Gioacchino; essa può considerarsiormai definitivamente perdutama fortunatamente Giacomo Greconella sua Chronologia ce ne ha lasciatouna descrizione. 16In quella stessa pubblicazione ilGreco fece anche riprodurre unasorta di immagine, stilizzata, cherisulta essere così la più antica raffigurazionedell’abate Gioacchino.Egli vi compare in abito monastico,con la mano destra tiene il pastoralee con la sinistra tiene appoggiato sulpetto il libro dell’Apocalisse. 17Sulla stessa lastra tombale furonoriportati i versi iniziali di un antico15 A.M. Adorisio, I Miracoli dell’Abate, 65.16 G. Greco, Ioacchim abbatis et Florensisordinis chronologia, Cosenza 1612, 122: «Effigiessiquidem eius in Florensi ecclesia adhucconspicitur in celebri cappella Virginis gloriosaesecus post illius altare veterrimum incoenotaphio insculpta, quae dextera baculum,laeva libellum retinere conspicitur».17 A.M. Adorisio, I Miracoli dell’Abate, 105-106inno da cantarsi in chiesa in cui conmolta probabilità se ne delineavanole virtù e i tratti spirituali:“Questi è l’abate di Fiore di celeste rugiadadispensatore”.La raccolta dei miracoli diGioacchino da Fiore, composta dalmonaco florense Giacomo Greco tra1586 e il 1612 si basa certamente suuna più antica ed originaria Leggendaagiografica, orale o scritta, alla qualeaveva potuto direttamente attingere.Questa leggenda costituisce “la sicuratestimonianza storica del sorgere diun culto locale” 18 e riavvicina l’Abatea quelle popolazioni di cui esso stessoè figlio.“Nella testimonianza narrativa dei miracoli,descritto ora come maestro severoche ammonisce e punisce, ora comepadre magnanimo e misericordioso cheperdona e salva, ora come compagno diviaggio, ora come ospite gradito, e ancora,come santo da invocare in ogninecessità, l’abate Gioacchino appare inuna dimensione umana e quotidiana piùcomprensibile e vicina anche alle personesemplici, arricchendo e mitigandonon poco quell’altra più austera figuradi assorto speculatore dei misteri divinie della sacra scrittura”. 19Intorno alla metà del Duecento si18 Ivi, 1019 Ivi, 11assiste dunque ad un riaccendersidell’interesse nei confronti dellapersona di Gioacchino, favorito anchedall’avvicinarsi dell’anno 1260,durante il quale avrebbe dovutoaver inizio la terza età, l’età delloSpirito.Nonostante Salimbene nel De Adamasserisse a più riprese, che dopo il1260 egli aveva cessato di dar rettaalle profezie gioachimite, impiegandoil proprio tempo in attività piùproficue, di fatto, quando scrisse lasua Cronica, negli anni Ottanta delDuecento, subiva ancora il fascinodella persona di Gioacchino. 20Infatti, Salimbene, che non ritieneopportuno seguire in tuttoGioacchino nelle sue teorie, loconsiderava comunque un “santouomo” 21 ; egli peraltro, dopo avernarrato una disputa tra il francescanoUgo di Digne e il domenicanoPietro di Puglia (il primo "gioachimita"entusiasta, il secondo piuttostoscettico nei confronti delle teorie20 Cf. A. Gattucci, Parole, figure e inflessionigioachimite nella “Cronica” di Salimbene,in Salimbeniana. Atti del Convegno per ilVII Centenario di fra Salimbene. Parma1987-1989, Bologna 1991, 95-116.21 Cf. Salimbene De Adam, Cronica I., ediditG. Scalia (Corpus christianorum. ContinuatioMediaevalis, 125), Turnholti 1998,359: «Quamvis abbas Ioachim fuerit sanctushomo».


L'uomo di Dio 125a fiancoIncisione degli Oracoli di Salimbenedell’Abate) 22 , riferisce un episodiodestinato a certificare la pazienza diGioacchino e la sua santità.Si tratta, certamente, di una testimonianzaimportante, poiché mostracome negli anni Ottanta delDuecento la convinzione della santitàdi Gioacchino non si era incrinataneppure tra coloro che – come ilcronista parmense – si erano ormairaffreddati nell’entusiasmo per lesue dottrine.Salimbene si mostra orgoglioso dipoter riferire, in merito alla santitàdi Gioacchino, un episodio (unumexemplum) non testimoniato dallasua Legenda, nel quale si mostra lasua “grandissima pazienza” (patientiamaxima).Che la fama di santità di Gioacchinosi mantenesse viva anche nei decennisuccessivi, lo mostra con evidenzail fatto che Dante, nella Commedia,collochi Gioacchino nel Paradiso,vicino ad altri grandi, grandissimipersonaggi della storia della teologiae della spiritualità cristiana.Come è ben noto, dopo aver illustratola vita di Domenico, e dopoche nel canto precedente Tommaso22 Secondo Salimbene, fra Pietro di Pugliaavrebbe risposto così a frate Giovannino,cantore a Napoli, che gli chiedeva un giudiziosulla dottrina di Gioacchino: Tantumcuro de Ioachym, quantum de quinta rotaplaustri (ivi, 361).aveva narrato le gesta di Francesco(“Degno è che, dov’è l’un, l’altro s’induca:/ sì che, com’elli ad una militaro,/ cosí la gloria loro insieme luca”) 23 ,Bonaventura presenta a Dante gli altrigrandi spiriti che sono accanto alui nella seconda corona: i santi dellaprima generazione francescana, poiancora Ugo da San Vittore, PietroMangiatore, Pietro Ispano, il profetaNatan, san Giovanni Crisostomo,sant’Anselmo d’Aosta, il grammaticoDonato, quindi esclama:“Rabano è qui, e lucemi dallato / il calavreseabate Giovacchino, / di spiritoprofetico dotato” 24 .Per comporre questa sua famosaterzina Dante non fece altro che elaborareparzialmente l’antifona che imonaci forensi recitavano ai Vespri,nell’officiatura liturgica del beatoGioacchino:“B. Joachim, spiritu dotatus prophetico,decoratus intelligentia errore procul haeretico,dixit futura ut praesentia” 25 .Una officiatura che è dunque utilizzatanel XIII secolo per venerarel’Abate e non postuma, o secondole testimonianze di Bernardo da23 Paradiso XII, 34-36.24 Paradiso XII, 139-141.25 Testo in Acta Sanctorum Maii, t. VII, Antuerpiae1688Napoli raccolte dal Sanfelice e trasmesseal Sant’Uffizio 26 e che forseè viziata per timore dell’indaginevescovile, o ancora per non arrecardanno alla figura del “beato”Gioacchino dopo la promulgazionedei Decreti di Urbano VIII. Nellastessa raccolta di testimonianze infattiil sacerdote secolare Carlo d’Ippolitoafferma esplicitamente che“il detto Abbate Gioacchino è tenutoper Beato, e così lo chiamano i Monaci,quanto li secolari di detto luogo” e glistessi Bernardo di Napoli e DiegoPugliese utilizzarono l’espressione“beato Gioacchino” (sapendo di deporreper una indagine vescovile)così come fece Donato Ranue, monacodella stessa Congregazione.“Viene comunemente da tutti gliMonaci della nostra religione, tenuto, ereputato l’Abbate Gioacchino per Beato”e cita anche la Vita del Padre LauroAbate del Saggitario nella parte ovesi legge: “da tutte le genti di quellaTerra viene reputato per Beato”.Gioacchino, dunque, non solo godevadi un culto all’interno del proprioOrdine, ma i testi propri della suafesta liturgica erano – molto probabilmente– conosciuti anche fuoridell’Ordine stesso, come mostra ilfatto che l’antifona dei Vespri sianota a Dante, anche se non possia-26 Archivio della Congregazione per ladottrina della fede, St St B 4 – h, fasc. 1,1680 Gioacchino da Fiore, ff 272r-294r


126 L'uomo di Diomo escludere che l’Alighieri stessoabbia avanzato – in proposito – specificarichiesta a qualche monasteroflorense.Il grande poeta fiorentino, peraltro,doveva in qualche modo aver visto(o averne avuto notizia) anche alcunedelle tavole del Liber figurarumche meglio esprimono il genialesimbolismo del monaco e teologocalabrese.Nel 1346 i florensi presentarono allaCuria papale, allora in Avignone,una raccolta di materiali sul lorofondatore, con la richiesta che fosseistituita una Commissione per vagliarei miracoli di Gioacchino, conl’obiettivo di giungere ad una dichiarazionepubblica definitiva dellasua santità. Alcuni abati dell’Ordineflorense, riuniti a Pietrafitta,dettero anche mandato all’abatedi San Giovanni in Fiore, Pietro, difarsi carico dell’iniziativa. In queglistessi anni comparvero, in alcunicodici gioachimiti, illustrazioni chetendevano a mettere in risalto la celesteprerogativa del loro fondatore.Tuttavia, come sappiamo, il tentativosi concluse con un nulla di fatto.Attestazioni della fama sanctitatisdi Gioacchino e della devozione nutritanei suoi confronti dalle popolazionicalabresi si registrano anche inepoca moderna.È stato ancora Adorisio a richiamarel’attenzione sulle relazioni, tuttorainedite, della visita compiuta tra il1571 e il 1577 da don Giusto Biffolati,priore di Casamari, ai monasteridi San Giovanni in Fiore, Altilia eCorazzo: nel 1570, infatti, i monasteriflorensi erano stati riuniti all’Ordinecistercense.Proprio in queste relazioni troviamola prima testimonianza che, inetà moderna, ci parla della tomba diGioacchino e della grande devozionedi cui era oggetto da parte dellagente dei dintorni. Scrive infatti ilBiffolati:“In questo monastero, in una cappella,in un sepolcro marmoreo è sepolto il beatoabate Gioacchino, oggetto di grandevenerazione e devozione dalla gente delcircondario”.La sua descrizione del sepolcro, peraltro,coincide sostanzialmente conquella che qualche decennio più tardifornirà Giacomo Greco nella suaben nota Chronologia.Il 26 maggio 1640, da Venezia, il carmelitanoLudovico Giacomo da SanCarlo inviò a Costantino Gaetani latestimonianza di un autore carmelitanosulla santità di Gioacchino; il 22dicembre dello stesso anno, FabrizioCorrado scrisse – da Napoli – alGaetani riferendo notizie sulla casanatale di Gioacchino trasformata inchiesa dagli abitanti di Celico, chenutrivano grande venerazione per illoro Beato concittadino.È testimoniato che il 18 ottobre 1643,furono il clero e i cittadini di Celico afare fede, con attestato notarile, cheGioacchino era nato nel loro paesee che era grande la devozione dicui godeva la chiesa dell’Assunta,costruita sulla sua casa natale. Essiperaltro attestarono del miracoloavvenuto il 27 marzo 1638, quandoa seguito del violento terremoto chedevastò la Calabria.“Solo restò in piedi la sopradetta chiesaper miracolo di detto Beato, quasi per dimostrarsiper vero Beato Profeta nostroprotettore, che in piedi se ne sta pregandoil Signore a beneficio di noi suoi concittadini,quale opinione di santità e spiritoprofetico è stata ab imemorabili” 27 .Con attestato notarile, i cittadini diSan Giovanni in Fiore confermarono,il 15 marzo 1636, l’esistenza nel loropaese, ab immemorabili, del monasteroflorense; nel descrivere la chiesa abbaziale,essi peraltro attestarono che27 A. M. Adorisio, Contributo alla storia deglistudi gioachimiti, 317“nella detta chiesa a mano destra, quandosi entra, vi sono pintate al numero disette immagini a fresco”:la settima immagine, dopo (nell’ordine)il Crocifisso, san GiovanniEvangelista, la beata Vergine, sanGiovanni Battista, san Bernardo, sanBenedetto, è quella:“del Beato Gioacchino con li ragi atornoil capo, nella mano sinistra tiene unacroccia pastorale et nella destra il libro,vestito con la cuculla del medesimo ordineet di sotto l’instessa immagine unaiscrittione la quale dice: B. JoachimusAbbas floren; et per quanto noi sapemoet avemo inteso dire tanto alli patri delmedesimo Monasterio di detto ordinecome alli homini vecchi di detta nostrapatria le su dette imageni sonno antichissimeet non si ne ha memoria diquanto furno pintate”.Nel già citato attestato notarile, rogatoa Celico il 18 ottobre 1643, siasseriva pure:“dalli nostri antichissimi antecessori èstata pittata la sua imagine nella portadel organi nella prospettiva di fuoridentro la chiesa parrocchiale di S.Michel’Arcangelo in questa medesimaforma: sedente nella sedia con la mitrialibro et penna in mano con un raggiodi lume di sopra con l’epitafio: BeatusJoachim Abbas in anno 1587, et s’ha comunementeper beato miracoloso, et pertale lo reputamo et tenemo”.Francesco Russo scrive che, semprein Celico, nella chiesa di S. Maria delFosso, sul soffitto vi era dipinta la“Madonna con il B. Gioacchino a destrae S. Francesco di Paola a sinistra”; così,pure, egli afferma che “nel monasterodel Sagittario in Lucania, sopra l’ingressodell’Archivio, c’era l’immagine diGioacchino con la testa aureolata” e cheun’immagine fu portata alla luce,nel 1909, anche nella cattedrale di S.Severina ed è ancora ben visibile.


L'uomo di Dio 127Le raffigurazionidell’abateGioacchinoda FioreLe più antiche raffigurazionidell’abate Gioacchino siconservavano nell’Abbaziadi San Giovanni in Fiore,nessun originale è, però, a noi pervenuto.Una delle immagini antiche dell’abatela conosciamo perché riprodotta astampa da Giacomo Greco nella suaopera titolata: “Cronologia dell’abateGioacchino e dell’ordine florense”,edita nel 1612. In questa stampaGioacchino è ritratto col capo coperto,in abito monastico, con il bacolopastorale nella mano destra e uncodice dell’Apocalisse nella sinistra.La raffigurazione sembra essere statapredisposta come un ritratto, giacchénon presenta attributi conformiall’iconografia funeraria, pertantoassume un valore assoluto su tutte lealtre raffigurazioni, prodotte in epocasuccessiva, questa immagine sullacornice presenta una scritta che recita:«Questa che vedi è la vera immaginedel celebre Gioacchino che fu nel mondomirabile nell’aspetto e nell’anima».È documentato che nell’abbaziaflorense vi era un’altra immaginedell’abate Gioacchino dipinta adaffresco, quella indicata dal sindacodi San Giovanni in Fiore in unarelazione del 1636, ove si attestache nella Chiesa del Monastero «amano destra quando si entra»,si vedeva un'immagine diGioacchino, raffigurato«con li ragi atorno ilcapo», accanto allaMadonna, a SanGiovanni evangelista,San Bernardoe San Benedetto.Il sindaco del tempoafferma che sitrattava di un ciclodi immagini antichissime,anche danoi non databiliperché non pervenute.Un’altra immaginemolto anticadi Gioacchino, altrettantofamosa, èquella dipinta nellaminiatura nell’incipitdel codicechigiano (A. VIII.231, f.1v), relativoall’Expositioin Apolalypsimdella BibliotecaA p o s t o l i c aVaticana. A dettadegli esperti il manoscrittorisale al primoquarto del sec. XIII,ma la miniatura è stata aggiuntasuccessivamente e mostracaratteristiche stilistichedel sec. XIV. In questa immaginel’abate Gioacchino è dispostodi tre quarti, in posizione eretta,vestito di un abito monastico di colorebianco, con il bacolo pastorale,di colore celeste, sorretto dalla manosinistra e un codice chiuso, dotato dicopertina rossa, sorretto dalla manodestra. Il capo,scoperto e tonsurato,è circondatoda un’aureolarotonda moltomarcata, secondoi tipi dellat r a d i z i o n a l eiconografia deisanti.Più o meno alla stessa epoca risalel’immagine di Gioacchino che comparenell’incipit del manoscrittodella Biblioteca Apostolica Vaticana-ms. Vat. Lat. 4860, c.35r-, dove ap-


128 L'uomo di Dionella pagina precedenteGiacchino con aureola, miniatura medioevale - Vat. Lat. 4860in altoBusto realizzato a San Giovanni in Fiore, Parrocchia dell'Olivaro opera di Mario Succurropare vestito di bianco, giovane, sbarbato,che esibisce un libro aperto,col capo tonsurato e circoscritto daaureola.In un attestato del 1643, redatto dalclero di Celico sta scritto che dovela casa natale di Gioacchino era stataedificata la chiesa dedicata allaMadonna Assunta (Madonna delFosso) e si fa fede che sulla portadell’organo della chiesa parrocchialedi San Michele era raffigurato l’abateGioacchino «sedente nella sediacon la mitria, libro et penna in manocon un raggio di lume di sopra conl’epitafio: Beatus Joachim Abbas inanno 1587, et s’ha comunemente per beatomiracoloso».Nella Cattedrale di Santa Severina,in un affresco visibile presso la portadella navata sinistra, datato dagliesperti come opera d’arte risalentealla fine del XVI secolo, quindi altempo di Giacomo Greco, compareGioacchino (in abito monastico biancoprivo di cordiglio e di cappuccio),raffigurato insieme a San Francescodi Paola: i due monaci fondatoridi ordini in Calabria presentanola Vergine in trono (la Chiesa) conGesù bambino benedicente, che sorreggeun globo con croce. In questodipinto l’abate florense tiene ilpastorale nella mano destra, segnoalla carica di abate, e un libro dallacopertina rossa, nella mano sinistra;innanzi alla figura è disposta,poggiata su un cartiglio, una mitriabianca, segno della dignità vescovileparificata alla carica d’abate. Il personaggioè qui raffigurato quasi calvo,con lunga barba bianca e in etàavanzata, con attorno al capo l’aureolatipica dei Santi.Nel sec. XVII esisteva anche nel monasterocistercense di S. Maria delSagittario, presso Chiaromonte, inBasilicata, una pittura raffigurantel’abate Gioacchino, purtroppoanch’essa non pervenuta.Diverse altre immagini dell’abateGiaocchino compaiono nelle pubblicazionidel Cinquecento e dei secolisuccessivi, fino a giorni nostri.Trattasi per lo più di immagini chepossono essere assunte come ritrattidi ricostruzione, dove ogni artistanon ha visto il soggetto, tuttavia hatentato, sulla base delle informazioniraccolte e della sua sensibilità, di ricrearlo,sia nella fisionomia che nellapsicologia, secondo i concetti comunisedimentati sul personaggio. Aquesta tipologia appartengono direiquasi tutte le immagini, anche quellegiacenti in America latina, conservateper lo più nei conventi francescanio esposte nei principali musei, alpari del quadro fatto realizzare dallaPostulazione della Causa e dall'Arcidiocesidi Cosenza in occasione dellefasi preliminari della causa di beatificazione,della scultura in bronzo,a mezzo busto, fatta realizzare daMons. Carlo Arnone e della medagliarealizzata per le celebrazionidell’VIII centenario della mortedell’abate Gioacchino da Fiore.


L'uomo di Dio 129Commissione Storica DiocesanaGioacchinosanto o eretico?La difesa nelle lettere Apostoliche dei Papi e nello stessoConcilio Lateranense IV (1215)Nel 1184, nella famosa decretaleAd abolendam,Lucio III, senza troppopreoccuparsi di distinguere,ingloba in un’unica condannavari gruppi religiosi:«In primo luogo, dunque, decidiamoche siano soggetti a perpetuascomunica i Catari ed i Patarini ecoloro che si fregiano del falso nomedi Umiliati oppure di Poveri diLione 1 , i Passagini, i Giosefini e gliArnaldisti» 2 .Poco dopo la metà del XII secolosi erano infatti ormai chiaramentedelineate – e manifestate le grandicorrenti ereticali, la gran parte dellequali (o, almeno, quelle che godrannodi una più ampia diffusione) appaionoriconducibili all’interno didue filoni: un primo, pauperista eanticurialista, nel quale possiamo inserireArnaldisti, Umiliati e Poveri diLione; un altro di marcata ispirazionedualistica, all’interno del quale si1 Proprio questa assimilazione degli Umiliatiai Poveri di Lione mostra con tuttaevidenza che il pontefice (e con lui la cancelleriae chi ha collaborato alla redazionedel documento) condanna una esperienzadi cui ha una conoscenza solo superficiale.2 Decretales Gregorii IX, lib. V, tit. VII Dehereticis, cap. IX, in Corpus iuris canonici II,a cura di E. Friedberg, Leipzig 1881, 780;cf. anche Enchiridion fontium Valdensium..collocano le chiese catare 3 . Proprio lacondanna generalizzata del ponteficeappare il segno eloquente del disorientamentoecclesiastico di fronteall’insorgenza del fenomeno ereticale.Peraltro, sempre nella decretaleAd abolendam, venivano scomunicatitutti coloro che avessero preteso predicarepur essendone stati impediti orisultassero privi di una speciale licenzaconcessa della Sede Apostolicao del vescovo del luogo:«Poiché alcuni, sotto apparenza dipietà, ma essendo del tutto privi dellevirtù che la caratterizzano, secondoquanto dice l’apostolo, rivendicanoper sé l’autorità di esercitare lapredicazione, mentre lo stesso apostolidice: "In che modo ci sarannodei predicatori, se non saranno mandati?",annodiamo con uguale vincolodi perpetua scomunica tutti coloroche avranno la presunzione di predicaresia in pubblico che in privato,pur avendone ricevuto la proibizioneoppure non essendo stati inviati,al di fuori di ogni autorizzazione ri-3 Una esposizione globale dei vari fenomeniereticali del Medioevo offrono Ilarinoda Milano, Le eresie medioevali (sec.XI-XIV), ora in Id., Eresie medioevali. Scrittiminori, introduzione di Stanislao da Campagnola(Studi e ricerche dell’Istituto diStoria della Facoltà di Magistero dell’Universitàdi Perugia, 1), Rimini 1983, 17-112,con un’antologia di testi (il saggio fu pubblicatonel 1954 per la Grande AntologiaFilofica edita da Marzorati); G. G. Merlo,Eretici ed eresie medievali (Universale paperbacksIl Mulino, 230), Bologna 1989.cevuta dalla Sede Apostolica oppuredal vescovo del luogo» 4 .Se il dualismo divideva catari e valdesi,la predicazione finiva per accomunarlie con essi gli Umiliati e gliArnaldisti. Molto meno sappiamodei Passagini, che troviamo menzionatiper la prima volta proprio nelladecretale del 1184, e il cui nome appareripetuto anche in altri documentipapali fino alla metà del XIII secolo:diffusisi nell’Italia settentrionale negliultimi decenni del XII secolo, essivanno collocati nell’ambito dell’eresiacristiana, non giudaizzante, comecredeva anche uno storico attentodel fenomeno ereticale quale Ilarinoda Milano 5 , «anche se hanno potutoavere contatto con ebrei, per imparare,ad esempio, la circoncisione» 6 .Nella seconda metà del XII, dunque,la Chiesa Cattolica, avvertì il pericolodell’eresia, di fronte al quale sitrovò, di fatto, impreparata. Peraltro,le misure decretate nel canone 27 delConcilio Lateranense III non riguardavanoindistintamente tutti i luoghinei quali l’eresia era presente – in4 (Corpus iuris canonici II, 780; cf. ancheEnchiridion fontium Valdensium, 51): inquesto caso ho utilizzato la traduzione diR. Rusconi, Predicazione e vita religiosa nellasocietà italiana, 91. Cf. G. G. Merlo, Ereticied eresie medievali, 51-52.5 Cf. Ilarino da Milano, Le eresie medioevali,40; Id., L’eresia di Ugo Speroni nella confutazionedel maestro Vacario (Studi e testi, 115),Città del Vaticano 1945, 436-444.6 R. Manselli, I Passagini, 309.


130 L'uomo di Dioa fiancoDipinto raffigurante Papa Innocenzo III,particolareItalia, ad esempio, sono molteplicile attestazioni registrate proprio inquegli anni – ma soltanto le regionidella Guascogna e della Linguadoca.Molto probabilmente, la lotta control’imperatore Federico Barbarossaaveva assorbito in gran parteAlessandro III 7 . Ciò fece sì che la presenzaereticale, soprattutto quella catara,guadagnasse posizioni, particolarmentenell’Italia centro-settentrionalee nella Francia meridionale. Sene rese conto un intellettuale comeAlano di Lilla, che dedicò proprioai catari il primo libro del suo Defide catholica e se ne accorse anche –nell’Italia meridionale 8 – Gioacchinoda Fiore, che accenna con preoccupazionea catari e valdesi nel De articulisfidei, nei Tractatus super quatuor evangelia,nella Expositio in Apocalypsim 9 .Gli spiriti più avvertiti si rendevanoconto della necessità, non più pro-7 Cf. M. D’Alatri, Il vescovo e il “negotiumfidei” nei secoli XII-XIII, in Id., Eretici ed inquisitoriin Italia. Studi e documenti I. Il Duecento(Bibliotheca seraphico-capuccina,31), Roma 1986, part. 113-114.8 Cf. R. Manselli, Profilo della storia religiosa,324-325, dove si rileva la situazionedifferente, in rapporto all’eresia, tral’Italia centro-settentrionale e quella meridionale,e se ne offre una prima chiavedi lettura.9 Cf. R. Manselli, Testimonianze minori sulleeresie: Gioacchino da Fiore di fronte a catari evaldesi, in Id., Da Gioacchino da Fiore a CristoforoColombo. Studi sul francescanesimospirituale, sull’ecclesiologia e sull’escatologismobassomedievali. Introduzione e curadi P. Vian (Nuovi Studi Storici, 36), Roma1997, 491-507.crastinabile, di una massiccia operadi evangelizzazione, l’unica viapercorribile per difendere il popolodalla propaganda ereticale, tanto cheun maestro autorevole come Pietro ilCantore tuonò contro i prelati restiia voler intraprendere un’opera tantonecessaria: nel Verbum abbreviatumegli definì il loro silenzio una pessimataciturnitas 10 .Tale carenza in ordine all’evangelizzazione,lamentata da moltefonti non sospette (anche perché ascrivere sono sempre dei chierici),generò profonda insoddisfazionenei laici, che maturarono l’esigenzadi accedere direttamente alle fontidella Rivelazione, convinti del fattoche pure ad essi era stato affidato ilmandato evangelico di predicare il10 Cf. PL 205, 189.Vangelo ad ogni creatura. Già nel1179 Valdesio di Lione e il suo gruppoerano giunti a Roma per chiederel’autorizzazione a predicare: avevanocon sé una traduzione in volgaredei testi sacri tradotti in volgare; manon ebbero buona accoglienza nellaCuria Romana, come ci narra, con abbondanzadi particolari, Walter Mapnel De nugis curialium 11 . All’inizio delsuo pontificato Innocenzo si trovò adover dirimere una contesa insortanella Chiesa di Metz, dove un gruppodi laici, uomini e donne, insoddisfattidelle risposte fornite dal cleroal loro desiderio di conoscenza delleSacre Scritture, aveva promosso unatraduzione (in gallico sermone) di testiscritturistici (Vangeli, lettere di11 Walter Map in Enchiridion fontium Valdensium,122-123.


L'uomo di Dio 131a fiancoLa prima riunione della CommissioneStorica - 27 giugno 2001 - PalazzoArcivescovile di CosenzaPaolo, salterio), dei Moralia in Job diGregorio Magno e di molti altri libri.Nel 1199 Innocenzo intervenne condue lettere, indirizzate l’una al popolodi Metz, l’altra al vescovo e aicanonici della stessa città: di fronteal popolo, il pontefice, pur riconoscendoche il desiderio di apprenderele Sacre Scritture non sia oggettivamenteda sconsigliare, quantopiuttosto da raccomandare, difendetuttavia le prerogative del clero, alquale viene demandato dal Signoreil compito di pascere il gregge dei fedeli,e riprende l’atteggiamento delleconventicole che a Metz usurpavanol’ufficio della predicazione disprezzandoi sacerdoti a causa della lorosemplicità; rivolgendosi al vescovoe ai canonici, però, li invita ad usareestremo tatto, ad informarsi concura di chi sia all’origine di quelletraduzioni e da quali intenzioni sianomossi, quale sia la fede degli appartenential gruppo, quale il lororapporto con la Chiesa cattolica econ la Sede Romana, per evitare chepersone semplici, mosse soltanto daun forte bisogno religioso, possano –trattati da eretici – essere in qualchemodo spinti verso l’eresia.«Ne […] in hereticos de simplicibuscommutentur»: si può cogliere – nelleparole di Innocenzo III – una criticanon troppo velata alla precedente lineadi condotta della Curia Romanae dei suoi stessi predecessori. Ancoranel 1209, scrivendo all’arcivescovodi Narbona ed ai suoi suffraganei,Innocenzo afferma che corregge piùfacilmente l’affabilità della graziache non l’asperità della disciplina.In questo dibattito molto vivo, checoinvolse molti ambienti, le personalitàspiritualmente più eminenti e lementi teologicamente più avvertite,Gioacchino – molto più permeato diletteratura monastica di quanto spessosi sia creduto – sposò decisamenteil partito contrario alla predicazionelaicale 12 , a differenza di quel chefece Pietro Cantore, il famoso e giàmenzionato maestro parigino, chesi mostrò favorevole a concedere ailaici il diritto di predicare ed espresse– invece – esplicite riserve su alcunelinee interpretative della teologiadella storia di Gioacchino 13 .Il metodo di Innocenzo III rappresentòdunque una svolta rispetto allostile adottato dai suoi predecessori.Nettissima fu la sua presa di posizionea favore di un rinnovato impegnoin ordine all’evangelizzazione.12 G. L. Potestà, La visione della storia diGioacchino: dal modello binario ai modelli alfae omega in Gioacchino da Fiore tra Bernardodi Clairvaux e Innocenzo III. Atti del 5° Congressointernazionale di studi gioachimiti.San Giovanni in Fiore, 16-21 settembre1999. A cura di R. Rusconi (Centro Internazionaledi Studi Gioachimiti S. Giovanniin Fiore. Opere di Gioacchino da Fiore:testi e strumenti, 13), Roma 2000, part.189-192.13 G. L. Potestà, La visione della storia, 191;R. E. Lerner, Joachim and the Scholastics, inGioacchino da Fiore tra Bernardo di Clairvauxe Innocenzo III, 256.Grazie alla duttilità da lui mostrata,il pontefice ricondusse all’internodella Chiesa il gruppo degli Umiliatie alcuni gruppi di Valdesi, e permise(senza tuttavia troppo impegnarsiin loro favore) la nascita dei futuriOrdini Mendicanti, che costituirannoun elemento determinante in ordinealla riforma della Chiesa e dellalotta antiereticale 14 . Sin dall’inizio delsuo governo egli manifestò la fermaintenzione di agire senza tentennamentie in egual modo intimò di fareai vescovi. Nella lettera al vescovo diSiracusa, del 5 gennaio 1199, dopouna pessimistica visione del tempopresente, egli afferma che, spinto dalbiblico invito alla cattura delle piccolevolpi, non vuol esser paragonatoa quei cani muti che non voglionolatrare, né assistere inerte alla rovinadella vigna del Signore degli eserciti,della quale è stato costituito operaio,anzi guida degli operai, pur se quasiall’ora undecima 15 . Ferma determinazione,dunque, da parte del pontefice:d’altronde tornerà ancora, nelsuo epistolario, questo riferimento ai14 La bibliografia in proposito è sterminata:ci si limita a rinviare a M. Maccarrone,Riforme e innovazioni di Innocenzo III nellavita religiosa, in Id., Studi su Innocenzo III(Italia sacra, 17), Padova 1972, 221-337; IlPapato duecentesco e gli Ordini Mendicanti.Atti del XXV Convegno internazionale.Assisi, 13-14 febbraio 1998, Spoleto 1998:quest’ultima pubblicazione fornisce unapiù completa e aggiornata bibliografiasull’argomento.15 Cf. PL 214, 472 B.


132 L'uomo di Diocani muti (citazione da Is 56, 10) aiquali egli non vuole essere assolutamenteparagonato 16 .Scrivendo all’arcivescovo diNarbona nel 1203, Innocenzo si mostrairato col presule, poiché l’interadiocesi è piena di eretici, e lamentala penuria di combattenti: coloroche sono deputati alla custodia dellacasa di Dio, costituiti pastori delgregge non si sognano affatto di accingersialla lotta contro i nemici edi ergersi quale muro in difesa dellacasa di Israele 17 . Da questa presa dicoscienza della drammaticità dellasituazione presente, scaturiscein Innocenzo una ferma volontà dipropaganda antiereticale, che deveessere accompagnata, di pari passo,da una seria opera di riforma del tessutoecclesiale. Furono questi anchei motivi che spinsero il pontefice adindire un concilio universale, cosache egli fece con la lettera VineamDomini Sabaoth, del 10 aprile 1213,diretta a tutti gli arcivescovi, vescovi,abati e priori 18 .Sorge subito, tuttavia, una questione:come mai né i valdesi né – tantomeno– i catari, che pur costituivanoormai il «problema» per eccellenzadella cristianità, contro i quali pochianni prima era stata bandita una16 Cf. PL 214, 904; 215, 355 A. Giacomoda Vitry, nella famosissima lettera scrittada Genova nel 1216, nella quale parla difratres e sorores minores, conclude: «Credoproprio che il Signore, prima della finedel mondo, voglia salvare molte animeper mezzo di questi uomini semplici epoveri, per svergognare i prelati, divenutiormai come cani muti, incapaci di latrare»(R. B. C. Huygens, Lettres de Jacques deVitry (1160/1170‐1240), évêque de Saint‐Jean‐d’Acre.Edition critique, Leiden 1960, 76(la traduzione in Fonti Francescane, 1908,num. 2208).17 Cf. PL 215, 273C-D. Espressioni identicheritornano nella lettera del 17 dicembre1206, indirizzata a Raoul di Fontfroide (cf.PL 215, 1024D).18 Cf. il testo in PL 216, 823D-825C; se neoffre una traduzione in Storia dei Conciliecumenici VI. Lateranense I, II, III e LateranenseIV. Edizione italiana a cura di O. Pasquato,Roma 2001, 317-319.crociata, non furono mai espressamentenominati dai documenti delLateranense IV, mentre lo furonoGioacchino da Fiore e Amalrico diBene? Anticipo una problematicache svilupperò più tardi, nell’analisidella Cost. 2 del Concilio, De erroreabbatis Ioachim: entrambi, Gioacchinoe Amalrico, costituivano, differentementeda catari e valdesi, un problemaper l’università.Il ConcilioLateranense IV«Noi riuniremo a suo tempo un conciliogenerale: allo scopo di estirparei vizi ed instaurare le virtù, sanaregli abusi e riformare i costumi, sopprimerele eresie e rafforzare la fede,pacificare le discordie e consolidarela pace, reprimere l’oppressione e incoraggiarela libertà, per indurre i sovranie i popoli cristiani a soccorrerela Terra Santa con l’aiuto sia del cleroche dei laici, e per trattare diversequestioni che sarebbe troppo lungoelencare» 19 .In tal modo il pontefice – tenendounite la riformadellaChiesa e l’impresadellaCrociata – sintetizzava,nellaVineam DominiSabaoth, gli obiettividel prossimoConcilio, al quale invitavavescovi e abatichiedendo loro di«indagare accuratamente, inprima persona o per mezzo di genteaffidabile, su tutti i punti che ri-19 R. Foreville, Storia dei Concili ecumenici,217-218. M. Maccarrone, Il IV Concilio Lateranense,in Divinitas 5 (1961) 270-298; Id.,Lateranense IV, in Dizionario degli Istituti diPerfezione V, Roma 1973, coll. 474-498.chiedano correzione o riforma» 20 ; alriguardo, egli chiedeva anche unarelazione scritta, in cui dovevano essereelencati con esattezza i punti cheil Concilio avrebbe dovuto prenderein esame. Queste relazioni, di cuinulla si è conservato e che sarebberoindubbiamente preziose, non furonocerto l’unica fonte di informazioneper Innocenzo III: notevole importanzadovettero avere anche le relazionidei suoi legati 21 . A quest’imponentefase preparatoria Innocenzoassegnò tuttavia notevole importanza,come dimostra l’ampio lasso ditempo ad essa concesso.Al Concilio presero parte circa duemilapersone: quattrocento eranovescovi, la metà dei quali provenientidall’Italia (ma risultarono assentitutti quelli della Marca di Ancona ebuona parte di quelli del Ducato diSpoleto). Completamente assenti anchei vescovi delle Chiese orientali, ein tal senso si può dire che il Conciliocomportò più svantaggi che vantaggiin ordine alla causadell’unione 22 .Peraltro, il20 Ibidem, 318-319.21 Lo sottolinea M. Maccarrone, Il IV ConcilioLateranense, 276.22 Cf. M. Maccarrone, Il IV Concilio Lateranense,279.


L'uomo di Dio 133Concilio dedicò notevole attenzionea questioni di natura politica, tra lequali la più importante (ma non l’unica)fu la controversia tra Federico II eOttone IV, che generò un vero e propriotumulto durante lo svolgimentodella seconda sessione, in cui vennetrattata (20 novembre). Le costituzionipubblicate dal Concilio si occupanoinvece dei due compiti assegnatidal Papa a quell’assise solenne, e cioèla riforma della Chiesa e la crociata.In verità quest’ultimo aspetto venneaffrontato soltanto nell’ultimo documento,la cost. [71], con cui vengonopromulgate dettagliate istruzioniper la nuova crociata bandita dalConcilio (essa avrebbe dovuto avereinizio il 1° giugno 1217: i partecipantialla spedizione «qui disposuerunttransire per mare» sarebbero dovuticonvenire nel regno di Sicilia, alcunipresso Brindisi, altri presso Messinao in zone vicine a questi due centri) 23 .Differentemente da quanto si verificòal concilio Lateranense III, che videi vescovi direttamentecoinvoltinella stesura deidocumenti emanatiin quell’assise24 , i documenti delLateranenseIV risulta-23 Cf. cost. [71], in Conciliorum Oecumenicorumdecreta, curantibus J. Alberico – J.A. Dossetti – P.P. Joannou – C. Leonardi– P. Prodi, consultante H. Jedin, Bologna1973 3 , 267-271 (per i particolari sopracitati,cf. 267, rr. 19-22).24 Peraltro, lo stesso Alessandro III, rivolgendosiai partecipanti nella letteradi indizione Quoniam in agro Domini (21settembre 1178: si veda il testo in PL 200,184-185), aveva auspicato una loro pienacollaborazione: «Con l’ausilio dello SpiritoSanto, compiamo con sforzo comunel’incarico che ci è addossato, sia per sanaregli abusi, sia per stabilire quanto a Dioè gradito; come un sol uomo sorreggiamol’Arca del Signore (in uno humero sublevemusarcam Domini), con una sola bocca,glorifichiamo Dio, Padre del Signore nostroGesù Cristo» (R. Foreville, Storia deiConcili ecumenici, 193).no essere il frutto del lavoro delPapa e della Curia: è dunque inprimo luogo ad Innocenzo III che«deve esserne attribuito il merito ela responsabilità» 25 . Indubbiamente,oltre l’attività legislativa già prodottada innocenzo III, furono valorizzatii canoni dei concili precedentie quelli di alcuni concili nazionalie provinciali tenutisi in anni vicini,particolarmente quelli svoltisi in terradi Francia sotto la presidenza delLegato papale Roberto di Courçon.Le settanta costituzioni non seguonoun organico filo conduttore (rivelanoanzi, nel loro ordine, una certa disomogeneità),tutte attente però – ed èquesta la chiave di lettura che permettedi comprenderne senso e portata– alla riforma dei costumi e delladisciplina ecclesiastica.La secondacostituzione:De errore abbatisIoachimLa serie delle costituzioni conciliariinizia con una professione della fedecattolica (cost. 1: De fide catholica), cuifa seguito la condanna di opinioni teologichein materia trinitaria (cost. 2:De errore abbatis Ioachim) e degli eretici(cost. 3: De haereticis). La cost. 2, dunque,appare strettamente connessaalla precedente, come denota chiaramentel’ergo (damnamus ergo) all’iniziodel testo 26 : conseguentemente25 M. Maccarrone, Il IV Concilio Lateranense,28426 Lo sottolineano anche L. Paolini, La disputasulla Trinità fra Gioacchino da Fiore ePietro Lombardo, in Filologia romanza e culturamedievale. Studi in onore di E. Melli, acura di A. Fassò, L. Formisano, M. Mancini,Edizioni dell’Orso, s. l., 1998, 651; E.Reinhardt, Joaquín de Fiore y el IV ConcilioLateranense, in Anuario de Historia de la Iglesia11 (2002) 96.alla professione di fede espressa nellacost. 1 viene condannato il libellumseu tractatum di Gioacchino controPietro Lombardo. Difficile dire qualcosasu questa scritto, a tutt’oggiperduto: non dev’essersi trattato diun’opera voluminosa, come indica laqualifica di «libello» datale dal concilio,ma ci è impossibile determinarnecon precisione anche il titolo 27 . Forse,come ha sostenuto il Paolini sullascia del McGinn e del Selge, lo scrittorisaliva ad una fase «precedentel’intuizione del 1183», per cui l’insistenzadi Gioacchino sulla novità diquella «visione» può far «pensareverosimilmente all’abbandono di alcuneposizioni precedenti» 28 .L’unica cosa certa è che in questo scrittoGioacchino aveva definito PietroLombardo «eretico ed insano», inquanto egli finiva per proporre unavera e propria «quaternità in Dio»:indubbiamente l’accusa di quaternitànei confronti di Pietro Lombardo– riferita nella Costituzione conciliare– concorda con ripetute affermazionidi Gioacchino, che una taleaccusa l’aveva formulata già nell’Expositiovitae et regulae beati Benedicti,un’opera rimasta incompiuta, di cuil’Abate non curò mai una stesuradefinitiva, e in altre sue opere maggiori,come l’Expositio in Apocalypsim27 De unitate seu essentia Trinitatis (in Conciliorumoecumenicorum decreta, 231, rr.8-9): osserva Giovanni Di Napoli: «si tratterebbe,nella presentazione del Concilio,di uno sviluppo operato sul titolo dagliesperti del Concilio come per rendere piùchiaro il significato-contenuto dello scritto?La cosa è molto presumibile» (Gioacchinoda Fiore e Pietro Lombardo, in Rivistadi Filosofia neo-scolastica 71 [1979] 636). Cf.anche le brevi osservazioni di L. Paolini,La disputa sulla Trinità, 645.28 L. Paolini, La disputa sulla Trinità, 650.Questa sarebbe, secondo Paolini, «la ragioneper cui egli non lo inserì nell’elencodelle sue opere contenuto nella Epistolaprologalis o testamento di Gioacchino»(ibidem).


134 L'uomo di Dioe nello Psalterium decem chordarum 29 ,in cui, pur senza nominare il maestroparigino, egli respinse ancora la quaternitas;nella tavola XXVI del Liberfigurarum, al lato sinistro della figurasi trovano elencate le tre perfidie, laterza delle quali (anonima) può essereagevolmente collegata all’erroreattribuito dall’Abate al maestro 30 .Gioacchino si pone in piena continuitàcon il metodo patristico e laposizione dei grandi teologi monasticidel secolo XII, come Bernardoe Riccardo di S. Vittore 31 : appoggiandosisulle opere dei padri, tantoBernardo quanto Riccardo rifiutaronoil metodo e la terminologia allorain voga tra i maestri delle scholae 32(anche se recentemente AlessandroGhisalberti ha posto in evidenza alcuneconvergenze tra lo Psalteriumdecem chordarum e la Teolgia scholariumdi Pietro Abelardo 33 ); lo stessoPietro Lombardo, era fortunosamenteriuscito ad evitare la condanna daparte del Lateranense III, anche seAlessandro III, due anni prima, nel1177 aveva da par suo condannato– senza farne il nome – la proposizioneattribuita a Pietro Lombardo;dopo lo svolgimento del Concilio,Gualtiero di S. Vittore produsse unviolento attacco a quattro teologi dalui ritenuti aristotelizzanti: Abelardo,29 Cf., in proposito, G. Di Napoli, Gioacchinoda Fiore e Pietro Lombardo, 632; B. Mc-Ginn, L’abate calabrese. Gioacchino da Fiorenella storia del pensiero occidentale (opere diGioacchino da Fiore. Strumenti, 2), Genova1990, 178-179; E. Reinhardt, Joaquín deFiore, 99; L. Paolini, La disputa sulla Trinità,647.30 Cf. Paolini, La disputa sulla Trinità, 646.31 Cf. ibidem: Paolini segnala un testo dalDe Trinitate, in cui Riccardo di San Vittoresembra attaccare chiaramente, pur senzanominarlo, proprio il Lombardo; cf. ancheE. Reinhardt, Joaquín de Fiore, 99 e bibliografiaivi citata.32 Cf., in tal senso, anche le brevi notazionidi B. McGinn, L’abate calabrese, 181.33 Cf. A. Ghisalberti, Monoteismo e trinitànello “Psalterium decem cordarum”, in Gioacchinoda Fiore tra Bernardo di Clairvaux eInnocenzo III, 165-170, 173-174.Gilberto Porretano, Pietro di Poitierse Pietro Lombardo 34 . Qualche decenniopiù tardi, però, gli scolasticiavevano finito ormai per trionfare; afinire sul banco degli accusati furonoperciò i loro avversari, in primoluogo Gioacchino, che aveva espressamente,a più riprese (l’unico, precisaPaolini, che gli si sia opposto conuna certa tenacia) 35 , attaccato PietroLombardo, nel frattempo divenutoun punto di riferimento indiscussoper tutti i maestri parigini 36 .Questi ultimi dovevano conoscere ilpensiero di Gioacchino, se già Pietroil Cantore aveva messo in guardiacontro alcune affermazioni dell’Abatecalabrese; in più, essi dovevanoanche sapere che i pontefici avevanoanche letto ed approvato alcunedelle principali opere dell’Abate, dalui sottoposte alla verifica pontificia;neppure è da escludere che gli stessimaestri sapessero che Innocenzo IIIaveva utilizzato e citato alla lettera,in alcuni suoi scritti, interi branidalle opere di Gioacchino 37 . È logico34 Cf. G. Di Napoli, Gioacchino da Fiore ePietro Lombardo, 630-632. Il tentativo diprocedere contro Pietro Lombardo daparte del Lateranense III è ricordato ancheda L. Paolini, La disputa sulla Trinità, 651,nota 38; A. Ghisalberti, Monoteismo e trinità,167.35 Cf. L. Paolini, La disputa sulla Trinità,653.36 Sulla diversità dell’approccio tra questedue scuole teologiche, cf. F. Gastaldelli,Teologia monastica, teologia scolasticae “lectio divina”, in Analecta Cistercensia 66(1990) 25-63.37 Si vedano, in proposito, le ricerche di F.Robb, Did Innocent III Personally CondemnJoachim of Fiore?, in Florensia 7 (1993) 77-91, part. 83; Ead., Joachimist Exegesis in theTheology of Innocent III and Rainier of Ponza,in Florensia 11 (1997) 137-152; a questi siaggiunga il recentissimo C. Egger, Joachimvon Fiore, Rainer von Ponza und die römischeKurie, in Gioacchino da Fiore tra Bernardodi Clairvaux e Innocenzo III, 129-162 (lostesso Egger aveva già segnalato alcunedipendenze in uno studio precedente:Papst Innocenz III. als Theologe. Beiträgezur Kenntnis seines Denkens im Rahmen derFrühscholastik, in Archivum Historiae Pontificiae30 [1992] 55-123, part. 107-109).perciò supporre che non furono tantoi cistercensi – come tanta storiografiaha troppo a lungo ritenuto 38– i nemici di Gioacchino attivi nelConcilio, quanto piuttosto l’influenzache sul Concilio e sullo stessoInnocenzo III esercitarono i maestriparigini, di cui lo stesso pontefice erastato allievo, come aveva in qualchemodo intuito, in un fugace accenno,Raoul Manselli quasi cinquant’annior sono 39 : peraltro, la distinzioneoperata dal pontefice tra il verbumexhortationis e l’officium praedicationisappare già chiaramente enunciatada Pietro il Cantore, come ha rimarcatoGian Luca Potestà sulla scortadelle ricerche del Lauwers 40 ; inoltreInnocenzo III recepì gli insegnamentidei maestri parigini in materia dipredicazione 41 .Si può spiegare così come il pontefice(il pronunciamento conciliare inprima persona, potrebbe essere operasua) 42 , pur conoscendo e stimandoGioacchino prenda al tempo stesso,in merito alla diatriba dell’abate conPietro Lombardo, posizione decisa38 Cf. in proposito L. Paolini, La disputasulla Trinità, 650, che segnala alcune ipotesiin tal senso, avanzate dal Di Napolie dal Foberti, giudicandole «fantasiose».39 «Lo stesso sviluppo del pensiero teologicoe filosofico della Scolastica sarebbebastato a determinare la condanna» (R.Manselli, La “Lectura super Apocalipsim” diPietro di Giovanni Olivi. Ricerche sull’escatologismomedievale [Studi storici, 19-21],Roma 1955, 86.40 Cf. G. L. Potestà, La visione della storia,203, nota 47; il riferimento e a M. Lauwers,“Praedicatio-Exhortatio”.41 Cf. F. Accrocca, La predicazione francescana.Intorno a “Reg. bull.” IX, in “Negotiumfidei”. Miscellanea di studi offerta aMariano D’Alatri in occasione del suo 80°compleanno (Bibliotheca seraphico-capuccina,67), Roma 2002, 107-125.42 Il coinvolgimento diretto di InnocenzoIII appare indubitabile nella formula:«Nos autem, sacro et universali concilio approbante,credimus et confitemur cum Petro»(Conciliorum Oecumenicorum decreta, 232,rr. 4-6). Cf., in proposito, anche le osservazionidi M. Maccarrone, Il IV ConcilioLateranense, 282-283.


L'uomo di Dio 135contro di lui. È da precisare che ilpronunciamento conciliare condannanon Gioacchino, ma la condannache Gioacchino aveva inflitto alLombardo. Infatti, la Costituzione,pur nel suo tono solenne, «non presentaalcuna dichiarazione di eresiané sull’opera, né sul suo autore» 43 .L’errore di Gioacchino, dunque,fu quello di non aver rettamentecompreso il pensiero del Maestroparigino. Aveva perciò interpretatorettamente – a suo modo – il sensodella condanna conciliare Tommasod’Aquino: per lui Gioacchino aveva43 L. Paolini, La disputa sulla Trinità, 651.Peraltro, come lo stesso Paolini precisa,nel Medioevo «è eretico soltanto chi vienedichiarato tale dal papa (direttamenteo dai suoi giudici delegati) e dal concilio.Non è il caso di G., che mai fu convintoe colpito di eresia» (ibidem, 645, nota 23).Egli infatti «non poteva essere dichiaratoeretico, né lui né la sua opera, in quantosempre formalmente disposto a farsi correggeredal papa» (ibidem, 653).agito «non bene capiens verba magistripraedicti, utpote in subtilibus fidei dogmatibusrudis» 44 : per Tommaso e pergli scolastici Gioacchino era un rude;l’Abate calabrese, da parte sua, noncomprese che il suo metodo simbolico/figurativo,basato sull’intuizione,era ormai inadeguato a fronteggiarele nuove esigenze intellettuali sorteall’interno dell’università: i monaci,d’altronde, a partire da Guglielmodi Saint-Thierry e san Bernardo, sierano mostrati fieramente avversialla scolastica, né Gioacchino intesemai rinunciare – né alcuno, mentreera in vita gli chiese di farlo – al suometodo dell’intelligentia spiritualis:si trattò dunque di una «condannaparziale, che colpiva essenzialmente ilmetodo e gli strumenti dell’argomen-44 Cf. B. McGinn, L’abate calabrese, 224;L. Paolini, La disputa sulla Trinità, 654; E.Reinhardt, Joaquín de Fiore, 101-102 e bibliografiada essi citata.tazione teologica dell’abate» 45 .L’estensione della«condanna»Giova rilevare che l’intervento delConcilio si mostra estremamente attentonei confronti del defunto monacocalabrese, che viene qualificatocon il titolo di Abate 46 , institutor delmonastero di Fiore 47 ; al cenobio florenseviene riconfermata pubblicastima, poiché «ibi et regularis institutioest et observantia salutaris 48 ; si sottolineainoltre la circostanza che lo stessoGioacchino aveva inviato e sottomessoi suoi scritti al giudizio della45 L. Paolini, La disputa sulla Trinità, 653.46 Cf. Ivi, 231, r. 7.47 Ivi, 232, r. 39.48 Ivi, 232-233, rr. 39-1.


136 L'uomo di Dio


L'uomo di Dio 137Sede Apostolica, accompagnandolicon una lettera sottoscritta di suamano – particolare questo che piùche ai padri poteva essere conosciutodal Pontefice – nella quale eglidichiarava di attenersi alla fede professatadalla Chiesa Romana, madree maestra di tutti i fedeli 49 .Gioacchino, dunque, non viene maidefinito eretico, né eretica la sua posizione:De errore abbatis Ioachim si intitolainfatti la cost. 2, introducendouna sottile distinzione terminologica50 . Di contro a tutte le cautele utilizzatenei confronti di Gioacchino,la stessa costituzione usa invece toniestremamente duri nei confronti diAmalrico, definito «empio» propugnatoredi un «dogma perversissi-49 Cf. Ivi, 233, rr. 1-5.50 Lo rileva anche G. Di Napoli, Gioacchinoda Fiore e Pietro Lombardo, 630, nota 39.mo», la cui mente era stataaccecata dal padre dellamenzogna, per cui la suadoctrina andava ritenutanon tanto eretica quantoinsana 51 . Permane,è vero, un’ambiguitànel testo conciliare,proprio per il fatto diaver affrontato, nellastessa costituzione,il problema diGioacchino e quellodi Amalrico.Il testo conciliareprocede in modoa r g o m e n t a t i -vo 52 , chiarendole motivazionidel rifiuto dellaposizione diGioacchino edell’opposizionecompiutanei riguardidel Lombardo.L’elaborazionec o n c e t t u a l edi quest’ultimo,«propria di una terminologia dialetticamenteavanzata, non potevaapparire chiara alla mens di una biblistafermo alla regula fidei comeofferta dai Sancti della tradizione teologicapatristica e mistica, e portataa vedere spesso il concetto in terminidi intuizione e di raffigurazione; laterminologia di Pietro Lombardorivelava bene il progresso dialetticodi una teologia che, pur non razionalizzandoil dogma (anche se viera tale pericolo), intendeva operareun’intelligentia di esso in termini dirifinitura logica» 53 .Consci del progresso realizzatodalla dialettica e del suo indispen-51 Cf. Ivi, 233, rr. 5-8.52 Cf., per una puntuale analisi del testo,G. Di Napoli, Gioacchino da Fiore e PietroLombardo, 647-661; L. Paolini, La discussionesulla Trinità, 650-653.53 Ivi, 651.sabile supporto per l’elaborazionedella scienza teologica, il ponteficee i padri conciliari varano una sceltadeterminante per il futuro. LaScolastica appariva già vincente neiriguardi della teologia monastica(prova evidente ne è proprio la cost.2 del Lateranense IV): la decisioneconciliare sancì tale vittoria in mododefinitivo; si fosse combattuta settanta– o anche solo quaranta – anniprima, la disputa tra Gioacchinoe il Lombardo avrebbe avuto probabilmenteesiti diversi, così come– combattuta nei primi decenni delXIII secolo – avrebbe avuto, con buonaprobabilità, esiti diversi anche ladisputa tra Bernardo e Abelardo. Esiamo nel vero se teniamo conto cheproprio di questo si tratta: non tantodella formale condanna di un’eresiae di un’eretico, quanto dell’opzioneper un metodo teologico e per unaprecisa terminologia; tra due scuole,ognuna apportatrice di un propriometodo, il pontefice e il Conciliocompiono una decisa opzione in favoredell’Università.Se ne ha una riprova nel fatto cheil Concilio dichiari eretico chiunqueavesse osato, da quel momento in poi,difendere o approvare la dottrina ola sentenza di Gioacchino 54 : si intendela dottrina di Gioacchino nel suocomplesso o gli attacchi da lui rivoltial maestro parigino. Sembra doversiintendere, fuor di ogni dubbio,questa seconda possibilità, poichéil testo dice espressamente «in hacparte» e per il fatto stesso – da nonsottovalutare – che opere determinantidi Gioacchino erano state precedentementeapprovate dalla SedeApostolica. È da notare che solo aquesto punto la costituzione assumeindubitabilmente il tono perentorio54 «Si quis igitur sententiam sive doctrinampraefati Ioachim in hac parte defendere velapprobare praesumpserit, tamquam haereticumab omnibus confutetur» (ConciliorumOecumenicorum decreta, 232, rr. 35-37: corsivomio).


138 L'uomo di Dioa fiancoBiblioteca Nazionale di Cosenzaun codice sui possedimenti Gioachimitie definitorio della condanna: Si quis[…] tamquam haereticum confutetur.Da quel momento in poi, dopo cioèche il Concilio si era pronunciato,non vi era più spazio per la discussione;non poteva essere dichiaratoeretico l’Abate, che aveva discettatosu formulazioni ancora non definitee si era sempre obbedientementerimesso al giudizio della SedeApostolica 55 , ma lo sarebbero staticoloro che avrebbero osato ripeterele sue affermazioni dopo un pronunciamentotanto chiaro e solenne:allo stesso modo in cui non possonoessere dichiarati eretici Bernardo di55 Sull’ecclesiologia di Gioacchino e sulladevozione da lui nutrita nei riguardi dellaSede Romana, cf. G. Di Napoli, L’ecclesiologiadi Gioacchino da Fiore, in Doctor Communis32 (1979) 302-326. È vero che il DiNapoli manifesta, come rileva Paolini, un«ardore apologetico eccessivo», ma è purvero che i testi da lui evidenziati sono undato oggettivo, anche se questo dato nonpuò essere estrapolato (come invece tendea fare il Di Napoli) dall’insieme di unpensiero complesso e, in alcuni passaggi,anche poco chiaro.Clairvaux 56 e Tommaso d’Aquinoper essersi espressi contro l’ImmacolataConcezione di Maria (si dovràdire infatti che su quel preciso puntoessi erano in errore), mentre lo sonochiaramente tutti coloro che osanoripetere le loro argomentazionidopo la promulgazione del dogmada parte di Pio IX, nel 1854.Si comprende bene, alla luce di questeconsiderazioni, anche il sensodel duplice intervento di Onorio III,che nel 1216 e nel 1220 scrisse duelettere in difesa dell’ortodossia diGioacchino: in quest’ultimo intervento(17 dicembre), accogliendo larichiesta di aiuto inviata «da tutti idiletti figli dell’Ordine florense e dai56 Nella famosa lettera 174, scritta ai canonicidi Lione, Bernardo protestò energicamentecontro l’introduzione della festadell’Immacolata Concezione. Nessunadifferenza vi sarebbe, per lui, tra la santificazionedi Giovanni Battista e quelladi Maria, avvenute l’una e l’altra nel senomaterno, dopo la concezione. Tuttavia ilsanto Dottore intese rimettersi al giudiziodella Chiesa, che avrebbe accettato umilmenteanche se fosse stato contrario alsuo: ciò che intese fare anche Gioacchinoin riferimento ad ogni sua affermazione,come testimonia la sua lettera-testamentorichiamata anche dal Concilio (cf. ConciliorumOecumenicorum decreta, 233, rr. 1-5).loro abati», il pontefice ritenne che lepersecuzioni contro l’Ordine, postein atto da laici, chierici e sacerdoti,erano istigate «da Colui che invidiala pace e la salvezza degli uomini».Tali persecutori, infatti, attaccavanoi florensi facendo continuo riferimentoal pronunciamento conciliare,«insinuando che sia stato consideratoeretico dalla Chiesa propriol’abate che è stato loro padre e cheha istituito il loro Ordine».Perciò il Pontefice intima all’arcivescovodi Cosenza e al Vescovodi Bisignano: «Noi stabiliamo e intimiamocon una lettera apostolicache voi facciate annunciare pubblicamentea tutta la Calabria che riteniamoGioacchino un autentico cattolicoe giudichiamo salvifico l’Ordineche ha istituito».Pensare il contrario voleva dire, dunque,secondo la parola del Pontefice,essere sotto il dominio di «Colui cheinvidia la pace e la salvezza degliuomini».


L'uomo di Dio 139a fiancoBiblioteca Nazionale di Cosenzaun codice sui possedimenti Gioachimitinel boxLa Predica davanti ad Onorio III è ladiciassettesima delle ventotto scenedel ciclo di affreschi delle Storie di sanFrancesco della Basilica superiore diAssisi, attribuiti a Giotto. Fu dipintaverosimilmente tra il 1290 e il 1295LETTERA DIONORIO IIIIN DIFESA DIGIOACCHINOChe si annunci pubblicamente per tuttala Calabria che l'abate Gioacchino è statoun autentico cattolico e non un ereticoOnorio vescovo, servo dei servi di Dio, all’Arcivescovo di Cosenzae al Vescovo di Bisignano.Mi è stato fatto presente da tutti i diletti figli dei conventidell'Ordine florense e dai loro abati, che Colui che invidiala salvezza e la pace degli uomini istiga contro di loro laici,chierici e sacerdoti, approfittando del fatto che è stato condannatoda un Concilio di tutta la Chiesa un libello, scrittodall'abate Gioacchino contro la buona memoria del MaestroPietro Lombardo. Costoro, per distoglierli dalla pace dellacontemplazione e per tendere loro trappole davanti ai loropiedi, fanno continuo riferimento allo scandalo di questacondanna e lo gettano quasi davanti ai loro piedi, insinuandoche sia stato considerato eretico dalla Chiesa proprio l'abateche è stato loro Padre e che ha istituito il loro Ordine. A causadi queste insinuazioni si determina un danno non solo a coloroche ancora per così dire succhiano il latte, e cioè i noviziche vengono distolti dall'entrare in quell'ordine, ma anche acoloro che già dovrebbero essere abituati al cibo più sostanzioso,a coloro che ormai cresciuti hanno discernimento delbene e del male, i monaci, che cominciano ad ondeggiarenelle loro convinzioni riguardo ai fondamenti del loro Ordine.Anche se il summenzionato libello è stato condannato dal giàcitato Concilio poiché lo stesso Gioacchino aveva comandatoai suoi discepoli di inviare al Pontefice Romano tutti i suoiscritti, perché fossero approvati o corretti a giudizio della SedeApostolica, come risulta dall'epistola firmata di suo pugno,nella quale sostiene di confessare fermamente solo la fededella Chiesa Romana (la quale a Dio piacendo è Madre e Maestradi tutti i fedeli), noi stabiliamo e intimiamo con una letteraapostolica che voi facciate annunciare pubblicamente a tuttala Calabria che riteniamo Gioacchino un autentico cattolico eche giudichiamo salvifico l'ordine che ha istituito, esortandovia castigare coloro che presumano insultare o sminuire a causadella condanna conciliare il suddetto Ordine, in spregio a tuttigli appelli contrari, con un odio la cui forza è pari solo alla veritàche si conosce.Papa Onorio III (17 dicembre 1220)


140 Studi e ricercheFrancesco RedaSui passi diGioacchinoRipercorrere i luoghi dovel’abate Gioacchino vissein terra cosentina, rappresentaun modo suggestivoquanto affascinante di ammirarele bellezze naturalistiche, paesaggistiche,ma anche culturali di unterritorio che ha profonde radici nelpassato.Il primo luogo da cui inizia l’itinerarioturistico sui passi di Gioacchinoè Luzzi e più precisamente il monasterocistercense della Sambucinadove l’Abate soggiornò intorno al1170.Luzzi è facilmente raggiungibiledall’autostrada A3 Salerno - ReggioCalabria uscendo allo svincoloMontalto Uffugo e proseguendo indirezione Acri.Situato sulla fascia della pre-Sila,sul lato destro della valle del Crati,Luzzi è posto su una collina, ai cuipiedi scorrono due torrenti Ilice eSan Francesco che confluiscono avalle nel fiume Crati. Il centro abitatoè posto a circa 375 metri sul livellodel mare. Il territorio prevalentementecollina è ricco di coltivazionidi uliveti e vigneti. Interessante dalpunto di vista storico i palazzi e lediverse chiese appartenenti a famiglienobiliari. Addentrandosi nel territoriomontano si trova l’abbazia diSanta Maria della Sambucina, risalenteintorno al 1140 e recentementeriportata all’antico splendore. Lastrada che si percorre dal paese finoall’abbazia è percorso scelto ormaida più anni per un incontro sportivodi tutto rilievo che si svolge nelmese di settembre, la cronoscalataLuzzi-Sambucina. Una competizionedi auto da corsa che registra lapartecipazione dei più noti piloti dicategoria.Ammirate le bellezze luzzesi, proseguendosull’autostrada in direzionesud, si raggiunge Cosenza, città capoluogo,sorta al centro dei due fiumi,il Crati e il Busento, quest’ultimonoto per la nota vicenda legata allaleggenda del re dei visigoti Alarico.Il cuore di Cosenza è il centro storico,ricco di palazzi cui ospitano partedelle istituzioni pubbliche ma ancheenti culturali come le biblioteche o ilteatro Rendano. Nel corso principaleintitolato a Bernardino Telesio, figlioillustre di questa città, sono presentila sede di un importante istituto dicredito e la cattedrale con annessoil palazzo arcivescovile che è anchesede metropolita.La cattedrale non è direttamentelegata all’abate Gioacchino, ma ad


Studi e ricerche 141un suo stretto collaboratore, LucaCampano, spesso citato non tantoper la sua vita religiosa, ma poichéa lui vengono attribuiti i lavori architettonicidi due dei più importantiedifici religiosi della provinciadi Cosenza: il Duomo di Cosenzae l’Abbazia Florense. Egli rimasemolto affascinato dalla figura diGioacchino fino al punto di diventaresuo segretario particolare, compitoche Luca svolse con molta umiltà.Venne eletto Abate della Sambucinail 22 novembre del 1194, e mantennetale carica per sette anni, dandoun forte impulso economico all’Abbazia,grazie anche all’amicizia chelo legava ai Papi Celestino III edInnocenzo III ed agli ImperatoriFederico II ed Enrico IV, che si impegnaronoin numerose donazioniverso l’Abbazia. In questi anni siconcesse molto nel sviluppare e migliorareil suo maggiore interesse,ovvero l’architettura. Divenne uncosì abile architetto che quando venneeletto vescovo di Cosenza, potédare libero sfogo alla sua grande capacitàormai acquisita. A Sambucinadiede inizio al rifacimento dell’Abbaziamentre a Cosenza, progettò lasua opera più importante, ovvero ilDuomo della città.Limitrofe alla città bruzia, inerpicandosiverso la Presila sulla stradastatale 107 Paola – Crotone, siraggiunge a Celico. È facile intuireche si tratti di un luogo gioachimitain quanto su una galleria all’ingressodel Comune è stato innalzato unmonumento all’illustre teologo ilquale ebbe i natali in quella terra.Sulle origini del nome una tesi supponeche il nome “Celico” derivada “Uomo Celeste” con esplicitoriferimento all’Abate Gioacchinoche vi nacque; infatti sul “grandedizionario della lingua Italiana”del Battaglia, alla voce Celico recita:“Uomo di virtù divine, voce dotta,latino coelicus, celeste “.Gioacchino influenzò molto il pensierodel suo tempo ed oltre e fu aseguito di ciò che Celico divenneil centro più importante dei casali,divenendo meta di pellegrinaggi efrequentato da uomini di cultura.Tutto questo fervore si sedimentònel tempo e divenne consuetudinetant’è che, come testimoniato da alcuniatti notarili, i giovani dei casalivicini si recavano a Celico per studiare,uno per tutti Eustachio Intrieriproveniente da San Pietro, divenutodocente di teologia all’università diTorino, poi nominato Vescovo diMagliana Sabbina e successivamentedi Nicotera che da giovane ebbecome precettore Don Angelo DiStefano, parroco della parrocchia diSan Michele.Principale tra le chiese storiche diCelico è quella dell’Assunta, cheprende il titolo della Confraternita


142 Studi e ricerchedell’Assunzione di Maria che quiaveva sede.Edificata certamente molto primadel 1421 sul perimetro della casanatale dell’Abate Gioacchino, al cuinome battesimale di Giovanni vennedapprima intitolata, ebbe vita e prosperitàcome terza chiesa di Celico, eforse non soltanto per la sua importanza,ma di più in conseguenza dellasua origine che lalega al nome del piùgrande celichese, siattribuisce alla santitàdi Gioacchino il miracolodi essere uscitaindenne dal terremotodel 1638 quando tutt’attornoera una sola rovina.Dai luoghi che diede i natalial comune in cui Gioacchinotrascorse gli ultimi giorni dellasua vita, Pietrafitta. Un percorsonella natura incontaminatapassando per un altro paese dellapresila cosentina, Pedace.Il paesaggio è caratterizzato da castagnetoceduo e bosco di faggio. Dopoqualche chilometro si giunge, neipressi del Convento di Sant’Antonioin Pietrafitta. Questo paese presentaalcuni pregevoli edifici storici: lachiesa di San Nicola di Bari con elementiquattrocenteschi nella facciata;di grande rilevanza storicala chiesetta di San Martinodi Canale, oggi inglobatain altri edifici, che si richiamaalle altre chiese florensidella regione; in essa morìappunto Gioacchino daFiore il 1202 mentresovrintendeva ai lavoridi costruzionedell’edificio.Un luogo crucialequesto definito daalcuni studi recenti,un punto che siinterseca con l’assedirezionale SanGiovanni in Fiore – Pietralata diMarzi, luogo che secondo altri studil’Abate non riuscì a raggiungere,fermato lungo il percorso dalle rigiditemperature dell’inverno silano.Ed è proprio San Giovanni in Fiore illuogo in cui passò la maggior partedella sua esistenza Gioacchino.San Giovanni in Fiore È il più anticocentro abitato della Sila posto70 km dal capoluogo di provincia ecirca 50 km da Crotone, nonché, coni quasi 20.000 abitanti il più popolatofra i 282 comuni italiani posti oltrei 1.000 metri s.l.m., San Giovanni inFiore dista circa.Costituita nel 1530, la cittadina è legatafortemente alla figura dell’abateGioacchino da Fiore, che in unazona più periferica, oggi Iure Veterefondò l’ordine dei Florensi e iniziòla costruzione del primo insediamentodei monaci. Questo luogooggi è oggetto di scavi da parte dellaSoprintendenza e sta facendoemergere particolari dellavita monastica deltutto inediti.Nel 1844 il centroflorense salìalle cronachenazionali perle vicendelegate alla catturadei fratelliBandiera,p a t r i o t ii t a l i a n i ,e di tuttii componentichefacevano partedella spedizione.Pietralata, ubicata sulla strada cheda Marzi porta a Carpanzano è unluogo particolarmente ameno. Siarriva sulla zona pietrosa (e dellagrande pietra) camminando su unsentiero a cui si accede direttamentedalla statale 19 dopo il passaggio alivello delle Ferrovie della Calabria.Sono visibili tracce dell'insediamentoflorense, alcune scavi nella rocciae caverne utili per il riparo. Dal sitosi vede con grande chiarezza l'altopianosilano dove Gioacchino saliràper la sua nuova fondazione. Da qui,costeggiando la montagna si arriva apiedi anche a Corazzo.


Studi e ricerche 143Francesco ScarpelliDa Jovinise aMonte FondenteI luoghi di origine di GioacchinoVisitando Celico, la cittadina di origine dell’Abate,potrebbe apparire illusorio ritrovare le traccedi un personaggio vissuto più di ottocentoanni fa. L’aspetto attuale del nucleo abitato ètotalmente diverso da quello conosciuto dal futuro Abatedi Fiore. Le moltissime capanne presenti allora, in pienaepoca normanna, sono sparite. Anche il fango sulle strade,mischiato agli escrementi degli animali e tipico dellecittadine medievali, non c’è più. Ne erano piene le nostrestrade e le strade di tutti i piccoli comuni della Presilacosentina, fino anche alla metà del secolo scorso, quandoancora ti poteva capitare, percorrendo le strade al mattino,proprio come nel medioevo, di ricevere sulla testa ilcontenuto di un vaso da notte.Eppure vivendo sul posto si possono ancora ritrovaremolte, diverse e consistenti tracce che riguardano ilpersonaggio. Ed è proprio questo compito che mi sonoassunto, quasi quindici anni fa, insieme ai soci dell’AssociazioneAbate Gioacchino, un compito che crediamo diaver assolto con la pubblicazione di Celico Città Celeste. 1L’approfondimento, naturalmente, continua insiemeall’impegno per la piena accessibilità e valorizzazionedei luoghi.Gioacchino ha vissuto a Celico una parte consistente edimportante della sua vita e, quindi, del suo percorso for-1 Francesco Scarpelli, Celico Città Celeste, Editore Pubblisfera, S.Giovanni in Fiore 2008.mativo. Egli ne era pienamente cosciente come dimostraanche quando va fiero di avere vissuto in un ambienterurale scrivendo la frase più volte citata …sum homo agricolaa iuventute mea. 2 Un chiaro autocompiacimento delleproprie origini territoriali oltre che un giudizio positivoper l’educazione ricevuta negli stessi luoghi.Luoghi che rimarranno impressi nella sua memoria pertutta la vita, così come per tutta la vita rimangono impressii caratteri fondamentali della personalità acquisitiper discendenza e per l’educazione ricevuta nell’infanzia,per le esperienze e per le frequentazioni nell’età della crescita,quando la psiche è più disponibile ai condizionamentie agli stimoli culturali.E di stimoli culturali il giovane Gioacchino ne ha sicuramenteavuti molti. A cominciare da quello della sua famiglia,con il padre notaio e referente del potere normanno,ma forse anche di discendenza ebraica come vari autorihanno ipotizzato e come si potrebbe desumere da diversidati concomitanti. Una tesi che personalmente ritengomolto probabile dopo le varie argomentazioni esposte daaltri autori e dopo le altre argomentazioni da me aggiuntein Celico Città Celeste. Aldilà delle origini è accertata,comunque, una formazione culturale ebraica.Al giovane Gioacchino non è neanche mancato l’inse-2 Gioacchino da Fiore, Expositio, ff. 175 b, in Francesco D’elia,Gioacchino da Fiore, un maestro della civiltà europea, antologia di testigioachimiti tradotti e commentati, seconda edizione riveduta e ampliata,Rubbettino Editore, Catanzaro 1999, pp. 35-36.


144 Studi e ricerchegnamento della cultura e delle tradizioni bizantine, purepresenti in Celico e nella zona, nè il confronto, certamenteconflittuale ma pur sempre stimolante, con una cultura paganaallora molto viva a Celico e di cui ancora rimangonotracce significative nella cultura religiosa e civile di oggi.Il dio del cielo chiamato Zeus dai greci e Jove dai romani,venerato nella località ancora oggi denominata Jovinise, avalle dell’attuale centro abitato, è probabilmente all’originedel nome di Celico (dialettale Cielicu) e della successivavenerazione di San Michele Arcangelo, patrono del paese,il cui culto, diffuso dai monaci bizantini, trovò facile diffusionefra i molti ebrei di Celico convertiti al Cristianesimoche, anche da ebrei, veneravano l’arcangelo.Il mondo leggendario e fantastico della cultura paganaaveva impregnato di mistero i luoghi della crescita umanadel giovane Gioacchino.In questo clima pluriculturale, ulteriormente arricchito inquegli anni dalla cultura normanna, il giovane figlio delnotaio Mauro maturò la sua mente ed il suo spirito finoa decidere, con il coraggio e la determinazione propri diuna personalità forte e matura, di abbandonare la carrieraamministrativa e politica per compiere un viaggio inTerra Santa.Tornerà spesso nella sua cittadina nativa anche dopol’ascesa alle alte vette della Sila, conservando sempre leimmagini della sua vita a Celico, della sua cultura contadina,più volte utilizzata nei suoi testi, ma anche le immaginie le suggestioni dei luoghi in cui è cresciuto e che rivedeanche nei suoi continui spostamenti, passando per Celico.Luoghi e suggestioni che ritroviamo nel suo piccolo poemaDe Gloria Paradisi, un viaggio immaginario nell’aldilàscritto, naturalmente, prima di Dante. Come il poemadantesco anche il De Gloria Paradisi rappresenta più cheun viaggio fantastico un sentiero di emancipazione spiritualeproposto agli uomini di ogni tempo.E questo sentiero, materializzato nella realtà fisica, si snodaattraverso il ponte stretto per il quale si ascende allamontagna e, quindi, verso la Sila, e poi nella fertile vallatadel Cannavino fino ad arrivare fra i tanti rigagnoliche generano il torrente e poi sulla vetta di Castelluzzidove sorgeva un castello risalente al periodo delle lottefra Sibari e Crotone e dove l’Abate immagina la sede celeste:un castello dorato circondato da migliaia di bambini.Di fianco alla cima di Castelluzzi o Acquafredda, la cimapiù alta di Celico, il monte Fondente, ricco di suggestionifantastiche perché teatro di una antica leggenda che raccontadi un vulcano spento, di un drago, di una ragazzasacrificata custode di un tesoro.Fra Jovinise e il monte Fondente sono disseminati gli altriluoghi della vita dell’Abate. Primo fra tutti la sua casanatale, un piccolo castello la cui facciata è stata in partenascosta successivamente dalla chiesa di Santa Maria delFosso, costruita fra il 1200 e il 1300, in epoca francese, epoi la vigna del padre, molto frequentata da Gioacchino,dove avvenne il primo fatto prodigioso della sua vita, ela fontana Vetida. Salendo si può visitare ancora la chiesaparrocchiale di S. Michele, luogo del battesimo, dove eraconservato un antico calice di vetro ora provvisoriamentecustodito presso la Curia di Cosenza. Un altro elementomisterioso di una comunità viva ricca di fermenti culturaliora assopiti sotto la cenere del conformismo occidentaleglobalizzato.


Studi e ricerche 145PostulazioneLa ricognizionecanonicaIn vista delle celebrazioni per l’VIII centenario dellamorte dell’abate, l’Arcidiocesi di Cosenza ha autorizzatoalcuni studi sui resti mortali dell’abate sia nelcorso dell’episcopato di monsignor Dino Trabalzini,sia nel corso dell’episcopato di monsignor GiuseppeAgostino.Contestualmente la Postulazione della Causa si è occupatadella ricostruzione degli Atti riguardanti le traslazionie le sepolture dell’abate a Pietrafitta prima, a SanGiovanni in Fiore poi.L’Abate, morto il 30 marzo del 1202 nella Grancia di SanMartino di Giove presso Pietrafitta, dopo aver affrontatoi rigori dell’inverno silano per recarsi alla nuova fabbrica,fu seppellito nella cappella dove venne venerato peralcuni anni, fino alla solenne traslazione avvenuta sicuramenteprima del 1226 o forse 1224 nella nuova Abbazia diSan Giovanni in Fiore, dove l’Ordine si era trasferito perl’implosione del primo Monastero florense.Pietrafitta era diventato un piccolo santuario dell’Ordinema non era sufficientemente comodo per la venerazionedell’Abate (date le dimensioni e la collocazione geografica).Gli studiosi propendono per due date relative allatraslazione, o prima del 1226 o nel 1240 (riferendosi agliscritti di Martire) o al massimo nel 1249 (come testimoniainvece il Pelusio). Recenti ricerche portate avanti dallaCommissione storica per la Causa di Canonizzazioneprotendono invece per una datazione bassa, legataall’episcopato di Luca Campano, in occasione della qualesarebbe stata scritta anche la breve Vita per una sorta dibeatificazione vescovile.Gli storici dell’Ordine florense, Pelusio e Greco, in ognicaso riportano un'unica collocazione dei resti dell’Abate,“apparecchiato nella Cappella della Beata Vergine dinanziall’entrata della Sagrestia”, e la sua custodia venne affidataa frate Ruggero di Aprigliano 1 che aveva cura di tenerviaccesa innanzi una lampada 2 .1 Ruggero è presumibilmente l’autore della Vita (detta Anonima)del proto abate florense. Fu diacono nella Cattedrale di Santa Severina,dove si è ritrovato l’affresco dell’abate, poi monaco dell’Ordinee testimone diretto di alcuni miracoli attribuiti a Gioacchinoproprio presso la sua tomba.2 A. M. ADORISIO, I miracoli dell’abate, Roma 1933


146 Studi e ricerchea fiancoI resti mortali di GioacchinoSi ha anche notizia che alcune reliquie dell’Abate furonoinviate nei monasteri florensi.L’abate Nicola, nel 1249, trasportò un osso del braccio sinistrodi Gioacchino per donarlo ai monaci del Monasterodi Calabromaria in Altilia 3 .È certo che i resti mortali restarono nella Cappella dellaVergine per lungo tempo; nella pubblicazione diGiacomo Greco del 1612 venne riprodotta la lastra tombaledel sepolcro, a quel tempo ancora visibile, a livellodi pavimento.Successivamente, sicuramente dopo il 1680, ci fu l’interventodel Vescovo di Cosenza, monsignor GennaroSanfelice, che nel corso della Visita Pastorale fu colpitodal culto che i monaci tributavano all’abate; avendo anchenotato una lampada accesa sul sepolcro, proibì taliattestati di venerazione e ne informò il Sant’Uffizio che inuna lettera del 28 giugno 1680 chiese ulteriori e dettagliateinformazioni.Il 20 luglio successivo l’Arcivescovo informò la SedeApostolica su quanto aveva notato nel mese di maggioprecedente e della commemorazione che i frati facevanocon delle specifiche antifone.Il 27 agosto il Sant’Uffizio ordinò la rimozione della lampada,di trasmettere a Roma copia di tali antifone (chein questa maniera sono giunte a noi) e di procedere aduna inchiesta (in qualità di delegato del Sant’Uffizio).L’inchiesta si concluse il 18 gennaio 1681 e i verbali furonospediti a Roma 4 . Nel corso dell’inchiesta monsignorSanfelice interrogò otto testimoni tra clero secolare e monaci.Dalle testimonianze venne fuori non solo che la lampada3 R. NAPOLITANO, San Giovanni in Fiore monastica e civica, Napoli19824 Cfr. L. INTRIERI, Il culto di Gioacchino da Fiore nelle testimonianzedel 1680, in Rogerius anno XI, n. 2 (2008)veniva accesa sul sepolcro, secondo alcuni solo in determinatiperiodi, ma anche della venerazione dell’Abatenuncupato da tutti beato, ma anche che il coperchio delsepolcro veniva grattato dai devoti come reliquia perchéGioacchino godeva di una grande fama di santità.Fu sicuramente dopo questo periodo che le spoglie mortalifurono tenute con minore venerazione nella stessaAbbazia; successivamente furono traslate in una cappellainterna del Monastero come vengono indicate nellaRelazione “Ad Petri Limina” del 1776: “in una cappella delmonastero del convento dei padri cistercensi giacciono le ossadel suddetto abate Gioacchino conservate in una urna di pietraed ancora non mostrate ad alcuno”.D’Ippolito, invece, riporta una testimonianza del canonicoAntonio Foglia del 1928 che racconta: “i resti mortalidell’Abate Gioacchino erano custoditi in un vano, aperto, nellacappella di sinistra e la pietà del cappellano del tempo le venerava,tenendovi accesa una lampada” 5 e lo stesso autore riportaperò anche una proibizione della venerazione da partedell’Arcivescovo di Cosenza Di Narni (18181821) fattanel corso della Visita Pastorale nella Cittadina silana 6 .Le reliquie furono così trasportate in sagrestia prima, peressere mostrate solo come oggetto di curiosità, accanto adun mezzobusto dell’Abate, poi seppellite sotto il pilastrosinistro all’ingresso della Chiesa, alla presenza dell’ArcivescovoCamillo Sorgente, che in seguito alla richiesta delparroco don Saverio Pignanelli, “ne permise – lui presente- la tumulazione nel tempio” 7 con la posa di una epigrafesulla quale era riportata l’indicazione “qui giacciono le ossadel calabrese Abate Gioacchino di spirito profetico dotato”.5 G. D’IPPOLITO, L’abate Gioacchino da Fiore, Cosenza 19286 D. TACCONE Gallucci, Regesti dei Romani Pontefici per la Calabria,Roma 1902, ed. Brenner Cosenza 19727 Ivi, p. 130


Studi e ricerche 147a fiancoI resti mortali di Gioacchino (particolare)nella pagina successivaLa riproduzione di una croce in stileflorenseQualche supposizione e qualche tradizione orale tramandaanche la notizia che per alcuni anni l’abate venne sepoltosotto l’altare della Chiesa matrice. Ma le fonti documentali,reperite dalla Vice Postulazione durante l’ultimaRicognizione canonica nel 2002, ci permettono di far lucesu questa vicenda.In un Atto notarile 8 del 4 settembre 1931, che riportiamointegralmente di seguito, viene descritta la riesumazionedelle ossa sepolte nel 1874, alla presenza delle autoritàcivili e religiose e quindi riposte nell’arcosolio della criptache fu appositamente sbarrato da una chiusura in vetroe ferro.Ci fu anche una razzia nel 1806 “per tumulti popolari e l’abbaziasoppressa, il maestoso tumulo distrutto” 9 ma esse, forsetrasportate per un po’ di tempo nella chiesa madre inuna piccola urna, furono ricollocate nell’abbazia, primain sagrestia e poi sotto il pavimento, fino alla traslazionenella cripta, nella stessa urna “che ancora oggi (riferimentoal 1959) può facilmente osservarsi” 10 .La traslazione vera e propria nella Chiesa di Santa Mariadelle Grazie (chiesa matrice) invece avvenne negli anni’70, “quando per i lavori di restauro dell’Abbazia le reliquiefurono precauzionalmente spostate e rimasero lì fino al 1994.In tale occasione vennero poste in una nuova urna realizzatada un maestro orafo locale, per la riapertura dell’abbazia,e traslate alla presenza del cardinale Ugo Poletti” 11 secondo8 Atto Notarile di constatazione del notaio Bernardo Barberio, n.3292 del registro del notaio, registrato il 16 sett. 1931, IX, al n. 72,vol 43, mod. I9 U. ALTOMARE, L’abate Gioacchino e san Giovanni in Fiore, ed.La provvidenza, Cosenza 195910 Ivi, p. 15. L’autore del volumetto all’epoca era parroco in SanGiovanni in Fiore.11 E. GABRIELI, Le spoglie mortali del SdD Gioacchino da Fiore. Sepolturee traslazioni, in Abate Gioacchino, a. 0 – n. 1 (2003)l’istruzione ricevuta dalla Congregazione per il Culto e laDisciplina dei Sacramenti 12 che così si esprimeva:“La traslazione dei resti mortali, fatta con tutti gli adempimentidi legge, dovrà essere tenuta distinta dalla celebrazione dellaDedicazione. Non si deve dare ai fedeli l’impressione di unapprovato inizio di culto. L’antica posizione del loculo, nellacripta, che viene opportunamente ripresa, conserva la distinzionetra parte destinata alle celebrazioni liturgiche e zona cimiteriale”.Fu nel 1998, in vista anche dell’ottavo centenario dellamorte e del crescente interesse culturale ed ecclesiale perl’Abate florense, che l’Arcivescovo di Cosenza accolse larichiesta per il Riconoscimento dei resti mortali 13 ed un“accurato studio” di essi presso l’Università di Pisa e, conapposito Decreto, nominò una commissione di espertiche doveva rispondere di tutte le operazioni ad un appositotribunale, costituito da un Giudice delegato, unpromotore di giustizia legittimamente nominato ed unnotaio verbalizzante, per acquisire tutti i possibili datimedici sui resti mortali.L’équipe medica studiò i resti mortali dal 9 novembre1998 fino all’aprile 2001. I resti mortali furono trasferitipresso il laboratorio dell’Università di Pisa con l’autorizzazionedell’Arcivescovo Trabalzini, fino alla riconsegnaavvenuta, insieme ad apposita e qualificata relazione medica,il 19 aprile 2001, nelle mani del nuovo Arcivescovomonsignor Giuseppe Agostino, che le custodì nellaCappella del Palazzo Arcivescovile, ordinando ulterioristudi ed una Ricognizione Canonica su istanza presentatadal Postulatore in vista della possibile apertura dellaCausa di Canonizzazione del Servo di Dio.12 Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti,Istruzione del 30 agosto 1989 prot. CD 467/8913 Atti del Riconoscimento dei resti mortali del SdD Gioacchino da Fiore,Cosenza (9 nov. 19998 - 27 giugno 2001)


148 Studi e ricercheAtti del Riconoscimento dei resti mortali del SdD Gioacchinoda Fiore, Cosenza (9 nov. 1998 – 27 giugno 2001)La Ricognizione Canonica 14 , guidata da apposito tribunaleeretto dallo stesso Arcivescovo, approfondì altri aspettirelativi ai resti mortali, che furono sottoposti ad altri studida una nuova équipe medica dell’Università di Bari, e ful’occasione per la ricomposizione dello scheletro dell’abatein una nuova urna che è stata collocata nella cappellasuperiore di sinistra dell’Abbazia, fatta salva la distinzionetra zona delle celebrazioni e luogo della collocazionedel nuovo simulacro, come veniva indicato nell’Istruzionedella Congregazione per il Culto di cui si è fatto tesoro.I resti mortali furono riportati a San Giovanni in Fiore il4 luglio del 2002 e presentati nella nuova e preziosa urnacon simulacro alla presenza dell’Arcivescovo di Cosenza-Bisignano, monsignor Giuseppe Agostino, dopo la celebrazionesolenne del Vespro.I risultati delle due indagini ci permettono di tracciarecosì un primo profilo dell’abate calabrese “e ci permettonodi chiarire alcuni aspetti controversi relativi ai resti corporeidell’abate Gioacchino” 15 e che di seguito, in maniera moltosintetica, abbiamo riportato nella precedente sezione.14 Atti del Riconoscimento dei resti mortali del SdD Gioacchino da Fiore,della traslazione e della nuova collocazione nell'Abazia florense, Cosenza(19 gennaio - 5 luglio 2002)15 E. Gabrieli, Il dell'abate, in Abate Gioacchino, a. II - n. 4 (2005)0L’IMPRONTAINDELEBILE:Uno studio sui resti mortali di Enrico VIIdi Svevia e Gioacchino da Fiore alla lucedelle indagini paleopatologicheIl volume edito dalla Rubbettino s’inserisce in un nuovo filonedi ricerca storica che, accanto alle tradizionali fonti documentarie,focalizza la sua attenzione sui reperti fossili e glischeletri, per ricostruire la struttura fisica, le abitudini e le patologiedei vari personaggi storici. «L’impronta indelebile» è ilrisultato di un attento studio multidisciplinare, supportato danumerose illustrazioni fotografiche, che è stato realizzato suglischeletri di Gioacchino da Fiore ed Enrico VII di Svevia dalprof. Pietro De Leo con un gruppo di docenti dell’Universitàdi Pisa. L’indagine è stata condotta secondo insolite tecnichemetodologiche, come l’analisi antropologica o le analisipaleopatologiche e paleonutrizionali, che hanno permesso,innanzitutto, di individuare con certezza i resti scheletrici delmonaco calabrese e, in secondo luogo, di comprendere lafisionomia, le affezioni e alcuni aspetti caratteriali dei duepersonaggi esaminati.Il 6 novembre 1998, nell’Abbazia Florense di S. Giovanniin Fiore, la stessa équipe di paleopatologi ha procedutoall’apertura del reliquiario contenente i resti scheletrici attribuitia Gioacchino da Fiore.Dalle analisi e dagli studi Gioacchino appare un individuodi statura elevata, piuttosto longilineo, vigoroso, con attivitàfisica, soprattutto deambulatoria, intensa ma non gravosa,che impedì l’insorgere dei fenomeni osteoporotici tipicidell’età avanzata.Dal punto di vista più strettamente patologico gli autori segnalanoinoltre gli esiti di gravi periostiti a carico della superficiemediale e laterale della tibia sinistra e delle due fibule.Si tratta di reperti frequenti nelle serie scheletriche antiche,provocati in genere da infezioni sottocutanee per microtraumiripetuti sulle gambe scoperte, in seguito a deambulazionesu terreni impervi e con bassa vegetazione.


Studi e ricerche 149Due équipe universitarieal lavoro sulle reliquieGli studi suiresti mortaliIl Carbonio 14 e il DNAScheda n. 1Sulle caratteristiche diGioacchino da FioreStudio 1 Antropologico e Paleo-patologicoéquipe medica: Prof. Gino Fornaciari, Dott.ssa Barbara Lippi,Prof. Francesco MallegniAnalisi effettuate presso:Dipartimento di Oncologia dell’Università di PisaStatura media calcolata sulla misura degli arti superioried inferiori è cm 175,09 (calcolo effettuato con il metodoTrotter e Gleser), calcolando su questi valori staturali:Distretto Destro SinistroRadio 175,4Ulna 173,9Femore 169,5 171,4Tibia 179,4Femore + Tibia 175,35Un valore statutario che comunque si può considerarealto per il medioevo. La discrepanza tra le altezze femoraliindicherebbe che l’individuo poteva essere longilineo,come le popolazioni meridionali mediterranee cheoccupano le regioni di Calabria, Basilicata e Puglia. Inogni caso un individuo caratterizzato da una robustezzaossea evidente, degli arti inferiori mentre meno robustirisultano quelli superiori.Alcune alterazioni dovute all’intensa attività fisica, riportatenella relazione medica per il Riconoscimento dei restimortali dell’Abate (1998-2001) evidenziano una deambulatoriaintensa.Le analisi paleonutrizionali, effettuate con il prelievo1 Cfr Relazione medica sui resti mortali di Gioacchino da Fiore consegnataall’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano (2001) e pubblicataanche in P. DE LEO – G. FORNACIARI, L’impronta indelebile,Rubbet tino (2001)di un campione osseo, hanno evidenziato “un’ottima alimentazionein perfetto equilibrio con i valori standard per le proteinenobili, evidenziate dallo Zinco, e addirittura superio ri allostandard per lo Stronzio. Questo potrebbe indicare un certo consumodi prodotti ittici (pesci di piccole dimesioni) anch’esso indicatoda questo elemento, associati a quelli di ori gine vegetale”.A livello patologico vengono segnalati: esiti di gravi peritosi“a carico della superficie mediale e laterale della tibiasinistra e delle due fibule” e potrebbero essere provocateda infezioni sottocutanee per micro traumi ripetuti sullegambe scoperte, in seguito a deam bulazioni su terreniimpervi e con bassa vegetazione.Artrosi articolare degli arti modesta, artrosi vertebra lemodesta (solo una modesta osteofitosi marginale).Si è notato un certo grado di osteoporosi.Periostite del ginocchio in corrispondenza della tube rosità tibialeanteriore, forse per la posizione inginoc chiata prolungata.Quadro generale emerso:“Un individuo di statura elevata, piuttosto longilineo,vi goroso, con attività fisica, soprattutto deambulatoria,intensa ma non gravosa, che impedì l’insorgere di fenomeniosteopati ci tipici dell’età avanzata”.


150 Studi e ricercheScheda n. 2Sulle caratteristiche di Gioacchinoda FioreStudio 2 Antropologico e Paleo-patologicoéquipe medica: Prof. Francesco Introna, Dott. Aldo Di Fazio,Dott. Antonio De DonnoUniversità degli Studi di Bari - Dipartimento di MedicinaInterna e Pubblica - Sezione di Medicina legaleAnalisi effettuate presso:Beta Analytic Inc. di Miami Florida, USA Servizio diRadiologia del Presidio Ospedaliero “S. Barbara” di Rogliano(CS) Unità Operativa di Radiodiagnostica Universitaria direttoreprof. Giuseppe Angelelli Università degli Studi diBari - Dipartimento di Medicina Interna e Pubblica - Sezionedi Medicina legaleDeterminazione del sessoTutte le indagini morfometriche effettuate sono stateattuate avvalendosi di programmi di calcolo integratoautomatico di recente implementazione (Introna e coll.,1992; Fordisc 2.0 1996 version n. 2.00), in grado di fornirele caratteristiche individuali del soggetto in vita mediantelo studio dei parametri morfologici e dimensionali deisegmenti scheletrici in esame giungendo alla definizionedel sesso maschile dell’individuo.Determinazione dell’etàPer quanto concerne la determinazione dell’età del soggettoa cui i resti scheletrici in esame si appartenne ro invita, tenuto conto delle caratteristiche morfologi che dellafaccetta sinfisale del pube che chiaramente era no indicativeper un’età superiore ai 40 anni, si è ritenu to opportunoapplicare il metodo proposto da Acsadi e Nemeskery.Il risultato dell’elaborazione dei valori di attribuzio nedelle caratteristiche rilevate a carico dei singoli seg mentischeletrici esaminati, consente di affermare che il soggettoa cui appartenevano i resti in vita aveva un’e tà scheletricacompresa tra 68-80 anni.Determinazione dell’altezzaPer la determinazione dell’altezza in vita, si sono applicatedifferenti metodiche di indagine, basate sui valo ridimensionali di alcune strutture scheletriche; sulla scortadi tale impostazione riteniamo di poter afferma re chel’altezza in vita del SdD Gioacchino da Fiore era compresain media tra cm 172 -175.Datazione radiometrica mediante esame del C-14Si è provveduto preliminarmente al prelievo di tessu to os-2 Cfr Relazione medica sui resti mortali di Gioacchino da Fiore consegnataall’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano (2002) e pubblicata integralmentein Abate Gioacchino n. 4 (2005)seo dal corpo della 4 A vertebra dorsale, avendo par ticolarecura per la pulizia delle lame utilizzate per la sezione. Inparticolare, è stato isolato dal corpo della 4 a vertebra dorsaleun frammento a forma di piramide tronca delle dimensionidi circa 1,4x1,6x1,7 cm e del pe so di 2,2 gr.Il campione è stato quindi opportunamente confezio natoed inviato ad un laboratorio specializzato (Beta AnalyticInc. di Miami Florida, USA) per la datazione radiometricamediante carbonio 14.La tecnica radiometrica risulta infatti particolar mente attendibilenella datazione di campioni organici in quantostudia la velocità di decadimento di un isoto po radioattivo,il carbonio 14, che avviene in modo co stante nel tempoe non è influenzata da fattori di tipo fisico o chimico.Il laboratorio della Beta Analytic, su nostra richiesta, haprovveduto all’analisi del campione mediante la tec nicaAMS (Accellerator Mass Spectrometry), in quanto ritenutaparticolarmente affidabile anche su campioni di piccole dimensioni(questo ha quindi consentito di pre servare in parteil tessuto osseo originario). Per una maggiore attendibilitàdel risultato finale, si è inoltre ri chiesta la misurazione dellequote di carbonio 12 e 13 presenti nel campione esaminato,in quanto scientifica mente ritenute di conforto all’analisi.I risultati delle indagini radiometriche, riassunti nel graficoA, rilevano un’epoca di appartenenza del cam pionein esame compresa tra il 1010 ed il 1180 d.C., con una sensibilitàdel 95%.


Studi e ricerche 151Indagini radiodiagnosticheI resti scheletrici sono stati sottoposti anche ad indagini radiografichepresso il Servizio di Radiologia del PresidioOspedaliero “S. Barbara” di Rogliano (CS).La refertazione delle lastre radiografiche è stata poi affidataal Prof. Giuseppe Angelelli Direttore dell’U.O. diRadiodiagnostica dell’Università di Bari.L’esame dei resti scheletrici, integrato con i rilievi radiologici,ha consentito di rilevare la presenza delle seguentialterazioni parafisiologiche ovvero patologiche acarico dei distretti ossei sotto elencati:Cranio: diffusa rarefazione ossea; presenza di sutu ra metopica;presenza di piccole ossa Wormiane; marcato disegnovascolare della meningea media;Vertebre: processi osteofitosici diffusi; fusione tra i processispinosi T6-T7; minute aree di depressione su L5 (ernieintraspongiose di Schmorl);Ulna sinistra: colature osteofitosiche diffuse al l’incisuraradiale dell’ulna;Femore destro e sinistro: fori da “carotaggio” sulle testee sulla diafisi femorale sinistra; robuste creste ossee neipunti di inserzione muscolare;Tibia sinistra: colature osteofitosiche della tube rositàanteriore e della regione sottocondiloidea me diale e laterale;pregresso “callo osseo” ben consoli dato superficieantero-laterale della diafisi;Perone destro e sinistro: diffusi processi osteofitosici, cheappaiono estremamente marcati in corrispondenza dellasuperficie anteriore dell’epifisi prossimale e della diafisidel perone sinistro.Aspetti patologici:L’esame dei segmenti ossei singolarmente esaminati haevidenziato infatti la presenza di caratteri osteo-patologiciindicativi della costituzione robusta dell’indivi duo;ciò che colpisce infatti non è solo l’altezza (172-175 cm circa),decisamente imponente per l’epoca in cui vis se, maanche la complessione fisica muscolosa.Le sedi di inserzione muscolare appaiono infatti complessivamentepronunciate, ed in particolar modo quel ledegli arti inferiori; tale reperto è certamente indicati vo diuna particolare sollecitazione e sviluppo delle strutturemuscolari coinvolte nella deambulazione, compatibilmentequindi con le riferite marce prolunga te alle qualiGioacchino da Fiore era solito sottoporsi.La sollecitazione continua del rachide spiegherebbe inoltrela presenza di minuti fenomeni degenerativi ri scontrati acarico del soma del tratto lombare del rachi de, verosimilmenteinquadrabili nelle ernie intraspon giose di Schmorl.Tuttavia tale deambulazione fu resa difficoltosa non tantodagli esiti di una frattura della gamba sinistra, che mostraa tutt’oggi i caratteri del callo osseo ben consoli dato,quanto invece dalla comparsa di imponenti feno menidegenerativi da noi evidenziati in prossimità dell’articolazionedel ginocchio destro.Quadro generale emerso:Nella descrizione particolareggiata delle singole ossa, gliaspetti di maggiore rilievo, sono costituiti da diffusi fenomeniartrosici di grado medio-elevato. In corrispon denzadella diafisi tibiale di sinistra, è stata rilevata la presenzadi un “callo osseo” ben consolidato, suggesti vo di unafrattura avvenuta in vita e consolidatasi in modo sostanzialmentecorretto. Sono inoltre stati rileva ti caratteriantropomorfici discontinui, quali il mancato saldamentodelle due metà del frontale, e la presenza di piccoleformazioni ossee in prossimità della sutura lambdoidea;tali caratteri antropomorfici rinvenibili ra ramente nellanostra popolazione, rappresentano tutta via reperti occasionaliprivi di rilevanza di ordine antro pologico o patologico.L’analisi dei resti scheletrici, ap partenuti in vita alServo di Dio Gioacchino da Fiore, ol tre che confermareche si tratta di resti tutti appartenuti ad un soggetto disesso maschile deceduto ad un’età compresa tra 68 ed 80anni e con altezza compresa tra 172-175 cm, ci informache il campione di tessuto osseo aveva epoca di appartenenzacompresa al 95% tra il 1010 ed il 1180 d.C.L’imponente rappresentazione della periostosi a li vellodella tibia sinistra rispetto agli altri distretti sede di analoghelesioni, potrebbe essere correlata a sollecita zionimeccaniche ripetute a livello locale quali lunghi stazionamentiin ginocchio o deambulazione peniten ziale inginocchio. Se a ciò si aggiunge la diffusa artrosi che interessòi principali distretti articolari se ne deduce chesoprattutto negli ultimi anni di vita, la deambula zione diGioacchino non potè che essere difficoltosa e dolorosa.


152 Iconografia antica e modernaSalvatore Angelo OliverioGioacchino da Fiorenella evangelizzazionedell’AmericaPer Gioacchino da Fiorel’economia della salvezzaha il suo centro in Cristo,ma il tempo dopo Cristonon è privato dell’iniziativa di Dio.Gioacchino ridà dignità all’interotempo della storia, riaccende la fiducianel futuro liberando l’umanitàdalla morsa dell’angoscia escatologica,dalla convinzione paralizzanteche ormai tutto si fosse già compiuto.Ciò che si era compiuto era il sacrificiodel Figlio, la Sua missione redentriceche si sarebbe perpetuata nelfuturo mediante l’opera dello Spiritopromesso e perennemente inviato daCristo.Il medievalista Raffaello Morghenha ritenuto che Gioacchino debbaper questo essere considerato comeil vero iniziatore del Rinascimento.Il suo messaggio costituirà infattiun potente fattore di dinamismo etoccherà l’anima di quanti lotterannoper il progresso dell’umanità.Esso è attratto, e in parte deformato,nella turbinosa vicenda dellospiritualismo francescano che ampiamentericorre a Gioacchino nellacostruzione della propria identità.Brilla nei toni accesi di alcune polemicheanticurialesche del Petrarca.Sembra compiersi nella elezione apapa di Celestino V, il monaco eremitache con i suoi frati si ispira almessaggio di Gioacchino da Fiore edi Francesco d’Assisi. Alimenta latensione profetica e le aspettative diDante Alighieri, il quale viene a contattocon ambienti, testi e protagonistidel gioachimismo francescanoe nella Divina Commedia accogliesimboli e “figure” a lui rivenientidelle opere dell’Abate.Il profetismo gioachimita, ormai diffusoin Europa e in parte divenutospurio, irrompe poi nella modernità.Sulla scia della impetuosa predicazioneprofetico-apocalittica delSavonarola e con l’apporto dei dueconsulenti teologici di Michelangelo,i gioachimiti Pietro Galatino edEgidio da Viterbo, si costituisce comeprincipale codice interpretativo dellacomplessa e simbolica iconologia biblicadegli affreschi michelangioleschidella Cappella Sistina. CristoforoColombo, convinto che verso la finedei tempi la religione cristiana avrebbedovuto realizzare l’unità del mondopromessa nei salmi di Davide enella profezia di Isaia, raggiunge leIndie da Occidente per finanziarecon l’oro la cosiddetta crociata escatologica:la definitiva conquista dellaTerra Santa da parte dei sovranispagnoli 1 . Egli si appella all’autoritàprofetica di Gioacchino da Fiore persostenere la sua proposta e renderecredibile il suo progetto presso i realidi Spagna 2 . Circolava infatti unaprofezia risalente al medico e teologocatalano Arnaldo di Villanova e poiattribuita a Gioacchino da Fiore, secondola quale un monarca spagnoloavrebbe condotto la crociata con cuisi sarebbe compiuta la storia dellasalvezza. Per Colombo, in base aisuoi calcoli biblici, la fine dei tempi sisarebbe dovuta verificare circa un secoloe mezzo dopo la sua epoca. Nelsuo Libro delle profezie, scritto tra il1501 e il 1502, Colombo fa trascriveredue brani riguardanti Gioacchinotratti dalle opere del cardinale PierreD’Ailly, pubblicate a Lovanio nel1483. Nel primo Gioacchino è citatocome uno dei profeti a cui ci sideve rivolgere per conoscere il tempodell’avvento dell’Anticristo. Nelsecondo viene difesa l’ortodossiadell’Abate e si afferma che egli predissea principi e re della sua epocache quei tempi non erano maturi peruna crociata di definitivo successo 3 .E’ qui evidente l’eco dell’incontrodell’Abate con il re d’InghilterraRiccardo Cuor di Leone, che nel1191, a Messina, consultò Gioacchinosull’avvento dell’Anticristo e sull’esitodella crociata da lui intrapresa. Lafortuna del profetismo gioachimitain Spagna era certamente legata allatradizione e agli ambienti francescani,con i quali Colombo visse a strettocontatto, ma riveniva pure dallaricca seminagione di testi e di codicigioachimiti promossa, nella primametà del XIII secolo, dal discepolodi Gioacchino Raniero da Ponza, divenutolegato pontificio in Spagna,che aveva condiviso l’avventuraspirituale di Gioacchino dal ritirodi Pietralata alla montagna di Fiore.Inoltre, Colombo, come abbiamo visto,trova riferimenti a Gioacchinonei libri del cardinale Pierre D’Ailly,


Iconografia antica e moderna 153sui quali appone a margine alcunepostille autografe riguardanti l’Abate.Sono di tendenza gioachimita i primimissionari francescani spagnolipartiti nel 1516 per evangelizzareil Venezuela, come lo sono pure idodici, (dodici come gli Apostoli),inviati nel 1523 per evangelizzare ilMessico. Il capo dei dodici, Martinde Valencia, era gioachimita per formazionee per comportamento. Lalettera ufficiale di missione, datata30 ottobre 1523 e firmata dal generaledell’ordine francescano FranciscoQuinones de Los Angeles, ha un’evidentecoloritura escatologica ed unachiara impronta gioachimita: i missionarisi mettono in viaggio nell’autunnodella storia come gli operaidell’undecima ora (Matteo, 20) perlavorare nella vigna del Signorementre il mondo volge rapidamenteverso la fine. La predicazione delVangelo alle più lontane genti dellaterra appare per se stessa come unsegno della prossima fine del tempo.La loro speranza è quella di costruirenel Nuovo Mondo, tra gli umilie i semplici, quella chiesa spiritualeda lungo tempo sognata e cercatain Europa 4 . La tradizione gioachimitainnestata dai primi missionarievolverà in modo più o meno sotterraneoe riemergerà in una seriedi dipinti realizzati tra il 1601 e il1768 in chiostri e conventi francescanidell’America Latina. Gioacchinoda Fiore è presentato come profetadell’avvento di San Francesco, spessoraffigurato con le ali come l’angelodel VI sigillo (Ap. 7,2) segnatocon i segni del Dio vivente, comealter Christus, secondo una tradizionerisalente agli ambienti minoriticidel XIII sec., poi filtrata attraversol’opera di San Bonaventura e diBartolomeo da Pisa.Inoltre la scansione trinitaria dellastoria e l’attesa di un tempo finaledello Spirito si sono fuse e contaminatecon credenze religiose precolombiane.Per lo studioso statunitenseJame Lara, dell’Università diYale, “le tre età della storia del mondodi Gioacchino sembrano essere note nelleAnde tra gli Incas cristianizzati. Gliantropologi del XX sec. hanno documentatonumerose credenze dell’età delPadre, del Figlio e dello Spirito Santo tragli indigeni nei villaggi di montagna edin quelli remoti delle Ande” 5 . Secondola descrizione dello storico gesuitaAnello Oliva, “il terzo stato per gli indigenisarà un’età utopistica e paradisiacain cui tutti gli uomini diventeranno“runas”: esseri con le ali multicoloriche saranno in grado di volare.Saranno vegetariani, non ci sarannopiù malattie, né ingiustizie” 6 . Sesi tiene conto che in questa visionedella storia, derivata dal sincretismotra miti precolombiani e profetismogioachimita, il passaggio da un’etàa quella successiva è contrassegnatoda grandi cataclismi, si comprendecome la devastante eruzione del vulcanoperuviano di Huaynaputinaa fiancoPerù. Vulcano Huaynaputinanel 1600 e il catastrofico terremotodel 1647 abbiano provocato sia negliSpagnoli che negli indigeni cristianizzatiinterrogativi apocalittici chehanno ispirato quella serie di dipinti.Altro fecondo filone dell’esplorazionedel gioachimismo meso-americanoè quello del modello della Cittàdegli angeli ricavato dalla tavola dellaDispositio novi ordinis del Libro delleFigure dell’Abate di Fiore e ampiamenterintracciato nell’urbanistica enell’architettura del Nuovo Mondo.1 Cfr. Colombo C. , Lettera a papa AlessandroVI , in Varela C. (a cura di), 1992, CristoforoColombo Gli scritti, Einaudi, Torino,pp. 327-329.2 Cfr. Colombo C., Lettera ai reali di Spagna,in Varela C. (a cura di), 1992, CristoforoColombo Gli scritti, cit. , pp.289-293.3 Cfr. Rusconi R., 1993, Cristoforo Colomboe Gioacchino da Fiore, in Florensia, Bollettinodel Centro Internazionale di Studi Gioachimiti,VII, pp. 95-108.4 Cfr. Prosperi A., 1991, Attese millenaristichee scoperta del nuovo mondo, in PotestàG. L. (a cura di), Il profetismo gioachimita fraQuattrocento e Cinquecento Atti de lIII CongressoInternazionaledi Studi Gioachimiti,Marietti, Genova, pp. 433-460.5 Cfr. Lara J, 2000, Il vulcano e le ali, inFlorensia, XIII-XIV, pp.159-191.6 Ivi, p. 166.


154 Iconografia antica e modernaPasquale Lopetrone *Iconografia inAmerica LatinaUn messaggio che raggiunge la Nuova TerraL’immagine di Gioacchinoè stata più volte fonte ispiratricedi scultori e pittoriattraverso diversi lavori divari artisti. In alcuni casi si tratta diaffreschi rinvenuti in America Latinain cui appare l’Abate Gioacchino.Il profetismo gioachimita, dopo essersidiffuso in tutta l’Europa, varcale soglie del XV secolo e irrompe nellamodernità, ottenendo apprezzamentiriconosciuti in tutto il mondo.Cristoforo Colombo, dopo averraggiunto le Indie da Occidente, siappellò più volte, nei suoi scritti,all’autorità profetica dell’Abate calabrese,collegando la sua missioneesplorativa all’evangelizzazione delleultime genti della terra che, insiemecon la definitiva riconquista diGerusalemme, avrebbe dovuto segnarel’inizio della terza ed ultima etàdel mondo, l’età dello Spirito Santo.La tradizione gioachimita, innestatadai primi missionari francescanispagnoli è riemersa persino in unaserie di dipinti realizzati tra il 1601e il 1768 in chiostri e conventi francescanidell’America Latina, doveGioacchino da Fiore è presentatocome profeta dell’avvento di SanFrancesco, raffigurato con le alicome l’angelo del VI sigillo (Apo7,2), secondo una tradizione risalenteagli ambienti minoritici del XIIIsecolo, poi filtrati attraverso l’operadi San Bonaventura e di Bartolomeoda Pisa. Inoltre la scansione trinitariadella storia e l’attesa di un tempofinale dello Spirito si sono fuse econtaminate con credenze religioseprecolombiane.


Iconografia antica e moderna 155Per lo studioso statunitense JameLara dell’Università di Yale “letre età della storia del mondo diGioacchino sembrano essere notenelle Ande tra gli Incas cristianizzati”.Secondo la descrizione dellostorico gesuita Anello Oliva, “il terzostato per gli indigeni sarà un’etàutopistica e paradisiaca in cui tuttigli uomini diventeranno “runas”:esseri con le ali multicolori che sarannoin grado di volare”. Il passaggioda un’età all’altra è contrassegnatoda grandi cataclismi, i qualihanno provocato sia negli spagnoliche negli indigeni cristianizzati interrogativiapocalittici che hannoispirato la serie di dipinti riguardantil’Abate calabrese. Per Colombo ilfuturo delle Indie aveva radici nelpassato. L’immagine che diede diquel mondo era legata alle Scritture,alle intenzioni di una crociata, al disegnomillenaristico di Gioacchinoda Fiore.*Architetto estudioso gioachimitanella pagina precedenteBogotà (Colombia) - Particolare deldipinto di Gregorio Vasquez Ceballos -Gioacchino da Fiore annuncia a Veneziai futuri ordini monastici fondati da SanFrancesco d'Assisi e da San Domenicodi Guzmanin altoDipinto di Juan O'Gorman,Rappresentazione della storia delMessico. Celebrazione dell'Utopiain bassoCuzco (Perù) - A. Basilio de Santa Cruz,San Francesco con le ali rappresentatocome l'angelo del VI sigillo profetizzatoda San Giovanni nell'Apocalisse, adestra Gioacchino in una grotta


156 Iconografia antica e modernaLe profeziegioachimite sullerotte del navigatoregenoveseCristoforoColomboLa fortuna del profetismogioachimita, fu quelladi penetrare negli ambientifrancescani, con iquali anche il navigatore genoveseCristoforo Colombo ebbe stretticontatti. Attraverso i francescani elo stesso Colombo, Gioacchino penetreràanche nell’epoca moderna enella sete di ricerca e di scoperta dinuovi orizzonti e di nuovi mondi.Colombo, convinto com’era che lareligione cristiana doveva realizzarel’unità del genere umano, raggiuntele “Indie” vide nel nuovo mondouna sorta di traduzione delle idee edelle profezie gioachimite.Da queste terre, secondo Colombo,la Chiesa cristiana attingerà il nuovooro per finanziare “la crociata escatologica”,come egli stesso scriveràa Papa Alessandro VI, per la definitivaconquista della Terra Santa capeggiatadai sovrani spagnoli.In una sua lettera ai Reali di SpagnaColombo, citando ampiamentel’Abate calabrese, si appella allaprofetica autorità di Gioacchino daFiore per sostenere il suo progettospirituale. In realtà la profezia a Luiattribuita, secondo la quale un monarcaspagnolo avrebbe riconquistatoi luoghi santi e capeggiato la crociatache avrebbe compiuto la storiadella salvezza, era del medico-teologocatalano Arnaldo di Villanova.Colombo era fermamente convintodei suoi calcoli sulla fine dei tempie nel suo Libro delle profezie eglifa trascrivere due brani riguardantiGioacchino.Egli viene citato come uno dei profetia cui ci si dovrà rivolgere per conoscereil tempo dell’avvento dell’antiCristo. Nel secondo brano Colombo,non solo ne difende l’ortodossia maricorda che predisse a re e principidella sua epoca che i tempi peruna crociata non erano ancora maturi.Il riferimento è naturalmenteall’incontro avvenuto a Messina conRiccardo Cuor Di Leone.C’è anche da dire che Raniero daPonza, discepolo di Gioacchino, fuLegato Pontificio in Spagna ed influenzònon poco i prelati e i notabilidella Corte spagnola; per questoColombo faceva leva su ciò che erapensiero comune.Risultarono infatti evidenti tendenzegioachimite anche nei missionariche partirono per evangelizzare nel1516 il Venezuela, come quelli chenel 1523 si adoperarono per l’evangelizzazionedel Messico.I missionari francescani si avventurarononon solo sulle rotte di Colombo,ma anche sulle sue “profezie”.C’è da dire però che l’idea di NuovoMondo e della conversione dellegenti al Cristianesimo restò un casoabbastanza eccezionale ed isolato:“Solo in Colombo l’impresa dellascoperta e l’interpretazione in terminiprofetici della conquista missionariasi trovano unite. Dopo di lui,le strade tornano a dividersi: solo imembri degli ordini religiosi impegnatipiù o meno direttamente nelcompito della propagazione dellafede fuori d’Europa continuarono adalimentare quel tipo d’interpretazione,mentre i conquistatori veri e proprie chi ne seguiva e commentava leimprese non se ne mostravano moltocuriosi. Quanto alle fonti che alimentaronointerpretazioni di Colombo,esse erano allora e restarono ancoradopo di lui molto familiari a chi volevaoffrire una chiave per interpretareil senso complessivo della storia: mafurono applicate ad eventi europei eservirono ad alimentare le ricorrentipaure di eventi catastrofici”.


dagli Scritti dell'Abatedagli Scritti dell'AbateL’interpretazione della BibbiaLa visione di PasquaFui nello Spirito nel giorno del SignoreQuesto passo è di grande peso e denso di misteri profondi. L’espressione è semplice, ma non lo è ilmistero; la corteccia è evidente, ma il midollo è nascosto. Fui, dice, nello Spirito nel giorno delSignore. Che cosa vuole dire Giovanni quando afferma: Fui nello Spirito? E che significa ciò chesegue: nel giorno del Signore? Per alcuni il versetto era forse di nessuna importanza e facilmentecomprensibile, quando per la prima volta mi bloccai su di esso come in un mare vorticoso: giacchéDio ha l’abitudine di rendere chiaro a uno ciò che all’altro sembra oscuro, perché ognuno impari a nongustare le cose elevate, ma a essere partecipe di quelle umili. E infatti, giungendo a questo versetto,dopo aver scorso i precedenti di questo libro, mi resi conto di una tale difficoltà di com-prenderlo, che,sentendo che la porta del sepolcro mi era sbarrata dalla pietra e io rimanevo ottusamente fermo, resionore a Dio, che chiude e apre secondo la sua volontà, e, messo da parte quel passo, passai a quelli seguenti,lasciando quella difficoltà al maestro universale: perché egli, che ha aperto il libro e ha scioltoi suoi sette sigilli, la spiegasse a me o ad altri quando gli sarebbe piaciuto farlo. La dimenticanza miaveva condotto lontano, occupato in molte altre cose, quando accadde che, trascorso un anno, venne ilgiorno di Pasqua. Svegliatomi dal sonno verso mattina, meditavo su questo libro, quando mi capitò qualcosaper cui, reso fiducioso del dono di Dio, divenni più audace nello scrivere, o meglio più timido neltacere e nel non scrivere, pensando che un giorno il Giudice potrebbe dire a me che tacevo: Servo cattivoe pigro, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso. Era dunque necessarioche tu affidassi il tuo danaro ai cambiavalute, e io venendo avrei ripreso con l’interesse ciò che è mio.


dagli Scritti dell'AbateDal momento che comprendevo ormai alcuni misteri, ma ancora non conoscevo i più grandi, avvenivacome una battaglia nella mia mente: ciò che era chiaro mi esortava all’impresa, il resto mi mostravaminacciosamente la difficoltà. Essendomi capitato quella notte qualcosa del genere, verso, credo, lametà del silenzio notturno e verso l’ora in cui si ritiene che il nostro Signore Gesù sia risorto dai morti,improvvisamente mentre stavo meditando avvenne una rivelazione, e ricevetti con gli occhi della menteuna certa chiarezza intellettuale riguardo alla pienezza di questo libro e riguardo all’intera concordiadell’Antico e del Nuovo Testamento. In quel momento non mi ricordavo del versetto, ovvero perchéGiovanni abbia detto: Fui nello Spirito nel giorno del Signore, né se fosse attinente alla questione che larivelazione stessa di questo libro era avvenuta, come si racconta, nel giorno del Signore. Non mi venne,dico, in mente questo, né che Cristo che esce dal sepolcro significa lo spirito che procede dalla lettera, eneppure che i sette giorni della settimana pasquale, insieme all’ottavo che segue, concordano nei mistericon le parti di questo libro, e neppure che in quello stesso giorno egli aprì la mente ai discepoli, perchéintendessero le Scritture. Venuta l’opportunità, avendo dunque riletto dopo un certo tempo quel pocoche avevo annotato, giunsi a questo passo in cui si dice: Fui nello Spirito nel giorno del Signore, e perla prima volta capii che cosa misteriosamente significasse ciò che dice Giovanni: Fui nello Spirito nelgiorno del Signore, ragionando fra me sia sulle cose che erano avvenute sia su quelle che si sanno scritteriguardo a quello stesso giorno: che di lì ha avuto inizio lo spirito risvegliato dalla lettera, e molte cosesimili che qui sarebbe lungo sintetizzare. Questo è dunque il giorno che fece il Signore. Esultiamo e alletiamociin esso. Questo è il giorno in cui Cristo risorse dai morti, tolta quella gran pietra dalla portadel sepolcro. Questo è il giorno in cui aprì la mente ai suoi discepoli perché comprendessero le scritture.(Expositio in Apocalypsim, pars I)L’interpretazione dellaScritturaL’interpretazione storica è quella per cui una persona sta in luogo di una persona, non allostesso modo che nella concordia, ma in un certo altro modo: ovvero, quando vediamo unavergine dedicata a Dio e diciamo: questa è una libera; vediamo una sposata e diciamo: questaè una schiava; così come non a torto si può dire dei loro figli: quello della schiava è natosecondo la carne, quello della libera è nato in virtù della promessa.È infatti abbastanza schiava colei che non ha potere sul proprio corpo. Tuttavia questa condizione diservitù è migliore che se avesse la libertà di commettere adulterio (per quanto tale licenza venga abusivamentedetta libertà, perché chi fa peccato, disse l’Apostolo, è servo del peccato). Alcuni ritengonoinvece che l’interpretazione storica sia la storia stessa, altrimenti detta «lettera», ma non è così: altro èinfatti la storia, altro la materia storica. Essa è invece detta conoscenza storica perché è dissimile dallalettera, come avviene quando una donna viene presa al posto di una donna, un bambino al posto di un


dagli Scritti dell'Abatebambino e un uomo al posto di un uomo; come quando diciamo ad un anziano, che vogliamo esortare aprocedere sulla via del bene: «Sii come fu Abramo»; ad una donna: «Sii come fu Sara»; ad un giovinetto:«Sii come fu Isacco». E ancora, se noi vogliamo sgridare una donna lubrica, bramosa solo delle gioie delmondo, la rimproveriamo con l’esempio di Agar, dicendo: «Perché, o pazza, ti affatichi senza motivo?Queste cose che guadagni nella cura e nella fatica non sono tue, né resterai più a lungo col tuo uomonella casa in cui entri come se fosse tua, dal momento che sarai cacciata come l’ancella Agar, e non troverainulla nelle tue mani». Così pure deve essere detto figlio di schiava e nato secondo la carne colui cheperseguita l’uomo spirituale. L’interpretazione morale è invece quella che può essere significata da ununico individuo, come avviene quando la schiava significa l’affetto carnale, la libera quello spirituale.L’interpretazione tropologica è quella che tratta dei diversi modi dei discorsi divini, come avviene quando Agarsignifica il senso letterale, la libera significa l’intelligenza spirituale.L’interpretazione contemplativa è quella che, abbandonata del tutto la carne, passa nello spirito, come quandonella schiava si prende la vita attiva, nella libera la vita contemplativa.Più oltre, l’interpretazione anagogica è quella che ci insegna a disprezzare le cose terrene e ad amare quelle delcielo: insegna infatti che in Agar bisogna intendere tutta la vita presente, che per la sua maggior parte è soggettaa molta schiavitù, nella libera Sara la vita futura. Questo dunque riguardo alle cinque forme di conoscenza spirituale,che procedono dalla corteccia della lettera come quei cinque pani d’orzo con cui il Signore saziò cinquemilauomini. È per questo motivo che l’Apostolo disse: La lettera uccide, lo Spirito invece vivifica.L’interpretazione tipica si divide senza dubbio in sette specie, così come, aggiunto al numero cinque il numerosette, la perfezione dei pani raggiunse la pienezza del numero dodici.(Concordia, libro V, cap. 1)Professio fideiProfessione di fede trinitariaConfesso che la santa Trinità, cioè il Padre e il Figlio e lo Spirito santo, è l’unico vero Dio, del qualela Scrittura dice: Ascolta Israele, il tuo Dio è uno solo. Confesso che il Padre non è da nessuno, ilFiglio è da solo Padre, lo Spirito santo è dal Padre e dal Figlio. Confesso con Agostino che il Padreha generato sostanzialmente il Figlio, coeterno a lui per tutto; che il Figlio è stato eternamentegenerato dal Padre; che lo Spirito santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio. Confesso che il Padre èvero Dio, vera sapienza, vera essenza, e ciò non in modo confuso, come ritiene Sabellio, ma che il Padre solo èDio non generato, sapienza non generata ed essenza non generata; che il Figlio solo è Dio generato, sapienzagenerata ed essenza generata.Affermo che occorre accogliere secondo tale intelletto ciò che ci è stato tramandato dai santi padri,ovvero che il Figlio è Dio da Dio, luce da luce, sapienza da sapienza ed essenza da essenza. E infatti,come dice Agostino, non sono entrambi insieme Dio da Dio, ma soltanto il Figlio è da Dio, cioè il Padre.


dagli Scritti dell'AbateConformemente a ciò confesso che il Figlio è dalla sostanza del Padre, cioè dalla sostanza non generatache i Greci chiamano ipostasi e i Latini persona del Padre; no è affatto (non sia mai!) dalla sostanza ditutta la Trinità, come se provenisse da qualcosa di comune, il che significherebbe condividere con altreparole la posizione di Sabellio; ma, come ho detto, è dalla sostanza del solo Padre. E dal momento che affermoche il Figlio è dalla so stanza del solo Padre, non per questo separo la sostanza del Figlio dalla sostanzadel Padre, venendo costretto per questo a confessare che secondo l’intenzione dei nostri, cioè deiLatini, le sostanze siano due. Come afferma infatti Agostino, ciò che propana e ciò da cui propana sonouna cosa sola. Una cosa sola nel senso dell’unità, non della singolarità: come se tre vasi che escono da unasola fornace fossero detti “un solo oro”; e per questo, per quanto ciascuno venga detto e sia oro e “unsolo oro”, tuttavia questo “un solo” differisce da quell’“un solo”, dal momento che quell’“un solo” nonviene detto collettivamente, ma singolarmente di ciascuno, mentre questo viene detto collettivamentedei tre. Confesso di sentire ciò, professo di sostenere fermamente ciò, non secondo la debolezza della similitudinedata, ma secondo l’intelletto in forza del quale fu data la similitudine. (…) Confesso infattidi adorare un Dio né singolare né composto, ma colui che è trino e tuttavia non composto, semplice eduno tuttavia non singolare. Ne deriva che affermo che la sostanza o sapienza generata è inseparabile eindividuabile nella sostanza non generata; per questo, come nego che la non generata sia generata, cosìanche nego la reciproca, in modo tale da affermare tuttavia che la generata e la non generata insiemenon sono due sostanze, ma una semplice. Di conseguenza confesso che la sapienza di Dio è sia naturacoeterna sia vera divinità incarnata, e questo non si riferisce a ciò che è comune alla Trinità, ma a ciòche è proprio del Figlio, cioè non a quanto si intende quando si parla collettivamente di divinità o dinatura divina; ma a tutto ciò che si dice e può essere detto generato (che lo si dica Dio, ovvero sapienza,o essenza, o virtù, o sostanza generata). Ne consegue che sono scomunicati quanti negano che Maria abbiaveramente generato Dio, e sono sottoposti al medesimo giudizio quanti affermano che ella generò un Dioinnato. E perciò confesso che Maria ha generato Dio: non certo (non sia mai!) Dio Padre né Dio SpiritoSanto né tutto ciò che si dice Dio trino, ovvero Dio uno dall’unità, ma soltanto ciò che in ebraico si dice«dibur», in latino «parola», di cui Giovanni dice: E Dio era il Verbo, che è come se dicesse: e il verbo eraDio, come anche il Padre è Dio. Credo dunque che una persona soltanto della Trinità, cioè il Figlio diDio, si è incarnata e che il Figlio stesso di Dio si è fatto uomo, non per conversione della divinità nellacarne, ma per assunzione della divinità in Dio.Credo che proprio questo Cristo sia venuto a redimere il genere umano, preceduto da Giovanni, e che eglistesso verrà per il giudizio e, non diversamente sia preceduto da Elia. E conformemente a ciò, confessoche Cristo anzi, il Dio trinitario, è misericordioso nel perdonare coloro che si pentono e giusto nel punirei cattivi che non vogliono pentirsi dei loro peccati. Confesso anche che nel battesimo e nel corpo diCristo una cosa è il sacramento, una cosa la sostanza del sacramento, e che il sacramento è solo in vistadel giudizio, e chi lo riceve non ottiene la sostanza, e che la sostanza è per la vita solo per quelli cheil Signore ritiene degni di riceverla. Credo anche che la resurrezione dei corpi avvenga nella medesimanatura o essenza, cioè che siano quegli stessi corpi che furono prima, ma non nella medesima condizionecorrotta; credo però che i reprobi risorgano incorrotti per sostenere la pena, i soli eletti invece risorganoimmutati per ottenere la gloria. E per questo i re-probi andranno al supplizio eterno, i giusti invece allavita eterna. Amen.(Professio Fidei)

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